Si è dovuti attendere la tarda serata, tra lanci di stracci e «letterine» inviate al governo come quella firmata da Draghi-Trichet al Berlusconi quater nel 2011, per mettere la parola fine alla riforma del calcio italiano.
Riforma, per come infine partorita, svuotata del senso originario tanto agognato dal senatore Claudio Lotito (Forza Italia, nonché presidente della Lazio), ma che nella sua formulazione definitiva ha dovuto fare i conti con i diktat dell’Europa, che nel calcio si chiama Union of European Football Associations (Uefa).
L’emendamento Mulè, dal nome del deputato di Forza Italia Giorgio Mulè, ottiene dunque il via libera in Parlamento, ma la retromarcia del governo e della «fronda autonomista del calcio» è evidente.
Il testo originario si incardinava infatti su tre elementi centrali:
1) l’autonomia delle leghe che organizzano campionati sportivi professionistici dalle federazioni di riferimento, nel calcio italiano rispettivamente la Lega Serie A del presidente Casini e la Federazione Italiana Giuoco Calcio (Figc) del presidente Gravina;
2) peso elettorale e rappresentanza negli organi direttivi nelle federazioni in base al contributo economico apportato al sistema;
3) possibilità per le società di andare in ricorso in sede amministrativa, bypassando la giustizia sportiva, contro atti ritenuti pregiudizievoli da parte delle federazioni, come il Coni o la Figc appunto.
La sottrazione del business del calcio al governo della Figc aveva creato una levata di scudi da parte della Uefa e della Fifa, rispettivamente l’organismo europeo e internazionale che detengono il monopolio dell’organizzazione degli eventi calcistici.
Nella mattina di giovedì i due organismi avevano fatto recapitare una «letterina» al governo: se l’emendamento non viene rivisto, “non avremmo scelta se non quella di deferire la questione ai nostri organi decisionali per valutare misure, compresa l’eventuale sospensione della Figc”.
In altri termini, Uefa e Fifa avvertivano che, se il controllo della Serie A fosse stato sottratto alla Figc e di riflesso agli organismi internazionali, esse avrebbero sospeso le squadre italiane dalle competizioni europee e ritirato l’Italia dalla co-organizzazione (con la Turchia) dagli europei del 2032.
Immaginate i titoli dei giornali: “Il governo Meloni elimina la Juve dalla Champions League”. Troppo alta la posta in gioco per continuare il braccio di ferro, se si considerano i 24 milioni di tifosi-elettori interessati dal comparto calcio.
Dunque, la riforma firmata Mulè, voluta da Lotito e supportata pubblicamente da Casini fa marcia indietro e ottiene di fatto solo l’aumento di peso della Serie A negli organi di rappresentanza in Consiglio federale (prima della riforma al 12%, contro per esempio il 34% dei dilettanti).
Soddisfazione ostentata dal deputato Mulè e più sincera invece al Quirinale, che nei giorni scorsi si era espresso in favore di una maggiore attenzione ai voleri dell’Europa. Come tradizione vuole, verrebbe da dire…
Come spesso accade nel sistema capitalistico, in cui il sistema calcio è ahinoi pienamente integrato, pesce grande comanda (quando non mangia) pesce piccolo.
La Uefa, supportata dalla Fifa, continua a serrare i ranghi contro ogni tentativo di limitazione dell’immenso potere acquisito nei suoi 70 anni di vita, festeggiati proprio nel giugno del 2024.
Potere illegittimo riconosciuto anche dalla Corte di Giustizia Europea, che ha definito monopolistica l’attività dell’associazione nel mercato del calcio europeo.
Contro il grande capitale, il piccolo capitale non può che sopperire.
Purtroppo, degli interessi e delle passioni dei tifosi, che si vorrebbe relegati a meri consumatori del prodotto-calcio, e della salvaguardia dello spirito della competizione sportiva, sacrificata sull’altare del profitto, ovviamente in questa vicenda non vi è traccia.
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