A guardare le facce, le biografie, il dichiarazioname scomposto, ma storicamente certificato, dei nuovi ministri del governo Meloni – in effetti – qualche preoccupazione può sorgere.
Una congrega di improvvisatori di tal fatta difficilmente poteva venir fuori da una seria e razionale selezione dei profili più adatti a certi incarichi, anche pescando comunque nell’”area culturale” del centrodestra estremo.
Ed anche il cambiamento di nome di alcuni ministeri segnala un’ansia di “appropriazione” che è tipica dei piccoli borghesi reazionari che entrano nel Palazzo, o in una città conquistata, e si mettono a cambiare i nomi delle sale o delle strade sciorinando il proprio fantastico Walhalla.
Chi ricorda la fermezza con cui Sergio Mattarella, quasi cinque anni fa (governo Conte 1, in coabitazione con la Lega), sbarrò la strada a Paolo Savona (ex direttore di Confindustria, non un portaborse qualsiasi), “reo” di guardare con sospetto alla logica macroeconomica di molti trattati europei, sarà probabilmente rimasto stupefatto per l’assoluto silenzio con cui ha accolto questa lista dalle mani di Giorgia Meloni.
Possibile che non gli si sia alzato neanche un sopracciglio nello scorrere quei nomi improbabili?
A ben guardare un senso lo si può trovare. I ministeri-chiave (economia, difesa, interni, esteri) sono in mani “fidate” (Giorgetti, Crosetto, il prefetto Piantedosi, Tajani). Lì sta la continuità con il governo Draghi e con l’obbedienza a Nato e UE.
Il resto – dal suo punto di vista, che è poi quello della Nato e della UE – è solo “folklore postfascista”, facce e nuove denominazioni buttate lì per far vedere alle proprie schiere che “ora comandiamo noi davvero!”.
Che quella gente possa provocare problemi serissimi alle persone in carne e ossa che dovranno subirne le scelte cervellotiche in materia di aborto (pro-”natalità”?), scuola, università, ecc., non è evidentemente affare di Mattarella e delle “alleanze internazionali” di cui è garante.
In fondo non è così anche per quanto riguarda la Polonia, l’Ungheria e altri paesi ultrafedeli alla Nato?
Della presunta opposizione “democratica” sarebbe inutile dire, se non che sceglie – forse intenzionalmente, forse per pura dabbenaggine – di polemizzare con le parole anziché con i progetti concreti di cui quella schiera inguardabile è portatrice.
Abbiamo ancora nelle orecchie quel tal Giannini (direttore de La Stampa, ex firma di Repubblica, comunque famiglia Agnelli) che insiste nell’ironizzare sulla “sovranità alimentare” (nuovo nome del ministero dell’agricoltura) o sulla “natalità” (l’ex “ministero della famiglia”, altrettanto inquietante, anche se non si è mai fatto notare per una qualche attività).
Chiaro l’intento: “se tirate fuori la sovranità, anche solo alimentare, questo fa capire che siete sovranisti e nazionalisti”. Buttando così nel cesso decenni di battaglie di agricoltori e ambientalisti seri (ricordiamo solo Carlin Petrini, per esempio) proprio per la “sovranità alimentare”.
Ovvio che esiste una differenza abissale tra le lotte contro le colture Ogm, in difesa delle cultivar storiche del territorio (di qualsiasi paese del mondo!), e il programma fascioleghista (assegnato al “Cognato” della Meloni, Lollobrigida) di protezione delle “aziende italiane”. Ma come si fa a cancellarla buttando tutto in un ignobile pastone “terminologico”?
Un’opposizione del genere (sulle parole, non sui fatti) è il miglior aiuto possibile sognato da una destra stracciona e aggressiva, perché rende incomprensibili le critiche a un governo per molti versi davvero mostruoso.
Avremo certamente occasione di tornare sugli infiniti conflitti sociali che un’”occupazione postfascista del sottopotere” metterà in moto. Dalle donne agli studenti, dai docenti ai lavoratori e ai pensionati, non ci sarà una sola figura popolare che resterà indenne da questa invasione di campo.
Ma è forse proprio questo che ha tranquillizzato Mattarella e il grumo di potere autentico che rappresenta. Un governo così, nel bel mezzo di una guerra che ci vede coinvolti in prima linea come “armaioli” del battaglione Azov, è l’ideale.
Autoritario quanto basta contro i poveracci che protestano e chi li organizza e rappresenta. Appecoronato quanto serve verso diktat europei e comandi Nato. Capro espiatorio già pronto per un malessere sociale montante cui non saprà (per deficienza propria) né potrà (per subordinazione a quelle alleanze vincolanti) dare alcun sollievo.
Qualche mese di post fascisti al governo (non al potere!) deve esser sembrata la medicina giusta per “passà la nuttata”, il momento probabilmente topico della crisi bellico-economica, tra salari e pensioni mangiati dall’inflazione e razionamento dei riscaldamenti o dell’energia elettrica.
Dopo, scontata l’ultraprevista crisi politica per litigi interni (Berlusconi ha solo anticipato il timing), qualsiasi “governo tecnico” sembrerà un sollievo, un “ritorno alla piena democrazia”.
A meno che non abbiano sbagliato del tutto i calcoli... Nutrendo, involontariamente, un’opposizione sociale e politica alternativa che potrebbe finalmente acquisire dimensioni di massa tali da rompere il “gioco a due” tra la destra tecnocratica del grande capitale multinazionale e quella puzzolente della piccola e media borghesia locale.
Mettendo di nuovo insieme lotta per i diritti sociali (dal salario alle pensioni, dall’istruzione alla sanità pubblica) e lotta per i diritti civili. Ossia rompendo anche questa criminale separazione voluta dai “tecnocrati democrAzov” su cui sono tornati (momentaneamente) in auge i nostalgici del duce a testa in giù.
C’è da lavorare, non da stare a guardare...
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