I governi europei brancolano nel buio pesto della memoria storica.
La seconda guerra mondiale rappresenta l’allargamento della guerra di massa in guerra totale. Le sue perdite sono letteralmente incalcolabili e anche stime approssimative sono impossibili, poiché (diversamente dalla prima guerra mondiale) la seconda guerra mondiale uccise i civili non meno dei militari e le peggiori stragi si ebbero in tempi e in luoghi nei quali nessuno poteva registrare né si prendeva cura di farlo.
Si è stimato che le morti direttamente causate dal conflitto ammontino a una cifra dalle tre alle cinque volte più alta di quella stimata per la prima guerra mondiale (Milward, 270; Petersen, 1986); in altre parole, essa comprende dal 10% al 20% della popolazione complessiva dell’URSS, della Polonia e della Jugoslavia; dal 4% al 6% della popolazione della Germania, dell’Italia, dell’Austria, dell’Ungheria, del Giappone e della Cina.
Le vittime in Gran Bretagna e in Francia furono molto più basse che nella prima guerra mondiale, circa l’1%, ma furono più alte negli USA. Tuttavia, queste sono supposizioni.
Le vittime sovietiche sono state stimate variamente, anche da organismi ufficiali, nell’ordine di sette milioni, undici milioni, o venti perfino trenta milioni. In ogni caso, che cosa significa l’esattezza statistica quando gli ordini di grandezza sono così elevati?
Forse che l’orrore dell’olocausto si attenuerebbe se gli storici concludessero che furono sterminate non sei milioni di persone (questa è la rozza stima originaria, quasi certamente esagerata), ma solo cinque o quattro? E che cosa cambia se i novecento giorni dell’assedio tedesco a Leningrado (1941-44) causarono la morte per fame e per sfinimento di un milione di uomini o solo di settecentomila o di mezzo milione?
Possiamo davvero comprendere cifre che oltrepassano la nostra capacità di intuire una realtà fisica?
Che cosa vuol dire per il lettore medio di questa pagina che dei 5,7 milioni di russi prigionieri di guerra in Germania ne morirono 3,3 milioni? (Hirschfeld, 1986).
Il solo fatto certo riguardo alla vittime della guerra è che essa uccise più uomini che donne. Nel 1959 c’erano ancora in URSS tra le generazioni di età tra i 35 e i cinquant’anni, sette donne per ogni quattro uomini (Milward, 1979, p. 212).
Dopo la guerra fu più facile ricostruire gli edifici distrutti che le vite dei sopravvissuti. (Eric J.Hobsbawm, “Il secolo breve”, Rizzoli, pagg. 63-64).
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