Finalmente, dopo il Congresso del Pcc, sono usciti i dati del Pil cinese del terzo trimestre, rimandati – chissà perché, forse per non turbare i lavori del Congresso – di 10 giorni.
Il Pil trimestrale ha battuto le attese, 3,9% (era dato al 3,6%), la produzione industriale, anch’essa, ha battuto le attese (6,3 contro 4,6), le esportazioni hanno battuto le attese (5,7 contro 4,1).
Anche il surplus commerciale ha superato le previsioni e si attesta a 84 miliardi di dollari.
Le note dolenti riguardano semmai le importazioni, cresciute appena dello 0,3%, sotto le stime, e il tasso di disoccupazione, cresciuto dal 5,2 al 5,5%; mentre le vendite al dettaglio sono salite appena del 2,5% contro stime del 3,3%.
È evidente che la politica “zero covid” incide sul tasso di disoccupazione e sulle vendite al dettaglio, così come sull’import, e potrebbe creare tensioni sociali. Quasi un paradosso, visto che quella politica ha ridotto al minimo mondiale le perdite umane per la pandemia.
Non sono in vista al momento altri provvedimenti economici, visto che l’intero sistema cinese era completamente focalizzato sul Congresso e sulla resa dei conti.
Perché il nuovo assetto prefigura il nuovo tipo di rapporto tra strategia del Pcc e logiche dei mercati.
La Borsa di Shanghai ha perso lo 0,89% (francamente mi aspettavo di più) mentre il cambio yuan-dollaro è continuato a scendere. Segno che una parte dei capitali preferisce allontanarsi dalla Cina in questo momento.
La Borsa di Hong Kong ha perso quasi il 7%. La tendenza è del resto questa, da un anno a questa parte.
Ma se si vede la performance delle varie società si nota che i colossi pubblici perdono molto meno delle aziende high tech private. La prime, Bank of China, Cnooc, Sinomedical inc, ecc. perdono nell’ordine dell’1,5 - 2%. Molto meno della media delle multinazionali occidentali sui mercati statunitensi ed europei.
Le seconde – Alibaba, Tencent, Baidu, ecc. – sono invece sotto attacco da un anno e mezzo da parte del governo cinese, e perdono nell’ordine del 15-18%.
Ripeto, la tendenza è di medio periodo, ma si capisce bene chi sono i perdenti e i vincitori della resa dei conti cinese. È come se il capitalismo di stato iniziasse ad intravedere chance maggiori nei prossimi anni rispetto ai colossi privati, specie se innovativi e legati al mercato occidentale.
La svolta di Xi del 2013, tesa a preservare i colossi pubblici dalla privatizzazione accettando solo collocamenti parziali di quote di minoranza, segno (come scrivo nel libro Piano contro mercato), di controtendenza alla caduta del saggio di profitto, trova rispondenza nella borsa di Hong Kong di oggi.
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