L’8 luglio, su uno dei blog ospitati dalla BCE, due studiosi della divisione di ricerca sulle politiche monetarie hanno presentato un’analisi con dati molto interessanti. Soprattutto, perché rende chiaro che la propaganda sulle sanzioni implementate contro i governi di ‘autocrati’ serve a nascondere la realtà di una guerra commerciale che ha come unico obiettivo il mantenimento del dominio occidentale.
Lo studio si intitola “Trading with dictators? A historical review of the EU’s business partners”, firmato da Claudia Marchini e Alexander Popov. La domanda con cui si apre il testo è molto semplice e chiara: “i valori democratici giocano un ruolo nel commercio?” Non si può dare una risposta definitiva, dicono i due autori, eppure portano grafici e numeri che danno indicazioni incontrovertibili.
Marchini e Popov delineano l’evoluzione dei profili dei partner commerciali della UE dal 1985 a oggi. Il caso unioneuropeo non è solo un tema da esercizio intellettuale: è Bruxelles che ha scritto, nero su bianco, che l’interscambio economico deve andare di pari passo con la giustizia sociale, il rispetto dei diritti umani, dei lavoratori e della tutela ambientale.
È tutto in linea con la narrazione propinata dall’ex Alto rappresentante per gli Esteri Josep Borrell, per cui l’UE sarebbe il ‘giardino’ che ogni giorno deve resistere, e magari migliorare, la ‘giungla’ che ha intorno. Il commercio rispetta l’autoproclamato ruolo di civilizzatori del mondo o, invece, è effettuato secondo linee di interesse prettamente economico e strategico?
Una premessa è d’obbligo: ovviamente, la definizione di ‘valori democratici’ è una questione politica, e non ha nulla di tecnico. Basti pensare a Israele, uno ‘stato’ costantemente in guerra di espansione, che colonizza territori non propri infischiandosene delle risoluzioni ONU, ed è sotto accusa per genocidio. Eppure, dai politici occidentali è unanimemente definita “l’unica democrazia del Medio Oriente”.
Detto questo, i due autori dello studio hanno elaborato un ‘indice commerciale ponderato in base alla democrazia’ (DWTI), che riguarda le importazioni di beni nei paesi della UE a 15 (per chiarezza, Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna, Svezia).
Tra gli anni 1985 e 2023, il DWTI pondera la quota dei singoli partner commerciali in base al punteggio attribuito dal Liberal Democracy Index, elaborato dal centro di ricerca indipendente V-Dem Institute, in Svezia. Va da 0 a 1, e più si avvicina allo 0 più sono i beni arrivati da paesi definiti come ‘autoritari’.
Alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, la UE ha toccato il suo comunque non invidiabile record: 0,59. Poi, tra il 1999 e il 2022 il valore è diminuito costantemente, raggiungendo il suo minimo storico a 0,41. Gli autori sottolineano che il comportamento commerciale è stato pressoché uniforme per tutti i 15 paesi.
“Questo dato aggregato – scrivono, con nostra traduzione – è analogo a una situazione in cui metà delle importazioni nell’UE-15 proviene dal Canada, una democrazia matura, ma l’altra metà dalla Turchia, un paese in cui lo stato della democrazia è costantemente peggiorato negli ultimi anni”. Interessante che sia stato fatto riferimento ad Ankara.
In molti infatti ricorderanno che l’ex governatore della BCE e poi ex primo ministro italiano Mario Draghi era finito nella bufera della diplomazia internazionale perché aveva detto candidamente una verità: che Erdogan è un dittatore, ma che di questi dittatori “si ha bisogno [e uno] deve essere anche pronto a cooperare per assicurare gli interessi del proprio paese”.
Nel 2023 il calo del DWTI si arresta. Ma essendo l’ultimo anno registrato, non si può di certo parlare di una inversione di tendenza. E poi, il motivo di tale risalita dell’indice è l’insieme delle sanzioni comminate alla Russia per la guerra in Ucraina. A dimostrare che il nodo non è mai stata la politica interna dei partner, ma la misura in cui essi attentano all’egemonia occidentale sul mondo.
Gli studiosi provano poi a verificare se la diminuzione del DWTI sia da attribuire all’aumento del commercio con la Cina. Essi ricordano che “la Cina rappresenta circa un quinto di tutte le importazioni nell’UE e si colloca al 172° posto su 179 paesi in termini di punteggio democratico”. Di nuovo, tralasciamo che un valore di 0,1 è dato parimenti alla monarchia saudita e al Dragone, dove c’è un diverso, ma certo diffuso sistema di partecipazione alla vita politica.
Eppure, i due ricercatori devono riconoscere che “la tendenza al ribasso dal 1999 si mantiene anche escludendo la Cina. L’indice senza la Cina è diminuito di un quinto nello stesso periodo, passando da 0,629 nel 1999 a 0,499 nel 2022. Questi risultati implicano quindi che […] non è stata solo la Cina a fare la differenza”.
Poiché i dati che gli stessi studiosi usano suggeriscono che il paese mediano al di fuori dell’UE-15 è diventato più democratico nell’ultimo quarto di secolo, attraverso complessi calcoli che potete trovare al link dell’analisi riportato sopra, la conclusione è la seguente: tra il 1999 e il 2012 l’UE-15 è passata da partner commerciali più democratici a partner meno democratici; dopo il 2012 è diminuita la qualità democratica degli attuali partner commerciali.
In sostanza, prima ha scelto di importare da paesi che non rispettavano quegli stessi ‘valori’ che Bruxelles millantava di essere al centro della propria azione, poi hanno chiuso gli occhi quando quei valori erano sempre più denigrati nei paesi con cui intratteneva relazioni. La controtendenza della Russia, come detto, deriva soltanto dal fatto che le necessità strategiche della competizione interimperialistica hanno sopravanzato quelle prettamente economicistiche.
Gli autori sottolineano che commerciare con i ‘dittatori’ gli garantisce entrate che vengono poi indirizzate spesso verso politiche militari e che ciò mina, sul lungo periodo, la stabilità necessaria a un’economia export-driven come quella europea, ma che allo stesso tempo manca di materie prime, che deve procacciarsi sui mercati internazionali.
Non a caso, si fa riferimento ai minerali imprescindibili per la transizione ecologica. Bisogna però dire anche un’altra cosa: spesso questi governi autoritari li ha finanziati e promossi la UE, o l’Occidente in generale. Basti pensare alla revoca di alcune sanzioni e restrizioni sulla Siria, oggi governata da un ex qaedista, che non farà che aumentare il volume commerciale.
Risulta evidente che la bussola non è settata sul rispetto dei diritti umani e democratici, ma su ciò che è più funzionale a una politica imperialista, che trova ottimi alleati nei tagliagole o nei trafficanti di esseri umani in Libia, ad esempio, se questi risultano utili agli obiettivi prefissati. Una lettura dei dati elaborati attraverso l’indice DWTI scevra da ogni incrostazione ideologica occidentale non può che dirci questo.
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