Da due giorni Los Angeles è diventato un campo di battaglia, dopo i raid anti-migranti messi in atto dall’agenzia federale che si occupa di confini e immigrazione, l’Immigration and Customs Enforcement (ICE). Washington ha deciso di dispiegare in città 2 mila uomini della Guardia Nazionale, facendo tornare alla mente il livello di scontro raggiunto nel 1992 nella metropoli californiana.
Anche allora, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso in un’area caratterizzata da una forte presenza latina, era stata la violenza della polizia. Infatti, venerdì scorso l’ICE avrebbe deciso di portare avanti almeno tre operazioni di perquisizione in varie attività lavorative (in particolare negozi di abbigliamento) alla ricerca di lavoratori irregolari e senza i dovuti permessi.
Sul New York Times un testimone oculare della violenza poliziesca ha detto che gli agenti, all’interno di un esercizio commerciale, hanno fatto disporre lungo il muro tra i 20 e i 30 lavoratori, per poi interrogarli uno a uno. Quasi come fossero tutti criminali, per un’ora o più sono stati trattenuti, mentre al di fuori dei negozi si raggruppavano manifestanti.
Stando alle informazioni diffuse dalle autorità, almeno 44 persone sarebbero state arrestate durante questi raid, una pratica incoraggiata da Trump anche durante il suo primo mandato. Ma in un quadro in cui il tycoon sta usando la mano pesante sui migranti – Stephen Miller, il vicecapo di gabinetto della Casa Bianca vorrebbe 3 mila arresti al giorno – l’esasperazione è scoppiata in sommosse.
Centinaia di manifestanti hanno continuate a protesta anche al di fuori dei centri di detenzione, mentre sin da subito la polizia ha usato lacrimogeni e spray al peperoncino in un’escalation durissima della repressione, finendo infine per autorizzare anche l’utilizzo di proiettili di gomma. Ciò ha portato solo all’aumento della rabbia popolare in città.
Gli eventi sono diventati occasione di competizione tra l’inquilino della Casa Bianca e il Partito Democratico. La sindaca democratica di Los Angeles, Karen Bass, ha criticato l’operazione dell’ICE poiché avrebbe seminato il terrore nella comunità ispanica, mentre Gavin Newsom, governatore della California anch’egli democratico, ha affermato che l’utilizzo della Guardia Nazionale “non farà che aumentare le tensioni”.
A sua volta, Trump ha scritto sul social Truth: “il governatore della California, Gavin Newscum (gioco di parole col cognome reale, ‘scum’ significa ‘feccia’, ndr), e il sindaco di Los Angeles, Karen Bass, non riescono a fare il loro lavoro, cosa che tutti sanno, allora il governo federale interverrà e risolverà il problema delle rivolte e dei saccheggiatori nel modo giusto!!!”.
Il modo giusto potrebbe arrivare a contemplare persino l’intervento militare. Il segretario alla Difesa Peter Hegseth ha affermato che quella dei migranti è “una pericolosa invasione criminale facilitata dai cartelli criminali (ovvero organizzazioni terroristiche straniere) e un enorme rischio per la sicurezza nazionale”.
La solita retorica del nemico esterno che mette a repentaglio il paese è stata rafforzata dalla dichiarazione per cui, se sarà necessario, Hegseth si è detto disposto a dispiegare persino i Marines per fermare le proteste. Una scelta che significherebbe dire al mondo interno che Los Angeles è davvero un campo di battaglia, ma tutto interno alla divisa società statunitense.
Altre manifestazioni sono state segnalate in città vicine, mentre va sottolineato anche il fatto che, come ricorda la CNN, è la prima volta dal 1992 che si prende la decisione di schierare la Guardia Nazionale. Ma questo non è il frutto di organizzazioni terroristiche, bensì delle contraddizioni della società stelle-e-strisce che tra crisi e odi razziali sta raggiungendo sempre più il proprio culmine.
Il clima nelle strade della California è da guerra civile, e del resto la rabbia di chi è in piazza non può essere raccolta dai democratici, che si sono comunque affrettati a condannare e a giurare di punire le forme più dure della protesta. I riferimenti al 1992 sono significativi di un punto di non ritorno per gli USA.
La testimonianza di Luca Celada, corrispondente de il manifesto.
Anche allora, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso in un’area caratterizzata da una forte presenza latina, era stata la violenza della polizia. Infatti, venerdì scorso l’ICE avrebbe deciso di portare avanti almeno tre operazioni di perquisizione in varie attività lavorative (in particolare negozi di abbigliamento) alla ricerca di lavoratori irregolari e senza i dovuti permessi.
Sul New York Times un testimone oculare della violenza poliziesca ha detto che gli agenti, all’interno di un esercizio commerciale, hanno fatto disporre lungo il muro tra i 20 e i 30 lavoratori, per poi interrogarli uno a uno. Quasi come fossero tutti criminali, per un’ora o più sono stati trattenuti, mentre al di fuori dei negozi si raggruppavano manifestanti.
Stando alle informazioni diffuse dalle autorità, almeno 44 persone sarebbero state arrestate durante questi raid, una pratica incoraggiata da Trump anche durante il suo primo mandato. Ma in un quadro in cui il tycoon sta usando la mano pesante sui migranti – Stephen Miller, il vicecapo di gabinetto della Casa Bianca vorrebbe 3 mila arresti al giorno – l’esasperazione è scoppiata in sommosse.
Centinaia di manifestanti hanno continuate a protesta anche al di fuori dei centri di detenzione, mentre sin da subito la polizia ha usato lacrimogeni e spray al peperoncino in un’escalation durissima della repressione, finendo infine per autorizzare anche l’utilizzo di proiettili di gomma. Ciò ha portato solo all’aumento della rabbia popolare in città.
Gli eventi sono diventati occasione di competizione tra l’inquilino della Casa Bianca e il Partito Democratico. La sindaca democratica di Los Angeles, Karen Bass, ha criticato l’operazione dell’ICE poiché avrebbe seminato il terrore nella comunità ispanica, mentre Gavin Newsom, governatore della California anch’egli democratico, ha affermato che l’utilizzo della Guardia Nazionale “non farà che aumentare le tensioni”.
A sua volta, Trump ha scritto sul social Truth: “il governatore della California, Gavin Newscum (gioco di parole col cognome reale, ‘scum’ significa ‘feccia’, ndr), e il sindaco di Los Angeles, Karen Bass, non riescono a fare il loro lavoro, cosa che tutti sanno, allora il governo federale interverrà e risolverà il problema delle rivolte e dei saccheggiatori nel modo giusto!!!”.
Il modo giusto potrebbe arrivare a contemplare persino l’intervento militare. Il segretario alla Difesa Peter Hegseth ha affermato che quella dei migranti è “una pericolosa invasione criminale facilitata dai cartelli criminali (ovvero organizzazioni terroristiche straniere) e un enorme rischio per la sicurezza nazionale”.
La solita retorica del nemico esterno che mette a repentaglio il paese è stata rafforzata dalla dichiarazione per cui, se sarà necessario, Hegseth si è detto disposto a dispiegare persino i Marines per fermare le proteste. Una scelta che significherebbe dire al mondo interno che Los Angeles è davvero un campo di battaglia, ma tutto interno alla divisa società statunitense.
Altre manifestazioni sono state segnalate in città vicine, mentre va sottolineato anche il fatto che, come ricorda la CNN, è la prima volta dal 1992 che si prende la decisione di schierare la Guardia Nazionale. Ma questo non è il frutto di organizzazioni terroristiche, bensì delle contraddizioni della società stelle-e-strisce che tra crisi e odi razziali sta raggiungendo sempre più il proprio culmine.
Il clima nelle strade della California è da guerra civile, e del resto la rabbia di chi è in piazza non può essere raccolta dai democratici, che si sono comunque affrettati a condannare e a giurare di punire le forme più dure della protesta. I riferimenti al 1992 sono significativi di un punto di non ritorno per gli USA.
La testimonianza di Luca Celada, corrispondente de il manifesto.
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Battle of LosAngeles
Battle of LosAngeles
Qualche ora fa, nella notte italiana, Donald Trump ha annunciato di aver mobilitato la guardia nazionale californiana ordinando a 2000 soldati di muovere su Los Angeles.
Si tratta in realtà di un commissariamento dato che i riservisti di ogni stato dipendono dai rispettivi governatori. Solo in casi eccezionali quell’autorità può essere impugnata dal presidente, come aveva fatto Eisenhower ad esempio quando aveva mandato la national guard dell’Arkansas ad integrare le scuole pubbliche di Little Rock.
L’azione di Trump è invece una drastica escalation che sbanda il paese verso l’anticamera del conflitto civile.
Il governatore Newsom ha infatti affermato che l’azione non solo non è necessaria, ma atta piuttosto ad infiammare ulteriormente la situazione.
La “situazione” è la tensione provocata dai raid militari inscenati a partire da venerdì quando dai soliti commando mascherati sono apparsi in numerosi quartieri della città in convogli di veicoli corazzati in stile Falluja, armi da guerra in mano e dita sui grilletti degli AR15.
Così combinati hanno inscenato rastrellamenti davanti a Home Depot (la catena di grandi magazzini del fai da te nei cui parcheggi stanziano lavoratori in attesa di piccoli lavori edili e ingaggi giornalieri). Altri blindati hanno preso la strada di Westlake, il quartiere più densamente popolato della città, dove i marciapiedi sono ingolfati di colorati mercatini e robivecchi, innescando panico e fuggi fuggi fra la popolazione centroamericana.
Altri federales ancora sono apparsi nel “garment district,” il distretto dell’abbigliamento e fatto irruzione nella AmbianceApparel, sigillando i cancelli e arrestando una quarantina di lavoratori della fabbrica.
Come accaduto una settimana prima a San Diego (ma anche Minneapolis a Chicago e in Massachussetts), i raid hanno suscitato la reazione indignata ed infuriata di famigliari e colleghi dei desaparecidos spintonati dentro furgoni senza insegne.
La gente ha tentato di bloccare i veicoli apostrofando i paramilitari come “fascisti!”. Circondati, gli “agenti” (ma la loro identità rimane un mistero, spesso indossano uniformi che sembrano improvvisate e di diverso tipo, non portano nominativi ed hanno il volto sempre coperto) hanno reagito con lacrimogeni e granate stordenti.
Nelle colluttazioni vi sono stati numerosi contusi. David Huerta, segretario della SEIU (il maggiore sindacato del settore pubblico – 700.000 membri nella contea), che tentava di informarsi sugli operai sequestrati, è stato malmenato, portato in ospedale e poi arrestato per resistenza.
La gente ha organizzato cortei spontanei sotto il centro di detenzione ed il tribunale federale da cui si sentivano grida di “ayudenos!” provenienti dagli scantinati dove i detenuti sono stati richiusi senza accesso ad avvocati. Le proteste ed i tafferugli sono durati fino a tarda notte.
Ieri mattina altre retate. L’esercito ombra è riapparso al Home Depot di Paramount, quartiere working class a sud di downtown dove si sono ripetute le stesse scene. Quando ci sono passato io, c’erano forse 500 persone in strada che urlavano la propria rabbia agli agenti che si erano portati via una dozzina di uomini.
Occasionalmente i paramilitari sparavano raffiche di proiettili di gomma e lacrimogeni per disperdere la folla che tornava regolarmente ad avvicinarsi tenendo in mano scritte “Fuck ICE” e “Fascists go home!”
Nel pomeriggio ci sono state una serie dichiarazioni dei ministri di Trump. Kristi Noem ha diffidato i “riottosi” affermando che “i manifestanti verranno arrestati e condannati”. Stephen Miller, consigliere per la remigrazione, ha riposto alla sindaca Karen Bass che aveva condannato l’operato delle truppe: “Non ha voce in capitolo, il potere federale è supremo. Sederemo l’insurrezione”.
La qualifica è risibile. I disordini non solo ammontano ad un centesimo di ciò che è avvenuto il 6 gennaio 2021, ma non si avvicinano nemmeno a quello che puntualmente si verifica quando vincono un campionato i Lakers.
Questo non ha impedito che Tom Homan (titolo ufficiale “zar delle deportazioni” e un phsyique du rôle alla Hermann Goering) di dichiarare “inammissibili” gli “attacchi terroristici” (al massimo sono volate delle uova) contro gli agenti impegnati ad arrestare “pericolosi criminali e trafficanti di bambini”. La consueta narrazione del “american carnage” qui sonoramente smentita dai fatti.
Ma questo naturalmente non ha impedito che si giungesse alla fase già da prima preventivata, annunciata per mezzo del solito tweet ieri sera: la mobilitazione della guardia nazionale “per proteggere la cittadinanza” (che prima di venerdì e dei raid militari, a dire il vero, stava benone).
Saranno ora i soldati a presidiare la città – contro la volontà della sindaca, del governatore e dei cittadini per i quali le truppe equivalgono ad una forza di occupazione ostile.
Ad aprile un decreto esecutivo titolato “sguinzagliare le forze dell’ordine”, ordinava specificamente “il trasferimento di materiale militare quali veicoli blindati ed equipaggiamento tattico” ai dipartimenti di polizia nonché l’addestramento degli agenti da parte del ministero della difesa, disposizioni in palese contravvenzione dei divieti costituzionali all’impiego civile della forza militare.
Ecco ora l’operazione organizzata ad arte per creare l’emergenza fittizia che ne giustifichi l’impiego per controllare una popolazione inadempiente che Trump ha nel mirino da tempo. Parliamo di un’area urbana allargata di 13 milioni di abitanti – la metà ispanici, fino al 10% potrebbero essere sprovvisti di permesso di lavoro.
La comunità – come tutto il Southwest – è economicamente, culturalmente e storicamente integrata a tutti gli effetti. La rimozione di un milione e mezza di persone – se fosse pure possibile – dilanierebbe la città producendo un trauma sociale irrimediabile.
L’etnostato americano esiste solo nei deliri dei suprematisti e nella narrazione Maga utile ad aggregarne il consenso. Si tratta piuttosto di un atto dimostrativo – colpire Los Angeles e la California per educare tutti gli altri stati.
È un delirio anche quello dei fanatici accelerazionisti Maga che a Los Angels sembrano avere ogni intenzione di imboccare una pericolosissima strada a senso unico senza rampe di uscita.
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