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29/07/2025

Il naufragio di una “accettabile” condotta bellica

Per un secondo mettiamo da parte il diritto internazionale e la sacrosanta necessità di distinguere tra civili e combattenti. Vorrei che ci mettessimo per un secondo nei panni delle comunità bombardate tra Palestina e Libano, comunità che al loro interno hanno visto anche nascere e crescere persone che prima o dopo hanno scelto in modo permanente o saltuario, retribuito o volontario, di combattere tra le fila di N milizie armate, come per esempio Hamas ed Hezbollah.

Una persona così, che magari viaggia a bordo di una moto nel sud del Libano e magari ha una pistola in tasca, costituisce una minaccia reale per Israele? Che genere di minaccia? La minaccia costituita da rampe di missili? Quella costituita da depositi di armi? O quella costituita da un uomo a bordo di una moto? In che modo può mettere a repentaglio la vita di un singolo israeliano che vive oltre il confine?

A forza di dover faticosamente ribadire la necessità di cui sopra, a forza di riaffermare che al 7 ottobre, in ottica israeliana, si sarebbe dovuto rispondere con le forze speciali, e non con bombardamenti aerei nel mucchio (funzionali a quella pulizia etnica che oggi vediamo compiuta), a forza di supplicare che i civili vengano risparmiati, ci siamo placidamente adagiati sull’idea comoda ed accessoria per cui, se i civili vanno lasciati in pace, i combattenti, anzi i terroristi, vanno presi di mira senza pietà, in ogni situazione.

Anche facendo il tiro al bersaglio con gli aerei e i droni su individui solitari – privi o provvisti della “tessera” di appartenenza, dato che come spiegato tante volte quest’ultima può designare un concetto o una nozione dai confini labili – che guidano una moto in aperta campagna. Tuttavia questo non è un videogioco, i combattenti non sono mostri verdi a tre teste ma sono persone che vivono all’interno delle loro comunità.

Non tanto noi, che ormai siamo irrecuperabili ed anestetizzati, ma appunto i membri di quella comunità, cosa penseranno? Cosa pensano quando vedono sta roba, quando vedono la distopia prendere una forma precisa, quando ne riconoscono chiaramente il Padre indiscusso?

Cosa pensano di un Esercito che in Libano via terra ha potuto fare un quinto dei km che aveva fatto durante l’invasione del 2006, nonostante una pervasiva copertura aerea, di un esercito che dopo due anni passati a spianare Gaza con l’aviazione ancora vede miliziani attaccare i propri carri armati (900 morti secondo le idf, che potrebbero essere sensibilmente di più), e che si affida appunto unicamente al tiro al piccione con gli F-35 e i droni, al bombardamento aereo non più di rampe o depositi ma di singole persone, di singoli politici, di singoli professori universitari considerati vicini o funzionali alla causa, di singoli miliziani che dormono o che guidano una moto, di singoli brigadieri o generali in Iran, di singoli affiliati a vario titolo, dopo aver fatto inghiottire al mondo una operazione terroristica come quella dei cerca-persone, salutata dai più come un esempio di sofisticazione e intelligenza?

No, perché io glielo chiedo ogni mese, l’ho fatto decine di volte in questi due anni, spesso il loro parere non è interessato a nessuno, nemmeno ai giornali. Il punto non è però la mia amarezza ma sinceramente, e ripeto sinceramente, l’idea che Israele e quindi anche noi, ahimè, diamo al mondo, l’idea che abbiamo anche di come si possa e debba fare la guerra, e che a sua volta non può che fermentare in risposte delle lotte armate (ed anche azioni terroristiche) sempre più feroci, intransigenti, o magari se vogliamo anche sconsiderate, per tutti.

L’idea, anzi, che sia in “pace” che in “guerra” si possa fare qualunque cosa. Qualunque. E non mi serve parlare degli stupri da parte dei soldati israeliani (e fra soldati israeliani) sui prigionieri o sui detenuti.

Non voglio neanche star qui a ricordarvi come si costruisce un mito, come si innalza un martire al cielo per i decenni a venire, come si impalca la narrazione di Davide contro Golia, come in alcuni luoghi taluni si convincono di combattere effettivamente (e col rinforzo motivazionale della religione o dell’appartenenza settaria, often) il MALE, come altri giungono alla conclusione di dover educare i propri discendenti a perpetuare questa battaglia con un mostro vigliacco, privo di scrupoli e regole, come si celebrano in eterno leader uccisi o paesi attaccati a tradimento, durante delle negoziazioni, o come si gettano i semi di un nuovo o di nuovi capitoli di militanza oltranzista.

Il punto qui è molto più semplice: agli occhi di milioni di persone stiamo diventando dei mostri, qui si, come nei videogames. Non usiamo le tecnologie e le innovazioni in campo militare per condurre operazioni più sofisticate e chirurgiche, per minimizzare i morti non necessari, per neutralizzare minacce reali: usiamo, usano queste tecnologie per costruire una distopia vera e propria, un mondo in cui non ti uccido praticamente MAI sul campo di battaglia ma dal cielo, con l’IA, mentre sei bagno, mentre dormi, mentre sei al mercato con tua figlia, purché tu abbia la targhetta di “terrorista”, di affiliato a qualunque titolo, anche soltanto politico, che poi è il titolo che serve eventualmente a negoziare (parlo soprattutto della leadership politica di Hamas ma in parte anche ai famigliari dei parlamentari di Hezbollah).

In una situazione in cui i civili muoiono ad un ritmo impressionante da ormai due anni, sembra esserci ogni volta come collettivo e interiore sospiro di sollievo, quando si leggono notizie come “ucciso in un raid un miliziano (?) sulla sua moto nei dintorni di Bint jbeil”, oppure “ucciso il generale iraniano nella sua casa al terzo piano”, o “uccisi due uomini a bordo della loro auto a Nabatieh”, “ucciso il comandante X mentre era in una riunione”, e via discorrendo. Siamo sicuri sia una cosa salutare e sostenibile? Siamo sicuri che le persone vicine, a partire dai parenti, a questo individuo, non maturino ancor più facilmente la certezza che le armi e il tentativo di somministrare insicurezza ad Israele siano davvero l’unica via percorribile?

La motivazione di tutto questo è che Israele è riuscita in un duplice intento: il primo è quello di aver trasformato ogni singolo individuo affiliato o vicino come una urgente minaccia esistenziale; il secondo è quello – lo si è visto dalle incredibili spiegazioni israeliane sugli omicidi di centinaia giornalisti a Gaza, dipinti come “membri di Hamas”, quindi come dei combattenti in quel contesto, quando nel migliore dei casi erano dei gazawi che OVVIAMENTE hanno dei rapporti o conoscenze nei principali gruppi armati gazawi, ma che al massimo sono armati di telecamere e non costituiscono una minaccia per nessun essere vivente – di trasformare molto pericolosamente in “membri di” tutti coloro che hanno anche solo a parole espresso vicinanza o sostegno a questi gruppi, o che hanno lavorato in enti e istituzioni civili legate a questi gruppi.

Vi ricordate (non ve lo ricordate, e vi capisco) con quanta nonchalance e furtività è passata di qui la notizia del bombardamento del Qard Al Hassan, di quello che è in sostanza un ente di microcredito e prestiti basati sulle regole della finanza islamica, legata ad Hezbollah, oppure quella del bombardamento di un “deposito di contanti”?

Anche qui, siamo sicuri sia rassicurante per il futuro? Parlo del vostro, di futuro. Siamo sicuri che ciò non abbia l’effetto di aprire ulteriormente le gabbie (magari anche nel fronte opposto), e abituarci all’idea che se hai un braccialetto di Hamas, oppure se realizzi dei video per Hamas o chi per loro, se sei del sud del Libano e agiti delle bandiere gialle, tu possa legittimamente essere polverizzato da missili da una tonnellata?

Che cosa intendiamo lasciare ai posteri, e soprattutto cosa intendiamo comunicare alla maggioranza demografica del mondo, qui sul piano della condotta bellica, oltre che sul piano giuridico, umanitario, etico e politico?

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