Il possibile utilizzo di droni “kamikaze” iraniani da parte delle forze armate russe in Ucraina sta creando in questi giorni parecchi grattacapi dal punto di vista militare al regime di Kiev, nonché infiammando un acceso dibattito circa la partecipazione indiretta di Teheran al conflitto, con riflessi anche sullo scontro tra la Repubblica Islamica e Israele. I governi di Russia e Iran hanno smentito ufficialmente la notizia, ma entrambi potrebbero ragionevolmente preferire tener nascosto il grado di collaborazione militare reciproca. Resta il fatto che l’eventuale assistenza iraniana in termini di fornitura di “veicoli senza pilota” non implica per forza di cose difficoltà insormontabili per Mosca a tenere il passo della guerra in atto.
La questione dei droni iraniani forniti alla Russia era emersa già qualche mese fa sotto forma di accusa da parte del governo USA. Anche in quell’occasione i diretti interessati avevano debitamente smentito. Questa settimana, il dipartimento di Stato americano è tornato a denunciare l’impiego da parte russa in Ucraina di questi velivoli, responsabili in particolare dei bombardamenti dei giorni scorsi contro obiettivi nella capitale, Kiev.
Il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanani, ha ribadito che il suo paese “non ha fornito armi a nessuna delle due parti in guerra”. Anche il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha respinto l’ipotesi avanzata da Washington, ma la sua risposta è apparsa più ambigua. Peskov ha spiegato di non avere informazioni in proposito. A suo dire, tutti gli armamenti usati in Ucraina sono russi, per poi chiudere il suo intervento rimandando ogni altra domanda al ministero della Difesa.
Immagini e filmati diffusi in questi giorni sembrano confermare la presenza di droni iraniani nei cieli ucraini. Alcuni esperti militari hanno fatto notare tuttavia come il drone Geran-2 di fabbricazione russa e quello iraniano noto come Shahed-136 siano simili al punto da poter essere facilmente scambiati. A proposito della somiglianza tra i velivoli senza pilota, stimolante è stato il commento dell’ex analista della CIA, Larry Johnson, sul suo blog. Secondo quest’ultimo, il Geran-2 russo condivide parecchi elementi con il drone RQ-170 americano, pur essendo il primo di dimensioni più ridotte.
Uno di questi velivoli USA, ricorda Johnson, era stato abbattuto e recuperato praticamente intatto dalle forze armate iraniane nel 2011, per passare poi attraverso un “aggressivo processo di ‘reverse engineering’” nel tentativo di costruirne una copia. Il sospetto è dunque duplice, cioè che, in primo luogo, la collaborazione tecnologica e militare di Mosca e Teheran sia più stretta di quanto si conosca a livello ufficiale e, ironicamente, che i due paesi stiano di fatto utilizzando tecnologia americana per bombardare l’Ucraina. Questa possibilità contribuirebbe dunque in qualche modo a spiegare la reticenza di Russia e Teheran sul “mistero” dei droni nei cieli ucraini.
Il dubbio di Israele
La questione non ha a che fare solo con le vicende belliche nel paese dell’ex URSS, ma ha anche implicazioni diplomatiche di una certa portata. Per cominciare, il regime di Zelensky ha minacciato di interrompere i rapporti diplomatici con la Repubblica Islamica per via della fornitura di droni alla Russia. Più interessante è però la posizione in cui si viene a trovare lo stato ebraico. Alcuni ambienti di potere israeliani fremono per abbandonare ogni scrupolo e allinearsi alle posizioni NATO sul conflitto in Ucraina, accogliendo le richieste di inviare armi a Kiev.
Il governo di Israele ha finora tenuto una posizione piuttosto cauta sulla crisi russo-ucraina, principalmente per salvaguardare i tradizionali buoni rapporti con Mosca, utili in questi anni soprattutto per muoversi quasi del tutto liberamente in Siria. L’Ucraina, da parte sua, sta cercando di sfruttare precisamente le relazioni russo-israeliane per esercitare pressioni su Tel Aviv e ottenere le armi richieste, a cominciare da quelle di difesa anti-aerea.
Nel fine settimana, un membro del governo israeliano, il ministro degli affari per la “diaspora” Nachman Sahi, era uscito allo scoperto invitando il gabinetto del primo ministro Yair Lapid ad abbandonare le incertezze e prendere apertamente le parti del regime di Kiev. Dentro al governo di Israele sembrano esserci profonde divisioni sull’argomento, ma martedì il ministro della Giustizia, Gideon Saar, in un’intervista radiofonica riportata dal quotidiano Haaretz ha escluso un cambiamento di posizione da parte israeliana. L’appoggio all’Ucraina “non include [l’invio di] armamenti o equipaggiamenti militari”. Lunedì, addirittura, il ministro della Difesa israeliano, Benny Gantz, avrebbe anche rifiutato di rispondere a una richiesta di colloquio telefonico della sua controparte ucraina, Alexey Reznikov, mentre mercoledì ha ribadito la posizione di Saar nel corso di un incontro con gli ambasciatori UE in Israele.
Il disagio israeliano è comunque destinato ad aumentare e non solo perché il sostegno all’Ucraina si traduce di fatto nel sostegno a un regime infestato da elementi apertamente neo-nazisti. Il ministro degli Esteri di Kiev, Dmitry Kuleba, prevede infatti di chiedere “in via ufficiale” a Israele sistemi di difesa anti-missile. Il riferimento va immediatamente al famigerato “Irone Dome” israeliano, ma in questo caso la richiesta ucraina potrebbe essere più un fattore di imbarazzo politico che di effettiva utilità militare, nella speranza di sganciare Tel Aviv da Mosca, dal momento che questo sistema di difesa aerea è progettato per abbattere gli ordigni relativamente rudimentali della resistenza palestinese e potrebbe servire a poco o nulla contro i sofisticati missili russi.
L’ex presidente e attuale numero due del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa, Dmitry Medvedev, ha avvertito recentemente che l’invio di armi a Kiev comporterebbe la “distruzione delle relazioni diplomatiche” tra Russia e Israele. Il tono della minaccia è particolarmente grave se si pensa al livello di intesa tra i due paesi, soprattutto durante i recenti governi guidati da Netanyahu. Le imminenti elezioni anticipate in Israele aggiungeranno infine un ulteriore elemento di interesse alla questione, visto che lo stesso Netanyahu, notoriamente in ottimi rapporti con Putin, potrebbe tornare a occupare la carica di primo ministro.
Cambio della guardia a Washington?
Pochi giorni dopo quella in programma in Israele, si terrà negli Stati Uniti una altrettanto delicata elezione che potrebbe avere anch’essa qualche influenza sull’andamento della guerra in Ucraina. Il probabile ritorno sotto il controllo del Partito Repubblicano della Camera dei Rappresentanti e del Senato di Washington renderebbe secondo alcuni meno automatico lo stanziamento di fondi e di aiuti militari al regime di Zelensky.
L’effettiva intenzione dei repubblicani di ridimensionare l’impegno a favore del buco nero ucraino sarà comunque tutta da verificare. D’altra parte, l’offensiva anti-russa è, salvo rare eccezioni, un affare bipartisan a Washington e gli appelli, per ora sporadici, dei repubblicani alla prudenza soprattutto finanziaria potrebbero essere solo un’arma elettorale per intercettare consensi tra gli americani maggiormente colpiti dall’inflazione e dalle altre conseguenze della partecipazione di fatto degli Stati Uniti alla guerra in Ucraina.
Anche negli USA circolano ad ogni modo malumori sull’andamento del conflitto. Trump, la cui influenza sul Partito Repubblicano resta enorme, ha espresso più volte in vari recenti comizi la necessità di cercare un via d’uscita diplomatica alla crisi. Martedì, poi, il leader di minoranza alla Camera, Kevin McCarthy, ha parlato di possibili cambiamenti dopo il voto di novembre. Il numero uno dei repubblicani alla camera bassa del Congresso di Washington ha anticipato che, se il suo partito dovesse riconquistare la maggioranza, gli “assegni in bianco” firmati finora a favore dell’Ucraina potrebbero trovare difficoltà a essere approvati, dovendo gli Stati Uniti fare i conti con una recessione sempre più pesante.
L’amministrazione Biden e il Congresso hanno stanziato più di 67 miliardi di dollari per l’Ucraina dall’inizio delle operazioni russe, una cifra cioè superiore all’intero bilancio militare di Mosca per tutto l’anno 2021. Secondo il sito Punchbowl News, che ha raccolto le appena citate dichiarazioni di Kevin McCarthy, se i repubblicani dovessero tornare a controllare la maggioranza alla Camera e al Senato, la Casa Bianca e i leader democratici potrebbero forzare l’approvazione di un nuovo mega-pacchetto di aiuti valido per un anno intero a favore dell’Ucraina prima dell’insediamento del nuovo Congresso ai primi di gennaio.
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