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09/10/2012

Primarie centrosinistra, parte la brigata del niente


primarie_aperitivoRisulta praticamente impossibile prendere sul serio commentatori, alcuni con curriculum prestigioso e buona produzione scientifica, che affermano che il “Pd ha un programma innovativo” oppure che “Bersani ha superato lo scoglio delle regole sulle primarie”. Si possono comprendere le dinamiche di posizionamento, sottintese a queste affermazioni, ma si deve evidenziare anche che in certi commentatori è ormai conclamata l’incapacità di capire che è finito un mondo. Quello in cui, assieme al posizionamento entro il più importante partito dello schieramento progressista, si potevano negoziare spazi di autonomia politica e personale. Ricordando che, effetto dei tagli sull’onda dell’antipolitica e del potere reale sull’Italia che passa tra Bruxelles e Berlino, si stanno esaurendo anche i margini concreti per i posizionamenti di carriera tramite la politica istituzionale.
 
 Ma che altro dire degli intellettuali mainstream della sinistra istituzionale italiana? Da moltissimi anni, del numero si è persa la memoria, hanno accettato di buon grado di vivere un percorso intellettualmente docile in una Italia controriformata. Moriranno quindi con quel mondo ammesso che siano ancora intellettualmente vivi. E che dire, a questo punto, delle primarie del Pd? Che possiamo descriverle come nelle vignette di Riccardo Mannelli, il più interessante disegnatore di convention, convegni, eventi pubblici, di situazioni da nonluoghi in Italia da almeno un paio di decenni. Mannelli, che ha disegnato per diverse testate italiane, ha il pregio di mantenere un doppio equilibrio di rappresentazione: disegnare volti e corpi in primo piano senza perdere il senso della folla e sempre all’interno una fisiognomica del grottesco, che non è solo caricatura, che è anche informazione sulle relazioni sociali, sui codici simbolici, sulla cifra antropologica di una parte di paese alla deriva.

L’atteggiamento che si deve avere con le primarie del centrosinistra, per estrarci qualcosa di cognitivamente utile, è proprio quello dell’equilibrio presente nelle vignette di Mannelli. Perchè deve essere chiara una cosa: il Pd, al contrario di quello che afferma Bersani,  è il tessuto connettivo di quella parte di paese che viaggia alla deriva rischiando di trascinare con sè l’altra parte che non ne ha alcuna intenzione. Una deriva politica (l’appoggio a Monti parla da solo), nella concezione dell’economia (la naturalizzazione di dogmi sull’Europa, sulla moneta e sull’impresa logori da prima della caduta del muro di Berlino) e coronata da una notevole entropia culturale. E qui basti dire che il concetto che si vuole nuovo per le primarie, ovvero quello di rottamazione, proviene da una concezione dell’economia abbondantemente superato e liquidato da un quindicennio. Ma stiamo parlando del nocivo mondo a parte del centrosinistra dove un concetto cardine della vita sociale di oggi e di domani (il riciclaggio) è sinonimo di corruzione e carrierismo e dove un concetto superato, che favorisce una produzione energivora e lo spreco di materie prime, (come la rottamazione) viene assunto a simbolo di rinnovamento.

E poi il grottesco: un segretario che all’assemblea nazionale grida, modulando l’asserzione con un accento emiliano che lo trasforma all’istante in maschera dialettale, “qui contano le regole”. Quando si appresta a sospenderne una (l’articolo 18 dello statuto del partito), non prima ma durante una campagna elettorale per le primarie. E’ stato come cominciare una finale senza sapere cosa sarebbe accaduto in caso di pareggio al novantesimo. Alla fine, nel centrosinistra, si stanno mettendo d’accordo nell’intervallo, ad un mese e mezzo dalle primarie, e pretenderebbero anche di dare manifestazione di serietà al paese con un comportamento del genere. E cosa dire di un partito, il Pd, la cui presidente, che statutariamente è una figura di garanzia al di sopra delle parti, alla fine dell’assemblea prende il microfono per dire “spero che vinca Bersani”. C’è solo da stupirsi che ben un quarto di coloro che hanno già manifestato intenzione di voto alle agenzie di sondaggi, ma attenzione c’è ancora un italiano su due che deve decidere cosa fare, abbiamo indicato di preferire il Pd.

Essendo saltati i nessi clientelari, con un Pd che non garantisce materialmente che poche persone, davvero c’è un’Italia che ha interiorizzato la società disciplinare tanto da votarne i presunti rappresentanti ben oltre l’evidenza del grottesco. E’ un’Italia che va liberata, prima di tutto dalla tendenza a comportamenti suicidi come il voto al Pd, nell’interesse di chi è danneggiato in prima persona da questi comportamenti. Ma, come sappiamo, la tendenza della sinistra del centrosinistra è quella di entrare in queste dinamiche. La lezione ricevuta dal Prc e dalla sinistra radicale prima e dopo la caduta del secondo governo Prodi non è bastata.

Ecco quindi che a queste primarie, le cui regole ancora oggi sono tutt’altro che definite, si candida, come attendeva da anni, Nichi Vendola. Lo slogan della campagna “oppure Vendola” è perdente fin dall’inizio. Non indica un cambiamento, una forza egemonica della sinistra, come lo stesso Vendola aveva teorizzato pochi anni addietro, ma una certa equivalenza nella scelta tra candidati suggerita in prima persona dallo slogan dello stesso governatore della Puglia. Il quale, ormai in preda ad uno stadio supremo dell’ eclettismo politico,  afferma di voler fare la lotta contro il liberismo all’interno del centrosinistra (è come voler lottare per il comunismo all’interno del Pdl in quanto partito più votato dagli operai fino al 2010) ma anche di rispettare una eventuale vittoria di Renzi alla primarie. Sarebbe il capolavoro di voti antiliberisti messi a disposizione del programma più sfacciatamente liberista e classista dalle elezioni del ’94 ad oggi.

Ma con Bersani non andrebbe certo meglio: il rispetto del peggio delle politiche di “rigore e crescita” chieste dal dispositivo, peraltro difettosissimo, Bruxelles-Francoforte-Berlino è già stato garantito dal segretario del Pd in caso di vittoria elettorale. Ma anche qui, dopo gli interrogativi, si insinua subito il grottesco: Vendola si candida urlando al mondo che in Italia “si comprimono i consumi e non si fa girare il mercato”. Tutto vero, ed anche drammatico, ma per la seconda lettera che Vendola rappresenta, la E di ecologia, tutto questo è sintomo dell’esaurisi di un modello di sviluppo non più emendabile, non di consumi e mercati da rilanciare. E un candidato che ha avuto un approccio all’ecologia come quello tenuto all’Ilva di Taranto, quando persino sul Manifesto sono apparsi articoli che inchiodavano il governatore della Puglia alle proprie responsabilità, quando affronta questi temi non si capisce se è più grottesco o inguardabile.

Il centrosinistra confida quindi nell’appoggio di un'Italia minore, nella quale si annidano settori di elettorato ormai sterile ed abituato a tutto, ma per andare verso il niente. Perchè il pittoresco percorso verso le primarie, in caso di vittoria alle politiche del candidato espresso dalla consultazione interna al centrosinistra, non porta ad alcun potere politico e nemmeno al governo del paese. L’Italia in quanto paese periferico dell’area euro ha riformato la costituzione secondo un tipo di politica di bilancio e di economia esterne alle esigenze del paese (lo si è visto con la spirale tagli-contrazione del Pil del governo Monti già prevista anche per il 2013) e se l’Europa entra a regime si trova a non avere autonomia in materia di politica industriale, fiscale, economica e di bilancio. Senza una sede reale dove potersi far sentire in Europa, a parte le cerimonie pubbliche dove tutti parlano e conta solo chi deve contare.

Non solo, se nel 2013 l’Italia non taglia ancora, e a prescindere dallo stato di recessione del paese, si trova pure ad essere formalmente commissariata. Una cosina da nulla: lo SME approvato anche dal parlamento italiano prevede l’autonomia giuridica dei commissari europei che possono vendere beni e patrimoni del paese commissariato senza che questo, legalmente, possa fare qualcosa. Questo è quello che Bersani, Renzi e Vendola chiamano “vincere”: il disastro sociale, economico e il niente politico. Un niente che è pure puntualmente registrato nel mondo che conta: i quotidiani esteri, e le tv globali, sull’Italia sono occupati da Monti e da Grillo. E’ anche possibile anche se per niente scontato, vista la situazione politica inedita, che il centrosinistra come è adesso arrivi al governo.

La deflagrazione del Pdl e lo scarso appeal elettorale dei centristi potrebbero favorire questa soluzione anche se è presto per dirlo. Ma una cosa è certa. I dati del Fmi sulla recessione mondiale, prevista nel 2013, il rallentamento delle aree guida dell’economia, la guerra finanziaria permanente stanno creando per l’Italia una situazione simile a quella che ha fatto esplodere il centrodestra. Che si è trovato di fronte a problemi immensi accumulatisi velocemente a partire da Lehmann ed è esploso con la crisi dei debiti sovrani dell’euro (con lo spread come tormento quotidiano).  La nuova ondata di crisi, che contiene anche la radicalizzazione di quelle precedenti, scioglierebbe come il burro, stavolta definitivamente, il centrosinistra al governo. Non a caso qualcuno spera, e lavora, per una legge elettorale che disinneschi il risultato delle primarie per non caricare troppo il centrosinistra delle responsabilità future. Restano per adesso delle primarie che sembrano fatte per le vignette di Mannelli, che ci suggeriscono però un dato politico e antropologico di una coalizione che, per il bene del paese, si può solo auspicare che svanisca senza fare troppi danni.

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