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08/06/2024

Normandia 1944-2024: fu davvero qui che «cominciò la sconfitta del nazismo»?

Proviamo a lasciare da parte, per un momento, la questione delle armi e, nello specifico, delle armi occidentali fornite alla junta nazigolpista di Kiev per colpire il territorio russo – ma solo nelle vicinanze del confine, «non Mosca o il Cremlino», dice Joe Baiden, che forse dubita della solidità dei bunker della Casa Bianca in caso di risposta russa – quantunque la posta in gioco sia una “cosa da nulla” come il futuro della vita sul pianeta.

Cerchiamo di non parlare di armi fornite «a Kiev per difendersi dall’aggressione russa» (Ansa) e concentriamoci su qualcos’altro.

I lettori hanno certamente tenuto il conto di quante volte e con quale enfasi siano state pronunciate in questi giorni le parole “democrazia”, “tirannia”, “forze oscure”, “dittatori”, “eroi” e, in particolare, «il sostegno costante e a lungo termine» all’Ucraina e la “difesa della democrazia”, imprescindibile binomio lessicale degli ultimi due anni.

L’80° anniversario dell’operazione “Overlord” sulle spiagge della Normandia ha offerto un’occasione ghiotta per accomunare gli «immortali eroi» del giugno 1944 agli ucraini che sì, dice Biden, stanno «subendo grandi perdite, ma non si sono mai tirati indietro».

E come potrebbero? Viene da chiedere, dati gli ordini di Washington di continuare a oltranza la guerra, vista la legge voluta da Vladimir Zelenskij che vieta colloqui di pace con Mosca, e le norme schiavistiche sulla mobilitazione emanate da Kiev?

Ma, lasciamo per un momento da parte anche questo. D’altronde, fu proprio in quel giugno di «ottanta anni fa che l’Europa cominciò a liberarsi dal nazismo» (Ansa): né un mese prima, né un paio d’anni prima, tipo nel febbraio del ‘43 sulle rive del Volga, tanto per dire, o nel luglio di quello stesso ‘43, nelle pianure di Kursk.

E solo nella notte tra il 5 e il 6 giugno l’Europa «voltò pagina, si aprì il fronte che tutti aspettavano», e che qualcuno, a est, alle prese con una guerra di sterminio nazista, sollecitava almeno dal 1941, perché promesso dagli Alleati.

Certo, fu solo nel giugno del ‘44 che «cominciò la sconfitta del nazismo»… Ma solo (molto) dopo che, sul fronte orientale, erano state praticamente annientate oltre 230 divisioni tedesche (ma anche rumene, italiane, finlandesi, ecc.), mentre a ovest si andava avanti con “azioni di commandos”, operazioni risoltesi in smacchi clamorosi contro appena 58 divisioni tedesche; oppure si esaltava come “decisivo” lo scontro con le 15 divisioni hitleriane disposte in Normandia nel giugno 1944, dimenticando che, senza l’operazione “Bagration” di alleggerimento in Bielorussia, gli “alleati” avrebbero rischiato di arenarsi sulle spiagge francesi.

Eroi, senza dubbio, i giovani americani, britannici, canadesi, francesi di “Overlord”. Ma erano davvero gli alleati che allora «difendevano la libertà dell’Europa» e sono davvero i golpisti di Kiev che «difendono la libertà dell’Europa adesso»? Lo scambio di identità non potrebbe essere più violento...

Ma a che pro rivangare oggi le promesse “alleate” del 1941, quando le scene sono calcate da re, cancellieri, presidenti (una ventina sì e no, a ribadire che “abbiamo fatto tutto noi: noi abbiamo vinto e noi celebriamo la vittoria; gli altri, il resto del mondo, non c’entrano nulla”) a ricordare «le lotte del passato per illuminare le lotte del presente» (il manifesto), laddove si dà per sottinteso che le «lotte del presente» siano quelle di chi inneggia a simboli e blasfemie dei Komplizen filonazisti di ottant’anni fa.

Stride un po’, no? Basta far finta di nulla.

Così come il diretto interessato, il presidente golpista in tenuta fascion banderista, assicura che lui ha altro da fare che non mettersi a discutere del suo status illegittimo e delle diatribe costituzionali, dopo che il 20 maggio è scaduto il suo mandato presidenziale: i padrini occidentali lo riconoscono comunque quale presidente e tanto gli basta.

Tanto gli basta per andare il 15 e 16 giugno a Bürgenstock a sentirsi ripetere dai tagliagole dell’Eliseo che «di fronte a coloro che affermano di voler cambiare i confini o riscrivere la storia, dobbiamo essere degni di coloro che l’hanno scritta qui», in Normandia.

Ora, però, se proprio si vuol parlare di «cambiare i confini» in Europa, cominciamo col ricordare quelli della ex Jugoslavia, bombardata e smembrata da USA-NATO-UE: una riscrittura di confini a noi temporalmente e geograficamente più vicina.

E se proprio si vogliono far paralleli come quello di “Overlord”, che avrebbe deciso le sorti della guerra, facciamo qualche altro parallelo. Cominciando, ad esempio – in tema di “conferenze per la pace” – col pensare a quanto abbia contribuito allo scatenamento della guerra la capitolazione franco-britannica a Monaco nel settembre 1938, preceduta nel 1925 dal trattato di Locarno tra Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Belgio.

«Locarno ha liberato lo spirito della guerra», disse quell’anno Stalin, commentando quel “prototipo” del complotto tra Chamberlain, Daladier, Hitler e Mussolini. In entrambe le occasioni, le “democrazie” occidentali avevano pensato bene di assicurare la “pace a ovest”, indirizzando a est le spinte revansciste tedesche.

Se nel 1934 – ricordava nel 1961 l’ex ambasciatore sovietico a Londra, Ivan Majskij – tutte le frazioni dei circoli governativi britannici vedevano in una rinnovata “Intesa” (Inghilterra, Francia, Russia) la via per salvaguardare gli interessi britannici, nel 1935 si dividono in due campi: fautori dell’“interesse di stato”, e fautori dell’odio di classe.

I primi erano per un riavvicinamento Inghilterra-URSS; i secondi ragionavano così: «per l’impero britannico sono pericolosi sia la Germania hitleriana, che la Russia sovietica ed è dunque necessario farle scontrare, rimanendo in disparte; quando entrambe si saranno dissanguate, arriverà il momento di entrare in scena per l’occidente e in particolare per la Gran Bretagna. L’occidente detterà allora una tale pace a URSS e Germania, che quelle non si risolleveranno più, assicurando una sicurezza eterna all’impero».

E prima ancora di Monaco, a proposito di “conferenze” e summit “per la pace”, dalla trascrizione dell’incontro Hitler-Halifax (più tardi, Ministro degli esteri britannico; i verbali vennero trovati a Berlino alla fine della guerra) del novembre 1937 risulta evidente come Halifax proponesse a Hitler una sorta di alleanza sulla base di un “Patto a quattro”, offrendogli mano libero verso l’Europa centrale e orientale.

Dice Halifax: «non si deve escludere alcuna possibilità di mutamento della situazione esistente» e tra «tali questioni vi sono Danzica, Austria, Cecoslovacchia»; e aggiunge che «l’Inghilterra ha solo interesse a che tali mutamenti vengano realizzati per evoluzione pacifica e che sia possibile evitare metodi che possano causare futuri sconvolgimenti, non desiderati né dal Führer, né da altri paesi».

Dunque, come avete detto? «Cambiare i confini»? Eccovi serviti: per mano delle “democrazie” occidentali. E infatti, appena pochi giorni dopo l’investitura ufficiale di Halifax a Ministro degli esteri, il 12 marzo 1938 la Germania invade l’Austria e lo fa, a scorno britannico, proprio nel giorno in cui Neville Chamberlain riceve in tutta solennità a Londra Joachim Ribbentrop e appena un mese prima che, nell’aprile 1938, Chamberlain e Mussolini firmino un accordo di amicizia e collaborazione italo-britannico.

«Le lotte del passato per illuminare le lotte del presente» avete detto?

Quando il 17 marzo 1938, di fronte alla crescente aggressività nazista, il Ministro degli esteri sovietico Maksim Litvinov dichiara alle Izvestija, tra le altre cose, che Mosca è pronta «a partecipare ad azioni collettive, che siano decise insieme ad essa e che abbiano l’obiettivo di arrestare l’ulteriore avanzata dell’aggressione e di eliminare il crescente pericolo di un nuovo macello mondiale», dalla capitale della “più antica democrazia d’Europa” si risponde che il governo britannico «saluterebbe caldamente la convocazione di una conferenza internazionale con la partecipazione di tutte le potenze europee» (cioè di aggressori e non aggressori), ma che è contrario alla convocazione «di una conferenza a cui partecipino soltanto alcune potenze europee e che abbia l’obiettivo... di organizzare un’azione unitaria contro l’aggressione».

A queste parole, così chiosava Majskij: “invece della lotta agli aggressori, inutili chiacchiere con gli aggressori!” Ancora un “comitato di non intervento”, non già per la Spagna, ma per le questioni paneuropee.

Per quelle questioni per cui, quasi novant’anni dopo, si intende organizzare un “comitato di intervento” che scateni dall’Europa un conflitto mondiale.

Sono loro che oggi «difendono la libertà dell’Europa» avete detto a proposito dei banderisti ucraini, eredi proclamati di quelli che nel 1943 facevano stragi della popolazione polacca della Volinja e, per tutta la durata della guerra, massacravano soldati sovietici, civili ebrei, ucraini, bielorussi e partigiani jugoslavi e italiani.

Il 22 marzo 1939 Mosca si dichiara d’accordo per una dichiarazione congiunta Londra-Parigi-Mosca-Varsavia contro l’aggressività nazista; la Polonia dei colonnelli rifiuta e il 23 marzo Chamberlain dichiara in parlamento che Londra è contraria a dar vita in Europa a blocchi contrapposti di potenze.

Quei blocchi invocati oggi dai guerrafondai di USA-NATO-UE, ebbri di affari militar-finanziari, sordi alle richieste di pace dei popoli e cinici tagliagole dell’umanità.

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