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02/10/2012

Monti è per sempre?

Per la prima volta nella storia della repubblica, un presidente del consiglio scioglie la sua riserva sul mandato successivo mentre si trova all’estero, in lingua straniera e rispondendo a una conferenza stampa americana. Il carico di rottura presente nei simboli conta, di questo Mario Monti era perfettamente consapevole quando ha fatto sapere, dagli Stati Uniti, di essere disponibile per un eventuale secondo incarico. Specie quando si parla più a J.P. Morgan che agli eletti della camera dei deputati.
Altro carico di rottura presente nel dibattito istituzionale prima delle elezioni sta nella predeterminazione possibile, prima ancora del risultato elettorale, sia del programma che del presidente del consiglio. Nel ventennio precedente l’alternativa tra centrodestra e centrosinistra, proprio perché non rappresentava un salto apprezzabile nelle differenze sulle politiche economiche, il rito pre-elettorale voleva che programma e presidenza del consiglio fossero affidate alle scelte dell’elettorato.  Oggi c’è un evidente tentativo del mainstream mediale, e di buona parte del ceto politico e imprenditoriale, di imporre un candidato premier, e quindi una politica, a prescindere dal risultato elettorale. Il programma, a sua volta, sarà elaborato tra Bruxelles, Berlino e le indicazioni dei “mercati”.
In questo senso la terza repubblica, dopo la riforma costituzionale del pareggio di bilancio e l’approvazione del fiscal compact, pretende di cominciare con l’aspetto meno repubblicano di sempre: l'esplicita messa tra parentesi della volontà popolare. Proprio per questo Monti non parteciperà alle elezioni: non tanto perché senatore a vita ma proprio come candidato perché non partecipante alla contesa elettorale. Una interpretazione del ruolo di senatore a vita, da riconoscimento onorifico di un ruolo, tutta orientata alla concezione del diritto di governare a causa della provenienza di ceto non certo grazie al voto popolare. In questo modo più che la costituzione repubblicana, Monti sembra interpretare lo statuto albertino che, non dimentichiamo, è stato la carta costituzionale vigente in Italia nel periodo della prima globalizzazione.
Ma è solo con la prova dell'ordalìa elettorale del 2013 che i progetti di una terza repubblica neonotabilare, in cui il voto diviene un tema trascurabile,  possono trovare sbocco. Vedremo cosa accadrà, all’indomani delle elezioni, quando i conti a Pd-Udc-Pdl, attualmente al governo, sicuramente non torneranno.

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