La manifestazione sulla Palestina di sabato 7 giugno ha visto una enorme partecipazione popolare. Non meno di 80mila persone hanno riempito le strade intorno a piazza San Giovanni dove si è concluso il breve corteo partito da piazza Vittorio.
Si è avuta la netta sensazione che quelle persone da tempo attendessero un appuntamento che tardava a venire, frenato dalle proprie direzioni politiche, ancora prigioniere della paura delle parole per definire come tale il genocidio del popolo palestinese da parte di una “democrazia” che da un anno e mezzo pratica il terrorismo di stato, usufruendo di una inaccettabile indulgenza mai riservata ad altri paesi da parte dei suoi alleati, simili e complici.
Eppure in questi mesi era diventata ben visibile l’empatia popolare verso i palestinesi e l’ostilità verso Israele e i suoi apparati di propaganda all’estero.
I tre principali partiti di opposizione (PD, M5S, AVS) hanno atteso mesi per prendere una iniziativa politica di massa ampiamente attesa e altrettanto disattesa.
E hanno provato a tenere tutto dentro una stessa manifestazione, andando alla verifica della piazza, una piazza che però – ad esempio – non ha gradito ed ha contestato la rivendicazione di un “sionismo buono” da parte di Gad Lerner. Sono posizioni che non reggono più alla prova dei fatti.
È andata peggio al ciarpame politico di Calenda e Renzi che a Milano si sono visti contestati dai sionisti perché troppo timidi sul sostegno a Israele.
Hanno avuto ragioni da vendere le reti e le associazioni solidali con la Palestina che hanno manifestato ininterrottamente dall’ottobre 2023 nelle strade di tutte le città italiane senza mai trovarsi al fianco nelle piazze i partiti che hanno manifestato ieri, ma solo i loro singoli iscritti.
Come abbiamo scritto spesso in questi anni, la “seccatura palestinese” è sempre stata ritenuta divisiva, scomoda, da evitare o ridurre al minimo sindacale sul piano delle posizioni da prendere e delle parole da usare.
Ma via via nella società è venuta salendo una spinta morale e una indignazione contro il genocidio dei palestinesi da parte di Israele, che non sopportava più mezze misure e mezze parole. Una indignazione che la politica delle forze del centro-sinistra ha faticato a cogliere fino a quando, con una tardiva intuizione, ha deciso di dargli spazio.
Adesso la società ha battuto un altro colpo dopo diciassette mesi di manifestazioni per la Palestina. Spetta alla politica trasformare le parole in fatti, a cominciare dall’interruzione degli accordi di collaborazione militare, tecnologica, economica accademica con gli apparati israeliani.
I portuali genovesi hanno già dimostrato sul campo come si fa lasciando vuote le stive di una nave israeliana. Gli studenti universitari lo hanno già dimostrato fattivamente bloccando, denunciando, contestando gli accordi di collaborazione accademica.
All’appello manca ancora – e ovviamente – il governo della destra che si riconosce pienamente nella logica suprematista che ispira oggi il progetto sionista di Israele e affida ai balbettamenti “umanitari” del ministro Tajani le poche iniziative e le poche parole in materia.
La “seccatura palestinese” ci parla anche del politicidio commesso da anni contro i palestinesi negandogli ogni identità e prospettiva politica e riducendola, appunto, a mera questione umanitaria. E gli anni di politicidio hanno spianato la strada al genocidio vero e proprio.
Adesso tutto questo è davanti agli occhi di tutti, ognuno deve prendersi le proprie responsabilità, di fronte alla storia e di fronte all’umanità. Senza sconti.
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