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28/10/2012

Contro il feticcio della legalità

Avevo appena finito di scrivere il pezzo sugli eccessi del giustizialismo che è arrivata la polemica sugli sgomberi del Lambretta e delle case di San Siro operati dalla questura milanese subito dopo i quali, gli occupanti di San Siro, hanno protestato entrando a Palazzo Marino. La cosa, ovviamente, ha determinato una levata di scudi verso i soliti centri sociali che sono violenti, ricorrono a forme di lotta inaccettabili ecc. sia da parte della destra (e sin qui ci siamo) sia da parte di molti esponenti del Pd che hanno sostenuto che nessuna solidarietà dovesse darsi agli sgomberati, perché non sono accettabili forme di lotta illegali mentre la legalità è un valore assoluto da difendere. In astratto la difesa della legalità è un punto di vista condivisibile, tanto più in un momento in cui la legalità è quotidianamente violata dai poteri forti della finanza, da una casta politica di farabutti e tangentari, dalla grande criminalità organizzata ecc. Ma è proprio questa l’occasione migliore per rimarcare la difesa di questo valore? Ed in concreto come stanno le cose?
Per la verità, non ricordo alcuna epica battaglia di questi esponenti del Pd contro la penetrazione della ‘ndrangheta a Milano -tanto per dirne una-. E nemmeno contro la valanga di reati finanziari che si è abbattuta su di noi negli ultimi dieci anni, da Tanzi in poi -per dirne un’altra-. Ma evidentemente, queste solerti vestali della Legge ritengono che sia ben maggiore la pericolosità sociale di un gruppo di giovani che occupa uno stabile sfitto.

Questa polemica segnala tutto il distacco di questi esponenti politici dalla tradizione della sinistra italiana che viene da una lunga storia di azioni illegali, per affermare i diritti dei lavoratori: lo sciopero è stato a lungo un reato ma, non ci fossero state quelle azioni illegali lo sarebbe ancora oggi.

Storie di più di un secolo fa? Si ma il ricorso a forme di lotta illegali, quando necessario, fu pratica corrente del Pci anche in tempi assai più recenti. Nel 1969 l’autunno caldo venne combattuto a colpi di picchettaggi, occupazioni, cortei non autorizzati -ed, in casi estremi, scontri con la polizia- che fruttarono 14.000 denunce contro decide di migliaia di sindacalisti, lavoratori, studenti ed esponenti di partito. La sinistra politica ed i sindacati (Cisl compresa) si batterono per una amnistia generalizzata -poi ottenuta- che comportava una rivendicazione della piena legittimità di quei comportamenti illegali. E, per la verità, ancora sino a tutti gli anni ottanta (e nonostante i riflessi dell’avventura terrorista che inducevano in senso contrario) il ricorso a forme di lotta illegali, pur sporadicamente, continuò ad esserci, sempre in nome di una legittimità sostanziale che prevaleva sulla legalità astratta. Ma il Pci somiglia al suo lontano ed involontario erede, il Pd, come un cavallo di razza somiglia ad uno scarafaggio.

Ormai si è fatta strada la convinzione che legittimità e legalità coincidano sempre e perfettamente, per cui un comportamento illegale sia di per sé illegittimo e, vice versa, la legge sia sempre legittima, cioè giusta. Abbiamo perso completamente il senso della coppia concettuale legalità-legittimità, un elemento di pensiero  politico che non appartiene solo e tanto alla tradizione socialista e comunista quanto soprattutto a quella liberale: perché un legge possa essere ritenuta conforme al principio di legittimazione, non basta che sia stata approvata nelle forme codificate, occorre che risponda a valori condivisi come quello di giustizia. E noi, per dirne una, siamo in presenza di leggi che tutelano il privilegio più che il diritto.

E veniamo al caso concreto delle lotte per la casa qui ed oggi. Milano è una città in cui si avverte pesantissima la mano della speculazione edilizia, i valori degli immobili sono spropositatamente alti e, di riflesso, lo sono anche i fitti. Sapete dirmi che senso ha, economicamente parlando, che il costo per metro quadrato a Milano sia inferiore non di molto a quello di Londra e quasi eguagli quello di Parigi?

Tutto questo è possibile anche perché una fetta non piccola di immobili è tenuta volontariamente vuota per sostenere artificialmente i prezzi e il loro utilizzo  è essenzialmente quello di valorizzare l’asset di banche e finanziarie. Nello stesso tempo ci sono decine di migliaia di persone (sia migranti che cittadini italiani) che non hanno casa, devo arrangiarsi nel peggiore dei modi, mentre altre decine di migliaia da tempo hanno dovuto lasciare la città e dirigersi verso i paesi dell’interno alla ricerca di abitazioni economicamente più sostenibili.

E il problema non investe solo le abitazioni ma anche il commercio: quanti esercizi commerciali sono stati costretti a chiudere in questi ultimi tre anni, stritolati nella morsa fra fisco, interessi bancari e costo del fitto? E quanto costa al commercio milanese l’abbandono della città da parte di decine di migliaia di famiglie? Ma la proprietà privata, mi direte, è garantita dalla Costituzione. Già, ma la Costituzione (art. 42) la garantisce in un quadro caratterizzato dalla sua funzione sociale, ce lo siamo dimenticati?

Dunque, abbiamo un apparato di leggi ordinarie che, pur senza essere in aperto contrasto con la Costituzione, non garantisce, ed anzi ostacola, quella funzione sociale e tutela solo gli interessi dei proprietari. Ma, mi direte ancora, le leggi si possono cambiare, non c’è bisogno di ricorrere alle vie di fatto. E, invece no: questa è una partita con i dadi truccati, nella quale l’informazione è condizionata in gran parte da precisi interessi dei ceti abbienti, la selezione della classe politica avviene con meccanismi che premiano i miliardari ed i tangentisti e la possibilità di legiferare in senso sociale è impedita da una fittissima ragnatela di trattati internazionali (da quelli Ue a quelli legati al Wto) che, in ossequio alla vulgata neo liberista,  si preoccupano di garantire solo la proprietà privata.

Ed in queste condizioni mi venite a parlare del totem sacro della legalità? Questa è perversione feticista.
E’ possibile che nell’agire dei centri sociali e di alcuni comitati di quartiere ci sia dell’ingenuità, aspettative eccessive sugli effetti della “azione diretta”, forse anche del primitivismo politico da parte di alcuni: tutti peccati veniali rispetto alla gravità delle tendenze in atto. Per cui, pur avendo un forte senso della legalità in generale, mi scuserete, ma sto dalla parte loro.

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