Lo scorso 9 luglio, al CNEL, il senior economist dell’OCSE, Andrea Bassanini, ha presentato l’Economic Outlook per l’anno 2025. L’Italia raggiunge un record, ma negativo, tra i paesi facenti parte dell’Organizzazione: i suoi salari reali si sono ridotti del 7,5% rispetto al 2021, e questo nonostante gli aumenti previsti questo e il prossimo anno.
Tramite il rapporto viene evidenziato che l’Italia presenta il calo più significativo tra tutte le principali economie. A dire la verità, in metà dei paesi OCSE i salari reali sono inferiori a quelli del 2021. Se però si osservano i dati a partire dal 1990, il Bel Paese emerge per le criticità.
Infatti, i redditi da lavoro reali in Italia sono scesi del 3,4% tra il 1990 e il 2023. Per fare il confronto con altri paesi, nello stesso periodo negli USA sono cresciuti di circa il 50%, in Germania intorno al 30%. Il recente rinnovo di alcuni contratti nazionali ha permesso di recuperare terreno rispetto all’inflazione accumulata dal 2022, anno in cui si è assistito a un’importante impennata dei prezzi.
Eppure, nel settore privato un dipendente su tre ha ancora il proprio contratto scaduto, mentre le previsioni escludono che vi siano degli aumenti significativi nei prosssimi due anni. Con lo spauracchio dell’inflazione ancora costantemente agitato, è facile capire che la guerra alle retribuzioni continuerà imperterrita.
Questo risulta evidente anche dalla discussione sulla produttività. L’OCSE ha stimato che, se l’Italia riuscisse a raggiungere una crescita della produttività pari all’1% all’anno, in linea con la media che l’Organizzazione aveva negli anni Novanta, il PIL pro capite potrebbe crescere dell’1,34% annuo.
Allo stesso tempo, il presidente del CNEL, Renato Brunetta, ha spiegato che: “senza interventi di politica economica e senza la crescita della produttività, l’Ocse prevede per l’Italia una flessione del PIL pro capite di quasi 0,5 punti percentuali all’anno”. Eppure, sono decine e decine i miliardi regalati alle aziende per i propri ‘piani industriali’.
Se sono le aziende che creano lavoro, come vuole la vulgata che anche Brunetta ripete in continuazione, allora è anche loro responsabilità programmare gli investimenti adatti a migliorare la produttività. La realtà è che, in maniera sistematica, il sistema imprenditoriale ha lucrato sui sussidi e sulla rendita, negando ogni responsabilità sociale.
La produttività, inoltre, anche se con trend deboli, ha continuato a crescere dal 2000. Cosa che, invece, non hanno fatto i salari in termini reali. E in questo quadro, sono persino aumentate le disuguaglianze generazionali. Nel 1995 il reddito disponibile per le famiglie giovani superava dell’1% quello degli over-55, mentre nel 2016 le famiglie con adulti tra i 55 e i 64 anni disponevano di un reddito superiore del 13,8% rispetto ai giovani.
Risulta perciò ancora più assurda una delle soluzione che l’OCSE ha delineato per un altro problema in cui l’Italia eccellerà nei prossimi anni: l’invecchiamento della popolazione, che graverà in maniera più pesante sulle persone in età lavorativa. L’Organizzazione propone, tra le altre cose, di aumentare la durata della vita lavorativa.
Una soluzione che deve essere rifiutata in ogni modo in un paese in cui l’età pensionabile si avvia verso i 68 anni e in cui, dice l’OCSE stessa, il 42% dei lavori è fisicamente impegnativo. Ci sono già 3 morti al giorno sul posto di lavoro, e andare in questa direzione sarebbe una vera e propria dichiarazione di guerra contro i lavoratori.
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