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30/07/2025

Se n’è andato Raffaele Fiore

Raffaele Fiore, un Compagno con la C maiuscola è stato un ragazzo generoso che ha messo in gioco la propria libertà per la Libertà di tutte e tutti.

La sua grande mole (è eloquente la foto in cui accompagna la bara di Prospero assieme ad altri compagni tra cui due di una certa mole come Francone e Nicola), le sue forti e grandi mani da “faticatore” potevano ingannare ma bastava guardare il taglio particolare del suo sorriso, tipico di queste nostre zone del sud di chi sin da piccolo ha dovuto aggrapparsi alle gioie perché ha conosciuto troppo presto l’amaro, e gli occhi e la voce per rendersi conto della enorme disponibilità umana e bontà del suo cuore.

Un militante dell’Organizzazione, un Comunista, un prigioniero.

Un proletario.

Il ricordo di Raffaele Fiore così come di tanti altri compagni e compagne non può disperdersi nel silenzio del quotidiano, poiché più alto del prezzo pagato per il loro tentativo di rovesciare il cielo c’è solo il loro grande coraggio e l’esemplare coerenza con cui hanno affrontato il rischio prima e la sconfitta poi. Una sconfitta militare, ma non umana poiché di siffatta forma Uomini e Donne oggi non ne nascono in gran numero, tutt’altro.

Riprendo un articolo di P. Persichetti in cui Raffaele Fiore intervistato ha potuto smentire un articolaccio in malafede che infarcito di banalità e dietrologia aveva tentato di intorbidire le acque sul sequestro Moro.

Fiore da buon barese verace, da operaio abituato alla fatica e a parlare con poche e importanti parole ha inchiodato la realtà ai fatti.

“In via Fani quella mattina del 16 marzo 1978 c’eravamo solo noi delle Brigate rosse e il convoglio di Moro. Punto”. Raffaele Fiore al telefono è perentorio. Operaio, dirigente della colonna torinese, era tra i nove che quella mattina neutralizzarono la scorta e rapirono il presidente della Democrazia cristiana, il “partito regime” per una buona parte dell’opinione pubblica di allora. Condannato all’ergastolo, dopo 30 anni di carcere ha ottenuto la liberazione condizionale. Ora lavora in una cooperativa.

Quando gli telefoniamo sta scaricando un furgone: «sentiamoci tra una mezz’oretta – mi dice – che mi siedo in ufficio e parliamo con più calma».

Il pezzo (Paolo Persichetti si riferisce qui all’articolaccio di cui vi ho scritto sopra) riprende un vecchio leit motiv della dietrologia, ossia che le Br in via Fani non erano da sole: «C’erano persone che non conoscevo», avrebbe detto Fiore, «che non dipendevano da noi [...] Che erano altri a gestire».

Clamoroso. Se fosse vero andrebbe riscritta almeno la verità giudiziaria [la storia, si sa, è un work in progress]. Ma il problema è che Fiore quelle parole non le ha mai dette.

L’intervista è stata “confezionata” in modo da far dire all’ex brigatista proprio quelle parole, che invece si riferivano ad altro, senza retropensieri e sottintesi. Per questo motivo abbiamo chiamato Fiore.

«Raffaele, insomma, ci spieghi cosa è successo con la giornalista? Che cosa vogliono dire quelle frasi?».

Sentiamo che Fiore non è nemmeno arrabbiato, eppure avrebbe tutte le ragioni al mondo per esserlo.

«In via Fani quella mattina eravamo in nove [Fiore non prende in considerazione la staffetta indicata nelle sentenze processuali nella persona di Rita Algranati, condannata all’ergastolo e attualmente in carcere]. Di questi ne conoscevo sei, i regolari: Mario, Barbara, Valerio, Baffino, Prospero e Bruno. Gli altri, due irregolari romani, non li conoscevo ed ancora oggi farei fatica ad identificarli.

La giornalista mi ha chiesto se i due situati nella parte superiore di via Fani fossero Lojacono e Casimirri. Ho risposto che non li conoscevo. Che i due che stavano sulla parte alta della via erano della colonna romana e dunque erano altri a gestirli».

Se la domanda sul cancelletto superiore manca nel testo, la risposta può assumere qualsiasi senso. Ed è questo il sotterfugio impiegato dalla giornalista che ha fatto l’intervista, l’origine della “rivelazione”, quell’impasto di livore e odio contro chi ha condotto una lotta in armi in questo paese, cotto da sempre nel forno della dietrologia.

Raffaele Fiore ha semplicemente riposto la propria fiducia nella persona sbagliata. Gli ha parlato a viso aperto, tentando di spiegare ragioni e motivazioni del proprio passato e delle proprie azioni, in generale, non solo su via Fani. Conversando, ha anche provato a ragionare su quella complessa vicenda che è stato il rapimento di Moro. Forse pensava di essere a un convegno di storici ma in realtà non era neanche giornalismo.”

Questo piccolo stralcio spero possa servire ai tanti giovani e giovanissimi tra i miei contatti che sfuggiti al microprofiling dei social possano imbattersi in questo mio post e confrontarsi con una figura importante della storia proletaria, con la sua coerenza e con la sua bella e schietta umanità.

Ciao Raffaele.

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