21 mesi di aggressione genocida incessante a Gaza, più di 60.000 mila morti, 135.000 feriti, e la distruzione del 85% della Striscia, tutto questo sotto gli occhi del Mondo. Abbiamo assistito all'impotenza/ complicità di tanti governi che hanno bloccato ogni tentativo di fermare il genocidio del popolo palestinese.
Da settimane si parla di una proposta americana, articolata e mediata da Egitto e Qatar, e presentata ad Hamas e all’entità sionista, e fortemente sostenuta dal presidente Trump. Questo ultimo vanta di aver costruito il cessate il fuoco tra India e Pakistan, Israele e Iran e l’accordo tra Ruanda e Repubblica Democratica del Congo!
Tanti pensano che Trump stia realizzando una stabilità a livello internazionale, e per questo la sua proposta per una tregua a Gaza attira l’attenzione e potrebbe portare a tangibili progressi nei negoziati. Sarà così!
La proposta statunitense di un cessate il fuoco di 60 giorni a Gaza include un complesso pacchetto di accordi umanitari, politici e di sicurezza. Sebbene la proposta apparentemente miri a una tregua relativamente a lungo termine, con la possibilità di estenderla in preparazione di un accordo permanente, la sua sostanza è soggetta a condizioni precise che potrebbero mantenere lo status quo, seppur in una forma più calma.
La proposta include un calendario per il rilascio di prigionieri e cadaveri e il flusso di aiuti umanitari in cambio di un graduale ritiro dell’esercito israeliano da aree specifiche di Gaza, secondo mappe concordate. I negoziati per un cessate il fuoco permanente inizieranno il primo giorno, includendo uno scambio completo di prigionieri, futuri accordi di sicurezza a Gaza e accordi per il “giorno dopo” la guerra, che porteranno alla dichiarazione di un cessate il fuoco permanente e completo.
Attraverso questa proposta, gli Stati Uniti cercano di coinvolgere Hamas e Israele in un meccanismo negoziale a tempo determinato, con garanzie da parte dello stesso Presidente Trump che entrambe le parti vi aderiranno e l’impegno a supervisionare direttamente l’attuazione dell’accordo.
Tuttavia, queste garanzie si scontrano con una complessa realtà sul campo, con le forze israeliane che continuano a condurre operazioni militari all’interno della Striscia di Gaza, tra le minacce del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu di continuare la guerra fino alla completa eliminazione di Hamas.
Al contrario, l’aspetto più importante di questi colloqui è la convinzione che Hamas debba comprendere di essere la ragione per porre fine alla guerra, o il pretesto e la giustificazione per riprenderla con maggiore intensità.
Hamas sta dimostrando una flessibilità misurata, convinta che il successo di qualsiasi negoziato dipenda dalla serietà della controparte e dall’impegno della comunità internazionale nell’attuazione delle risoluzioni internazionali che prevedono il ritiro dell’occupazione da tutti i territori palestinesi, compresa Gaza.
In questa situazione, emergono timori che la tregua proposta sia semplicemente un mezzo per riprodurre la situazione attuale, piuttosto che porvi fine. Parlare di ritiri graduali senza un calendario chiaro per il ritiro completo e mantenere un meccanismo di aiuti soggetto alla supervisione dell’occupazione, perpetua l’occupazione in forma mascherata.
Imporre precondizioni agli accordi di sicurezza e al “giorno dopo” senza un dialogo nazionale palestinese globale, significa continuare una politica di indebolimento dell’unità palestinese e di approfondimento del divario geografico e politico tra Gaza e Cisgiordania.
Questi timori sono rafforzati dalle catastrofiche condizioni umanitarie nella Striscia di Gaza. Secondo le Nazioni Unite, meno del 18% dell’area della Striscia rimane accessibile alla popolazione, a causa dei crescenti bombardamenti israeliani e della grave carenza di alloggi, cibo, acqua e medicine. Il perdurare di questa realtà, unitamente alla presentazione di proposte parziali o temporanee, apre le porte a uno scenario di caos interno e fornisce all’occupazione un pretesto per eludere ed evitare soluzioni definitive.
In questo contesto, Hamas si trova di fronte a una scelta strategica: o accettare questa tregua temporanea senza reali garanzie di un ritiro completo e della fine della guerra, cadendo così nella trappola, di una tregua, in cambio del consolidamento dell’occupazione; oppure impegnarsi a trasformare questa tregua in un’opportunità per costruire una vera unità palestinese, legando qualsiasi accordo alla ristrutturazione interna e impegnando il movimento in una strategia di lotta nazionale unitaria nel quadro dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), l’unica entità legittima e riconosciuta a livello internazionale.
Questa non è una mera richiesta politica; è una necessità nazionale per proteggere la sovranità di Gaza e impedire l’attuazione di qualsiasi piano israelo-americano volto a gestire la divisione palestinese in modo da favorire il proseguimento dell’occupazione e impedire l’istituzione di uno Stato palestinese indipendente.
In conclusione, credo che la proposta americana, nonostante il suo potenziale di porre fine temporaneamente al genocidio, alla guerra di sterminio e alleviare le sofferenze dei civili, non porterà a vera stabilità se non sarà accompagnata da misure chiare e vincolanti per porre fine all’occupazione. La storia recente dimostra che tregue fragili non creano la pace; anzi, possono diventare una copertura per una fase ancora più sanguinosa di guerra, basti guardare la tregua di gennaio scorso.
Ciò che serve oggi non è solo una tregua, ma un giusto accordo che ponga fine alle radici del conflitto e apra la strada a una soluzione politica globale che garantisca giustizia e indipendenza al popolo palestinese.
Ricordando sempre che gli Usa passano con disinvoltura dalla Dichiarazione di Libertà al sostegno del genocidio. In nome della libertà, governi sono stati rovesciati, colpi di stato sono stati condotti, regimi oppressivi sono stati sostenuti e interi popoli sono stati puniti con sanzioni e carestia.
Oggi, questa contraddizione morale si riproduce in Palestina, dove la resistenza di un popolo occupato è criminalizzata, viene negata loro protezione e i principi vengono sepolti insieme ai corpi dei bambini sotto le macerie, come sta accadendo in Cisgiordania e a Gaza.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento