Pochi giorni fa abbiamo pubblicato sul giornale una lezione che Massimo Zucchetti, professore del Politecnico di Torino, ha deciso di mettere a disposizione su YouTube. In quel video di un’ora e mezzo ha spiegato quali sono gli effetti delle radiazioni sugli esseri umani.
In questo tempo in cui si sentono i nostri governanti parlare in continuazione di opzioni nucleari, Zucchetti ha pensato bene di far capire perché la guerra nucleare è una tragedia che non dovrebbe mai essere presa come possibile. Ottimo tempismo, considerate le dichiarazioni apparse il giorno successivo sul New York Times.
Pranay Vaddi, un direttore senior del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli USA, ha partecipato all’incontro annuale dell’Arms Control Association, un’organizzazione che si occupa anche di limitazione della proliferazione di armi nucleari. L’intervento di Vaddi è andato nella direzione opposta.
“In assenza di un cambiamento nella traiettoria dell’arsenale avversario nei prossimi anni potremmo raggiungere un punto in cui sarà necessario un aumento rispetto all’attuale numero di unità schierate”. Quando parla di avversari si riferisce ovviamente a Russia e Cina, e in una certa misura alla Corea del Nord.
Lo stesso New York Times scrive che queste parole “sono l’avvertimento pubblico più esplicito finora che gli Stati Uniti sono pronti a passare dal semplice ammodernamento del proprio arsenale alla sua espansione”. Il tema è nel dibattito politico da almeno un anno, ma mai era stato trattato in maniera così diretta.
Già l’anno scorso era stato registrato un aumento di 86 testate negli arsenali di tutto il mondo: 12.512 in totale, di cui tre quarti pronte all’uso. Il 90% di questi ordigni è diviso più o meno equamente tra Stati Uniti e Russia, prima potenza globale in questo ambito.
Proprio Mosca, nel febbraio 2023, ha deciso di sospendere (anche se non di ritirarsi) dal New Strategic Arms Reduction Treaty (New START), firmato nel 2010 per limitare il dispiegamento di armi strategiche nucleari a 1.550 testate. Dalla Casa Bianca hanno subito risposto con forza, paventando la possibilità di disattendere concretamente l’accordo.
Ad ogni modo, il New START arriverà a scadenza naturale nel febbraio 2026, e ad ora non sembra ci siano le condizioni per qualsiasi tipo di sua rinegoziazione. Che ad ogni modo sarebbe stata difficile, perché lo scenario verso cui andiamo non è quello della deterrenza a cui siamo abituati.
Sia chi ha vissuto la Guerra Fredda, sia chi l’ha sentita raccontare o l’ha letta sui libri, conosce la situazione per cui sono due superpotenze a confrontarsi e a minacciarsi della distruzione nucleare. Ma oggi le prospettive che hanno in testa a Washington vedono un nuovo pericolo nella Cina.
Sempre Vaddi ha affermato la volontà di “un approccio più competitivo” per spingere sia Mosca sia Pechino a sedersi al tavolo di nuovi negoziati. Eppure, il Dragone ha poco più di 400 testate, un numero ben lontano da quello degli altri due attori in campo.
Ma già dallo scorso anno le previsioni statunitensi hanno messo in chiaro che nel periodo che andrà dal 2027 al 2035 (ovvero appena dopo la fine del New START) la Cina raggiungerà la capacità critica di 1.500 ordigni nucleari. Questo limite viene considerato come sufficiente a un salto qualitativo nel ruolo internazionale del paese.
In una situazione con tre superpotenze nucleari entra in gioco quello che nella fisica è definito come ‘il problema dei tre corpi’, ovvero il tentativo di prevedere il comportamento di un sistema dinamico di tre masse puntiformi. Anche se nel tempo soluzioni sono state trovate, questo problema ha per lungo tempo rappresentato l’incertezza legata a un sistema con tre attori.
In politica ciò significherebbe ‘paradosso della sicurezza’: impossibilitati a prevedere il comportamento altrui, ci si riarma per aumentare le proprie difese. Peccato che la stessa cosa faranno gli altri soggetti del sistema, e l’ultima volta che si è innescata questa dinamica è scoppiata la Prima guerra mondiale.
Vaddi ha citato addirittura un quarto protagonista. Iran, Cina, Russia e Corea del Nord “stanno sempre più cooperando e coordinandosi tra loro in modi che vanno contro la pace e la stabilita”.
La risposta degli Stati Uniti, che già hanno imposto sanzioni, armato Taiwan e l’Ucraina, spinto le loro basi militari ai confini di questi paesi, non è quella di fare un passo indietro è riattivare la cooperazione internazionale. È quella di una potenza imperialista e suprematista, ovvero minacciare un’ulteriore escalation.
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