Le “modifiche” del reddito di cittadinanza annunciate dal sottosegretario al lavoro Durigon sono una porcata schiavista contro i poveri.
Passa infatti un principio che è alla base dell’ideologia del peggiore liberismo: i disoccupati sono tali per colpa loro, perché non si danno da fare a sufficienza.
Così il governo Meloni inventa una nuova categoria sociale, che va oltre la distinzione classica tra chi il lavoro ce l’ha e chi no: chi PUÒ lavorare.
Chi può lavorare, anche se nessuno lo fa lavorare, perde il reddito.
Poi c’è la beffa dei “corsi di formazione”, durano sei mesi e non servono assolutamente a nulla. Alla fine se, come è ovvio, il disoccupato sarà ancora tale, tornerà il reddito, ma tagliato del 25% e dopo del 50 ed alla fine del 100. Zero lavoro e zero reddito, questa è la perequazione sociale del governo.
La campagna mediatica e padronale contro i “furbetti del reddito” viene accolta dal governo, che con stentorea fermezza stabilisce che chi rifiuterà anche una sola offerta di lavoro, perderà il reddito anche avendone pieno diritto.
Quale offerta di lavoro, a quali condizioni, in quale parte del paese?
Nulla è previsto, perché chi vuol lavorare deve essere disposto a tutto. Ricordate i proprietari di esercizi vari che in tv insultavano i disoccupati meridionali, perché non volevano emigrare a centinaia di chilometri di distanza per ricevere le paghe di fame che quegli imprenditori offrivano?
Ecco ora “giustizia è fatta”, chi vorrebbe un lavoro sicuro e dignitoso non avrà più il reddito.
Insomma: chi riceve un’offerta di lavoro da schiavi e la rifiuta perde il reddito, chi non riceve neanche quella dopo un po’ lo perde lo stesso.
Con questa infamia il governo pensa di recuperare tre miliardi all’anno.
Ma lo scopo di questa controriforma non è solo quello di rubare soldi ai poveri, per far quadrare i conti di un bilancio che non toglie nulla, anzi fa regali ai ricchi.
No, il governo vuol soprattutto imporre al lavoro un nuovo vincolo oppressivo. Il messaggio di fondo del provvedimento è infatti: dovete lavorare anche per 500 euro al mese, anche in nero, perché sennò morite di fame.
È la stessa funzione della Legge Bossi-Fini per i migranti. Che sono sottoposti al ricatto del padrone, che ha in mano anche il loro permesso di soggiorno, per cui se vengono licenziati diventano anche clandestini.
Ora saranno i poveri a subire il semplice e brutale ricatto della fame: non vuoi fare lo schiavo? Non ci sarà più il reddito a farti mangiare.
Tutto questo produrrà una nuova disponibilità di lavoro a basso prezzo, con un generale abbattimento dei salari, anche per chi è già occupato e per questo Confindustria festeggia.
“La pacchia è finita”, direbbero Meloni e Salvini. E alimentare la guerra tra i poveri è il modo migliore per sfruttarli meglio tutti. Non si è fascisti per caso.
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