Suppongo
che vi sarete già accorti che in queste ultime settimane l’attenzione mediatica e giudiziaria è tutta puntata sulla famelica casta della politica italiana,
che nonostante il clima ostile nei suoi confronti continua
sfacciatamente le ruberie, infilandosi in uno scandalo dopo l’altro. Le
regioni, dalla
Sicilia al Lazio, alla Lombardia, per adesso sono nel mirino della
Magistratura
e della Guardia di Finanza, ma non è escluso che fra qualche giorno si
passerà
alle province, ai comuni, alle aree metropolitane, fino a rientrare di
nuovo
nel parlamento per scovare altri Lusi, Belsito, Scilipoti, Razzi. Lavoro da fare ce n’è tanto, perché non ci vuole molto a
capire che il migliore della nostra
attuale classe politica e dirigente ha la rogna. Basta guardarli in faccia
e sentirli parlare per capire quale sia il loro spessore politico, etico o culturale e gli
studi di Lombroso e Freud potrebbero aiutare non poco in questa analisi
psico-fisiognomica. Ma lasciarsi trascinare dal clima di caccia alle streghe e credere che tutti i problemi
dell’Italia derivino soltanto dai soldi pubblici sottratti dai politici alle
casse dello stato è un errore di
leggerezza e superficialità colossale, che serve a sviare l’attenzione
degli italiani dalle faccende realmente importanti e cruciali per il destino
del nostro paese.
Per
carità, un po’ di pulizia ci voleva e ci vuole sempre sia in tempo di crisi che di abbondanza, perché
dei vari Fiorito, Zambetti, Lombardo,
Maruccio non sentiremo mai la mancanza ed è giusto che paghino per le loro colpe, ma le questioni in ballo in
questo momento per l’Italia non sono nell’ordine dei milioni di euro rubati a
destra e a manca dai faccendieri d’accatto infiltrati nella politica, ma dei miliardi
di euro, che giorno dopo giorno vengono sottratti alla gestione ordinaria della spesa pubblica
e convogliati sotto silenzio verso altre destinazioni, i cui maggiori
beneficiari sono quasi sempre le grandi lobbies finanziarie europee e
internazionali. La sproporzione informativa fra i fiumi di parole spesi per
denunciare i crimini indegni ma contabilmente irrilevanti dei vari politicanti corrotti e il silenzio che regna intorno alle grandi
manovre finanziarie di proporzioni ciclopiche, dal salvataggio pubblico di Banca Monte Paschi di Siena alla chiusura
dei contratti derivati con Morgan Stanley, dalle quote di partecipazione al Meccanismo Europeo di Stabilità al Fiscal Compact, è la prova più convincente del fatto che in Italia
ormai si è instaurato un possente regime
totalitario autoreferenziale, che vive e prospera sul legame stretto fra i centri privati
di potere nazionali e internazionali e gli organi di informazione asserviti. Snoccioliamo subito alcuni numeri
per capire di quali dimensioni stiamo parlando.
Data
|
Debito pubblico
|
Prestiti all'EFSF/MES
|
31/12/2011
|
1.897,88
|
3,11
|
31/01/2012
|
1.934,82
|
3,97
|
31/07/2012
|
1.967,48
|
20,19
|
Fonte: Banca d’Italia, “Finanza pubblica,
fabbisogno e debito” n. 47 del 13 settembre 2012.
Alla
fine, dopo che tutto questo flusso ininterrotto di miliardi di euro ha sfamato
e saziato la voracissima Idra della
finanza, abbiamo dulcis in fundo,
come ciliegina sulla torta di questo quadro agghiacciante, le ruberie, le truffe, i raggiri dei faccendieri prestati alla politica
e i costi eccessivi, gli sprechi, i
privilegi della casta. Risvolto quest’ultimo sicuramente disdicevole e
ripugnante che crea legittima indignazione e rabbia nell’opinione pubblica, perché
alla luce del sole e amplificato oltremisura dalla stampa, ma pur sempre una briciola di qualche milione
di euro se confrontato con le vagonate
stracolme di miliardi di euro che nel silenzio più assoluto vengono
sottratti alla gestione del bene comune e riservati alla soddisfazione di una
ristretta cerchia di interessi privati. Per avere un termine di paragone siamo nell'ordine di grandezza di 1:1000:
per ogni milione di euro rubato da Fiorito, ci sono 1000 milioni di euro
portati via senza colpo ferire e fare rumore alcuno da Unicredit, Monte Paschi
e compagnia bella. Un abisso di differenza in termini strettamente contabili e se Fiorito
viene giustamente accusato di essere un criminale, come dovremmo chiamare sciacalli professionisti come Profumo,
Mussari, Passera e i dirigenti delle lobbies
finanziarie internazionali?
Con
questo non voglio giustificare la
corruzione o il malaffare politico, per carità, me ne guarderei bene, ma
solo ribadire con assoluta chiarezza e schiettezza che esiste una precisa scala gerarchica del ladrocinio nazionale,
e in questa piramide il Fiorito di turno rappresenta soltanto l’ultima ruota
del carro, mentre ben altri godono dei maggiori
frutti del furto che si perpetua senza sosta, la quale a sua volta deriva
dalla scelta scellerata di
subordinare la capacità di azione
politica e lo stato sociale di una
democrazia ai finanziamenti delle
banche e dei mercati privati dei capitali. Per capire meglio il dramma
facciamo un ragionamento per assurdo: dalla relazione della Corte dei Conti sul bilancio dello
stato risulta che i “redditi da lavoro dipendente”
ammontano per il 2012 a circa €170
miliardi. Immaginiamo di tagliare questi costi con la scure di €85 miliardi, dimezzando il numero dei
parlamentari, riducendo gli stipendi di politici e funzionari pubblici,
licenziando impiegati, chiudendo uffici ed ospedali: una vera e propria mattanza di proporzioni bibliche, che i curatori
fallimentari del governo Monti al soldo della grande finanza riuscirebbero a
stento a vagheggiare nei loro sogni più belli. Considerando che lo stato italiano
paga ogni anno €90 miliardi circa di
interessi sul debito pubblico,
questi soldi andrebbero quindi a rimborsare soltanto le cedole e gli interessi
sul debito senza ridurre di un centesimo la quota capitale, che dovrebbe essere
intaccata imponendo altri tagli draconiani alla spesa dello stato, fino a
raggiungere l’agognato pareggio di bilancio. Se guardiamo sotto la distribuzione del debito pubblico tra i
vari creditori nazionali e internazionali, possiamo notare chi intascherebbe i
soldi ricavati da questo ipotetico taglio massiccio della spesa corrente.
Secondo
i dati aggiornati a luglio 2011 della Banca d’Italia solo il 14% del
debito pubblico italiano è posseduto da privati residenti in Italia, il
26,8% è nelle mani di “istituzioni
finanziarie monetarie” (banche, fondi comuni), il 13,5% da assicurazioni e
fondi pensione, il 3,65% direttamente dalla Banca d’Italia e il 43% è nelle
mani di soggetti non residenti, cioè all’estero, presumibilmente grandi
istituzioni finanziarie.
Dalle analisi ricognitive più recenti di Banca d’Italia sappiamo che la quota di debito pubblico detenuta all’estero è crollata drasticamente al 31,7%,
perché grazie agli aiuti LTRO della BCE
le banche italiane sono state costrette a ricomprarsi i titoli di stato
posseduti dalle società finanziarie straniere, in particolare tedesche e francesi.
Tuttavia, a parte questo passaggio di consegne tra banche, la quota di debito
in mano ai residenti privati, famiglie e aziende non finanziarie, è rimasta
pressoché costante. Questo è il punto.
Solo una quota minima di tutti i
soldi che vengono rastrellati dal governo per rimborsare il debito pubblico
rimangono in Italia, nelle mani di soggetti
che poi quei soldi "potrebbero" spenderli e investirli nell’economia reale,
mentre tutto il resto va ad ingrossare le riserve
delle banche nazionali ed estere, che sappiamo benissimo come vengono utilizzate:
rimborsare i debiti contratti, acquistare titoli finanziari, rinforzare il deposito
precauzionale presso la banca centrale, limitare al massimo i prestiti ad
aziende e famiglie, soprattutto in questo periodo di recessione e di incertezza
diffusa.
E’
evidente che una tale redistribuzione
viziosa dei redditi dal basso verso l'alto
sia la causa principale del calo
generalizzato della domanda aggregata (consumi, investimenti, spesa pubblica) che ha automaticamente fatto diminuire il prodotto
interno lordo PIL di circa -2,5% nel 2012, aggravando non poco gli effetti
recessivi in corso e fornendo poche prospettive di ripresa per i prossimi anni.
Un salto nel buio, che prima o dopo,
quando i risparmi degli italiani saranno stati prosciugati, ci condurrà all’instabilità sociale, alle rivolte di
piazza, all’ingovernabilità, come sempre è accaduto nella storia quando si
è venuta a creare una simile disparità cronica di ricchezze e diritti. Questo
è il percorso a cui andiamo incontro perseguendo a testa bassa la lotta cieca
ai costi della politica e ai privilegi della casta, senza avere chiaro il quadro generale d’insieme. Il vero
problema dell’Italia non sono affatto gli sperperi e gli sprechi della
politica, ma come questi soldi eventualmente risparmiati o chiesti ai soliti contribuenti vengono poi utilizzati ad esclusivo
vantaggio dei gruppi finanziari internazionali.
Paradossalmente, come ha già fatto
notare qualcuno, quando diamo un alto
stipendio ad un politico, almeno siamo certi che in una qualche misura
l’arraffone in questione spenderà questi soldi in vestiti, ristoranti, case,
viaggi, auto di lusso, gioielli, feste, teatri, facendo girare bene o male l’economia, mentre trasferendo questi soldi dagli emolumenti dei parlamentari
per darli alla finanza sappiamo già per certo che andranno definitivamente
persi nei circuiti interbancari e
finanziari, senza mettere in moto praticamente nulla, a parte i
finanziamenti diretti forniti alle grandi aziende e multinazionali (società spesso imparentate
in qualche modo con le stesse banche creditrici). Non dobbiamo quindi stupirci se, come si
evince dal grafico riportato sotto, tutti gli ultimi sforzi richiesti ai
cittadini e le manovre di bilancio
adottate dal governo per ridurre
a monte il deficit pubblico, con
continui aumenti di tasse e tagli alla spesa, si riflettano poi a valle in un
ulteriore peggioramento del rapporto
debito pubblico/PIL, che è passato in un solo anno di governo Monti dal
123% al 127%. Trattandosi di un rapporto,
se il denominatore tende a diminuire più
rapidamente del numeratore, il risultato finale nel complesso non può che aumentare:
questa è algebra da scuole elementari
e non serve una laurea alla Bocconi per afferrare i semplici meccanismi
descritti (per questo motivo possiamo dire con certezza che gli esimi professori del governo tecnico sono
in malafede, mentono pur sapendo di mentire, e il loro scopo ultimo è solo quello di arraffare più soldi possibile agli
italiani per rimborsare i grandi creditori nazionali e internazionali,
prima che tutto crolli).
Ripeto,
con questo non voglio dire che sia corretto lasciare gli stipendi alti a
politici e funzionari pubblici, per consentire loro di continuare a vivere una
vita da nababbi mentre i cittadini sono costretti a stringere la cinghia e fare
sacrifici, ma ponderare bene come e dove verranno veicolati i soldi eventualmente
risparmiati: meglio i vitalizi dei
politici o i bonus dei dirigenti di banca? O ancora peggio, togliere
soldi alla spesa pubblica per depositarli sui conti di riserve delle
banche, privando cittadini e imprese dei mezzi di pagamento necessari. Il vero problema dell’Italia quindi, e lo si
capirà meglio vedendo le dimensioni finanziarie in gioco (dell’ordine di miliardi
di euro e non di milioni di euro), non sono gli
sprechi, gli sperperi, gli abusi, la corruzione della politica (fenomeni questi
distorsivi e devianti dell’illegalità diffusa che vanno comunque aspramente
combattuti), ma il fatto che la politica
non ha più gli indispensabili strumenti fiscali e monetari per agire attivamente
nell’economia e invertire il declino in corso, avendo delegato tutte le proprie sovranità ad istituzioni sovranazionali
come la BCE e l’Unione Europea che hanno le idee molto chiare su come
utilizzare i poteri acquisiti: salvaguardare i privilegi della finanza privata,
le rendite di investitori e speculatori, gli interessi di grandi gruppi
industriali e multinazionali a costo di affamare i cittadini e distruggere lo
stato sociale.
Il
vero problema dell’Italia è la costrizione imposta a tutta l’economia di rimanere agganciata ad una moneta unica forte
come l’euro che sta annientando la competitività del tessuto produttivo
nazionale, salassando i salari dei lavoratori, amplificando gli squilibri
interni ed esterni del paese con il resto degli stati europei. Il vero problema
dell’Italia è che continuando su questa strada apriremo le porte ad una
progressiva ma inesorabile colonizzazione dei grandi gruppi industriali e finanziari stranieri, rinunciando all’autonomia produttiva e peggiorando anno dopo anno la dipendenza
dagli investimenti esteri e il tasso
di indebitamento con il resto del mondo. Il vero problema dell’Italia è la selezione della classe dirigente,
che viene scelta con cura in base alla scarsa competenza e capacità decisionale
o alla facilità con cui si lascia manipolare o corrompere da agenti esterni
alla politica. Il vero problema dell'Italia è il continuo attacco della propaganda che tende ad assottigliare e ridimensionare le istituzioni democratiche
dello stato in favore di interessi e controlli privatistici della
politica. In confronto a questi problemi cruciali, i vitalizi dei
parlamentari sono il classico fumo negli
occhi che serve ad annebbiare la vista, perché a quel punto, quando la
nazione sarà priva di qualsiasi capacità di reazione, non ci sarà più bisogno della politica, del parlamento,
della democrazia, in quanto vivremo in una sorta di dittatura finanziaria e industriale eterodiretta in cui le
decisioni verranno prese altrove e i residenti non avranno più alcuna voce in
capitolo non solo per far valere le proprie legittime istanze di giustizia ed
equità sociale, ma anche per rivendicare gli essenziali diritti democratici che stanno alla base della pacifica
convivenza civile (non ultimo il diritto di voto). Inutile ricordare che da trenta anni a questa parte, con
l’adesione totale e convinta ai programmi oligarchici e totalitari dell’Unione Europea, il processo di espropriazione di potere, di ricchezza, di democrazia è già abbondantemente in corso e sotto gli occhi
di tutti.
Fatta
questa doverosa premessa, ricevo e pubblico volentieri un dossier scritto da Gaspare Serra,
in cui vengono analizzati con notevole precisione e dovizia di particolari
tutti i famigerati costi della politica
e i privilegi della casta, perché qualunque movimento culturale e politico che avrà il compito nel prossimo
futuro di estromettere democraticamente l’indegna classe dirigente attuale e
guidare il paese, non potrà esimersi dalla necessità
di affrontare seriamente questi argomenti. Non solo per un fatto di opportunità e strategia politica,
visto che questi temi sono il cavallo di battaglia su cui si fonda la frangia
più agguerrita e numerosa della protesta, ma perché per ragioni di equità e giustizia sociale, dovrebbe rientrare nei punti
programmatici di qualsiasi nuovo movimento politico lo studio di meccanismi per
adeguare ed equiparare meglio gli stipendi dei parlamentari, dei dirigenti, dei
funzionari pubblici alla media europea, al tenore di vita generale, al reddito
nazionale, piegando tutte le forti resistenze che esistono ancora in tal senso
(vedi recente sentenza della Consulta
che impedisce il taglio degli
stipendi di alti dirigenti pubblici e magistrati). Questi soldi
risparmiati, invece di sparire nel vortice senza fondo del debito
pubblico irredimibile, andrebbero poi investiti subito
dopo in progetti di sostegno
all’economia, incentivi alle piccole
e medie imprese, sussidi ai
disoccupati, progetti di formazione
e inserimento, rafforzamento dello
stato sociale, in un’ottica di continuo miglioramento della redistribuzione dei redditi dall’alto verso il
basso e non viceversa. Pensare invece di avere risolto i problemi dell’Italia
dimezzando gli stipendi dei politici e dei parlamentari senza curarsi affatto
di sapere dove andranno a finire questi soldi è la solita Vittoria di Pirro, che
non porta a nulla e continuerà a sprofondare sempre di più il nostro paese nel
baratro della recessione. Meditate gente, meditate.
Fonte
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