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19/07/2025

L’ipervalutazione di Nvidia è lo specchio della subordinazione della politica alla finanza

di Alessandro Volpi

La capitalizzazione di Nvidia ha superato i quattromila miliardi di dollari, raggiungendo un prezzo record anche solo difficilmente immaginabile se riferito ai fondamentali reali della società.

Certo, gli utili dell’azienda sono cresciuti del 130% in un solo anno, con un beneficio per azione di 2,99 dollari e con un aumento delle vendite del 114% per un totale di 130 miliardi di dollari. Ma questi numeri non bastano a motivare una vera e propria bolla finanziaria come quella che sta caratterizzando Nvidia. Peraltro, l’impennata del titolo è avvenuta in particolare tra il 15 e il 16 luglio con una accelerazione dovuta a un fatto particolare. A inizio luglio l’amministratore delegato di Nvidia, Jen-Hsun Huang, ha incontrato il presidente statunitense Donald Trump e dopo quell’incontro è emersa la decisione dell’amministrazione Usa di concedere di nuovo a Nvidia la licenza di vendita in Cina dell’acceleratore dell’Intelligenza artificiale H20.

Alla luce di ciò è, allora, più facile comprendere le ragioni di questa colossale ipervalutazione. Provo a spiegarmi meglio. Un primo dato è costituito proprio dalla decisione trumpiana che rappresenta la prova dell’impossibilità per gli Stati Uniti di condurre un vero scontro doganale con la Cina: Trump può scatenare uno scontro durissimo con l’Unione Europea da cui ha ricevuto prove chiare di subalternità e di totale dipendenza dal mercato americano al punto di accettare dazi pesantissimi pur di non perderlo, ma non può fare a meno della Cina per forniture strategiche, per i caratteri delle filiere produttive, per la dollarizzazione e per numerose altre ragioni

Tra queste ragioni c’è anche l’importanza del mercato cinese per le Big Tech, come nel caso di Nvidia che fattura in Cina quasi 15 miliardi di dollari l’anno e soprattutto ha bisogno di evitare una pericolosa concorrenza brutale con le società cinesi che si occupano di Intelligenza artificiale. A riguardo è sufficiente ricordare la vicenda proprio del crollo del prezzo di Nvida di fronte alla “comparsa” sul mercato della minuscola realtà di Deep Seek. Dunque, semplificando molto i termini della questione, l’impennata di Nvidia dipende, in larga misura, dalla forza della Cina sullo scenario globale e sulla presa d’atto trumpiana di una simile, nuova gerarchia.

Ma c’è un’altra motivazione forte della ascesa della società riconducibile alla convinzione che lo stesso Trump abbia deciso di superare il suo iniziale disegno di favorire, anche con importanti sostegni pubblici, una cordata di “generatori” dell’Intelligenza artificiale ostile a Nvidia in quanto espressione, in termini finanziari, delle Big Three (BlackRock, Vanguard e State Street) che possiedono, insieme a Fidelity, oltre il 25% del capitale azionario di questa società.

Trump, infatti, dimostra di avere sempre più bisogno delle stesse Big Three, a cominciare dalla sottoscrizione del debito federale, di cui BlackRock, Vanguard e State Street sono grandi detentori. Dunque, concedere a Nvidia di vendere in Cina significa per Trump tentare una vasta mediazione con i “padroni del mondo”, che hanno così aumentato rapidamente le iniezioni di liquidità verso Nvidia, indirizzando i flussi finanziari internazionali in tale direzione.

Va sottolineato, però, che nell’ambito di questa operazione di mantenimento in vita dalla bolla finanziaria delle imprese Tech degli Usa, legate alle Big Three, Trump ha trovato lo spazio per appoggiare quella parte della finanza a lui più vicina. Non è certo un caso che nello stesso giorno, tra il 15 e il 16 luglio, sia cresciuto il prezzo di Nvidia e, al contempo, quello di Palantir di Peter Thiel, stretto sodale di Trump, a cui il presidente ha, di fatto, assegnato il monopolio degli appalti della tecnologia militare.

Il boom di Nvidia si lega inoltre a una questione più tecnica individuabile nella convenienza degli acquisti di quel titolo, dato un rapporto prezzo-utili che è fra i più bassi tra i titoli delle Big Three, per effetto della parziale caduta determinata proprio dalle già ricordate tensioni dei mesi precedenti fra Trump e grandi fondi. Una capitalizzazione di 4.100 miliardi di dollari è quindi il portato di un processo dove la politica presidenziale Usa ha dovuto cedere ai padroni del mondo e prendere atto della indispensabilità della Cina.

È questo il paradosso del capitalismo finanziario attuale: davanti a una crisi profonda ha ancora più bisogno della subordinazione della politica alla finanza e, al contempo, della convivenza pacifica con la Cina. Solo così si alimenta forse la più pericolosa bolla di sempre.

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