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04/10/2012

La Cassazione sulla Diaz: “un massacro ingiustificabile”

Alla luce delle motivazioni pubblicate oggi dalla Cassazione, le lievi condanne comminate ad alcuni dei responsabili delle efferate violenze contro i manifestanti appaiono ancora più gravi e inaccettabili, soprattutto alla luce delle abnormi condanne imposte a dieci capri espiatori.

 Diaz, "la polizia agì con sconsiderata violenza"

Cinici, sadici, violenti, odiosi, infedeli. E bugiardi. No, non esce bene la polizia di stato nel ritratto impietoso degli ermellini, i giudici di Cassazione che hanno appena depositato le motivazioni della sentenza definitiva del 5 luglio scorso.

Checchino Antonini - Il Megafono Quotidiano 2 ottobre 2012

186 pagine che confermano il giudizio espresso dalla Corte d'Appello di Genova di «condotta cinica e sadica» da parte degli operatori di polizia, che agirono con «sconsiderata violenza», non preceduta da alcun «fitto lancio di pietre ed altri oggetti contundenti» di cui si parlava nella comunicazione della notizia di reato firmata dai funzionari. «Nessuna situazione di pericolo si era presentata agli operatori di polizia, tanto che gran parte di essi stazionava nel cortile senza alcun atteggiamento di difesa e lo stesso Canterini - uno dei funzionari indagati, all'epoca capo dei celerini - non indossava il casco protettivo». Nonostante questo «ha invece lasciato liberi tutti gli operatori di usare la forza ad libitum». Nero su bianco si legge che si trattò di indiscriminato e gratuito pestaggio di tutti coloro che erano andati a dormire in una scuola assegnata ai manifestanti sfollati dai campeggi dopo il nubifragio di 48 ore prima. E fu gratuita pure l'aggressione degli operatori di polizia nei confronti di cinque inermi persone che si trovavano fuori dalla scuola, tra cui il giornalista inglese Mark Covell, che venne picchiato fino a perdere i sensi, fino a restarci quasi secco. I giudici della Suprema Corte ricordano che 93 furono le persone arrestate illegalmente: di queste 87 rimasero ferite e 2 furono anche in pericolo di vita. Tra agenti di polizia e carabinieri (questi ultimi incaricati solo della "cinturazione" degli edifici), vennero impiegati 500 uomini. Molti di loro agirono travisati per sfuggire alle molestie di qualche magistrato ostinato come i due pm che hanno condotto l'inchiesta. E che all'inizio della requisitoria spiegarono come processare un funzionario in divisa sia il cumulo delle difficoltà che si incontrano quando un mafioso o uno stupratore vanno alla sbarra: c'è da sfondare il muro di gomma dell'omertà e da evitare che si criminalizzino le vittime. La Cassazione, sulla scia della Corte d'Appello di Genova, ricorda l'odiosità del comportamento dei vertici. «Di chi, in posizione di comando a diversi livelli come i funzionari una volta preso atto che l'esito della perquisizione si era risolto nell'ingiustificabile massacro dei residenti nella scuola, invece di isolare ed emarginare i violenti denunciandoli, dissociandosi così da una condotta che aveva gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero e di rimettere in libertà gli arrestati, avevano scelto di persistere negli arresti creando una serie di false circostanze». Prove false (le molotov portate dalla questura), verbali menzogneri «funzionali a sostenere così gravi accuse da giustificare un arresto di massa». I 93 arrestati si trovarono cucita addosso l'accusa di associazione sovversiva, furono smistati da Bolzaneto verso altre galere del Nord e il pacchetto fu confezionato così bene da «indurre i pubblici ministeri a chiedere, e ottenere seppure in parte, la convalida degli arresti», grazie alla «consapevole preordinazione di un falso quadro accusatorio ai danni degli arrestati, realizzato in un lungo arco di tempo intercorso tra la cessazione delle operazioni e il deposito degli atti in Procura. E, a proposito di prove false, la Cassazione rileva che l'ex capo dello Sco, Gilberto Caldarozzi, «era consapevole della falsità» perché «per sua affermazione, era entrato nella scuola e si era quindi potuto rendere conto che nelle aree comuni non vi era nulla del genere». Caldarozzi arrivò alla Diaz con Francesco Gratteri, il più alto in grado quella notte, «mentre le violenze erano ancora in atto». Gratteri, non è stato condannato «sulla base di un apodittico “non poteva non sapere"» ma «sulla base di specifici elementi concreti a suo carico, tutti ben delineati». E' stato proprio lui a dare «impulso - scrivono gli ermellini - alla scellerata operazione mistificatoria». Gratteri fu «la figura apicale di riferimento per gli appartenenti alle squadre mobili» svolgendo un «ruolo centrale in questa vicenda processuale». Oltre alla «partecipazione diretta ed attiva per tutta la durata dell'operazione Diaz» la Cassazione gli contesta la richiesta a Canterini «di redigere la relazione al questore» ed alla «richiesta di certificati medici» su inesistenti lesioni subite dagli agenti. Perché non ci fu proporzione tra forza usata e resistenza incontrata. Sia Gratteri che Caldarozzi, videro il corpo «esanime in terra» di Mark Covell. E ad un ufficiale dei carabinieri che glielo mostrava Caldarozzi disse di continuare a svolgere il suo lavoro. «Altra figura in posizione apicale», fu quella di Giovanni Luberi, anche lui consapevole «dell'uso spropositato che era stato fatto della violenza» alla Diaz. Vi fu «carta bianca preventivamente assicurata» in merito alle violenze da "macelleria messicana": «Tutta l'operazione si è caratterizzata per il sistematico e ingiustificato uso della forza da parte di tutti gli operatori che hanno fatto irruzione nella scuola Diaz e la mancata indicazione, per via gerarchica (da Canterini a Fournier e da questi ai capi squadra, fino agli operatori), di ordini cui attenersi. Chi fece irruzione alla scuola Diaz di Genova - durante il G8 del 2001 - si scagliò «sui presenti, sia che dormissero, sia che stessero immobili con le mani alzate, colpendo tutti con i manganelli e con calci e pugni, sordi alle invocazioni di “non violenza" provenienti dalle vittime, alcune con i documenti in mano, pure insultate al grido di “bastardi”». E nessuno dei partecipanti alla mattanza ha mai mostrato «segni di sorpresa o rammarico per l'esito dell'operazione». Il defunto prefetto La Barbera, disse di aver notato un certo nervosismo tra gli agenti e «subodorato che certamente le cose non sarebbero andate bene, perché ognuno conosce gli animali suoi». Alle toghe del Palazzaccio non sfugge che fu il capo della polizia a ordinare una retata cilena «anche per riscattare l'immagine della Polizia dalle accuse di inerzia» e che il blitz fu condotto con «caratteristiche denotanti un assetto militare». Una scena di guerra che cozzava con «le ipotesi legittimamente formulabili in riferimento ad una perquisizione». Alla Diaz non c'erano armi mentre la polizia agì con un ''elevato numero di operatori. L'unico dirigente della polizia al quale sono state concesse le attenuanti è Michelangelo Fournier che, dopo il pestaggio, aveva espresso a Canterini «la volontà di non lavorare più “con questi macellai qui”


Scuola Diaz, la Cassazione: “Massacro ingiustificabile che ha screditato l’Italia”
Durissime le motivazioni della sentenza che ha portato alla condanna di 25 poliziotti e ha portato alla rimozione di diversi alti gradi del Viminale. "Odioso il comportamento dei vertici", che al G8 di Genova del 2001 avallarono un blitz deciso solo "per riscattare l'immagine della polizia". In seguito alla "esortazione" dell'allora numero uno Gianni De Gennaro  

Il Fatto Quotidiano 2 ottobre 2012 

“Un massacro ingiustificabile“, “una pura esplosione di violenza“. E’ il timbro finale della corte di Cassazione sull’irruzione alla scuola Diaz condotta dalla Polizia di Stato durante il G8 di Genova del 2001, conclusa con oltre 60 feriti su 93 arrestati. “La condotta violenta” della polizia ha “gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero”, si legge nelle motivazioni, depositate oggi, della sentenza che il 5 luglio scorso ha condannato 25 poliziotti presenti al blitz, compresi diversi alti funzionari del Viminale poi decaduti dai loro incarichi a causa dell’interdizione dai pubblici uffici sancita dai giudici. Tra i condannati Franco Gratteri, capo della Direzione centrale anticrimine, Gilberto Caldarozzi, capo del Servizio centrale operativo, Giovanni Luperi, capo del dipartimento analisi dell’Aisi, l’ex Sisde. Oltre a Vincenzo Canterini, allora comandante del Reparto mobile di Roma, ormai a riposo.   A questo proposito, la sentenza firmata dai consiglieri Piero Savani e Stefano Palla mette in evidenza  “l’odiosità del comportamento” di chi, “in posizione di comando a diversi livelli come i funzionari, una volta preso atto che l’esito della perquisizione si era risolto nell’ingiustificabile massacro dei residenti nella scuola, invece di isolare ed emarginare i violenti denunciandoli, dissociandosi così da una condotta che aveva gettato discredito sulla Nazione agli occhi del mondo intero e di rimettere in libertà gli arrestati, avevano scelto di persistere negli arresti creando una serie di false circostanze”. Ce n’è anche per l’allora capo della polizia Gianni De Gennaro, mai indagato nel processo principale sulle violenze alla Diaz e assolto in un procedimento parallelo per induzione alla falsa testimonianza. C’era “l’esortazione rivolta da capo della polizia ad eseguire arresti” dopo due giorni di scontri fuori controllo, scrivono i giudici, alla base della decisione di intervenire nella scuola quando ormai il G8 era finito.   “L’assoluta gravità – si legge nella sentenza numero 38085 – sta nel fatto che le violenze, generalizzate in tutti gli ambienti della scuola, si sono scatenate contro persone all’evidenza inermi, alcune dormienti, altre già in atteggiamento di sottomissione con le mani alzate e, spesso, con la loro posizione seduta in manifesta attesa di disposizioni”. Per questo si può affermare che si è “trattato di violenza non giustificata e punitiva, vendicativa e diretta all’umiliazione e alla sofferenza fisica e mentale delle vittime”. E se questo è potuto succedere, è perché  “la mancata indicazione, per via gerarchica, di ordine cui attenersi” si è tradotta “in una sorta di carta bianca, assicurata preventivamente e successivamente all’operazione”. Tutti, insomma, erano liberi “di usare la forza ad libitum”.   I poliziotti che fecero irruzione, infatti, “si erano scagliati sui presenti, sia che dormissero, sia che stessero immobili con le mani alzate, colpendo tutti con i manganelli (detti ‘tonfa’) e con calci e pugni, sordi alle invocazioni di ‘non violenza’ provenienti dalle vittime, alcune con i documenti in mano, pure insultate al grido di ‘bastardi’”. La “sconsiderata violenza adoperata dalla polizia”, va attribuita in particolare agli uomini del VII Nucleo Antisommossa del Reparto mobile di Roma,  al quale “era stata affidata la prima fase di ‘messa in sicurezza’ della scuola, con caratteristiche rimaste peraltro ignote”. Secondo i giudici, che richiamano anche una consulenza dei carabinieri del Ris, “nessuna situazione di pericolo si era presentata agli operatori di polizia”.   La Cassazione condivide il giudizio espresso dalla Corte d’Appello di Genova quando, nel 2010, ha bollato l’attività della polizia come “condotta cinica e sadica, in nulla provocata dagli occupanti la scuola, tanto che il comandante del VII nucleo Michelangelo Fournier ha, con acrobazia verbale tanto spudorata quanto risibile, dapprima parlato di ‘colluttazioni unilaterali’, per poi finire con l’ammettere la reale entità dei fatti, per descrivere i quali ha usato la significativa e fotografica espressione ‘macelleria messicana’”.   La ”gravità” dei reati commessi dai funzionari della polizia, scrive ancora la Cassazione, come quello della violazione “dei doveri di fedeltà” delle calunnie e dei falsi, legittima il no “al riconoscimento delle attenuanti generiche” a favore degli imputati. Che hanno commesso una “consapevole preordinazione di un falso quadro accusatorio ai danni degli arrestati, realizzato in un lungo arco di tempo intercorso tra la cessazione delle operazioni ed il deposito degli atti in Procura”. Nonostante questo, nessuno dei partecipanti al ha mai mostrato “segni di sorpresa o rammarico per l’esito dell’operazione”.   Ma perché i vertici della Polizia di Stato decisero di intervenire nella scuola utilizzata come dormitorio da diversi manifestanti la notte del 21 luglio 2001, quando il vertice G8 e le manifestazioni di protesta sfociate in violentissimi scontri erano ormai finite? La Cassazione smonta la versione ufficiale della normale perquisizione: ”L’immagine della polizia doveva essere riscattata, essendo apparsa inerte di fronte ai gravissimi fatti di devastazione e saccheggio che avevano riguardato la città di Genova, e il riscatto sarebbe dovuto avvenire mediante l’effettuazione di arresti, ovviamente dove sussistenti i presupposti di legge”.   Sul fronte delle responsabilità dei singoli imputati, la Cassazione rileva che l’allora vicecapo dello Sco Caldarozzi “era consapevole della falsità del rinvenimento delle molotov” all’interno della scuola, “perché, per sua affermazione, era entrato nella scuola e si era quindi potuto rendere conto che nelle aree comuni non vi era nulla del genere”. La corte rileva che Caldarozzi arrivò alla Diaz con Gratteri, allora capo dello Sco,  “mentre le violenze erano ancora in atto”. Per quanto riguarda Gratteri, merita la condanna per avere “dato impulso alla scellerata operazione mistificatoria” ed è stata “la figura apicale di riferimento per gli appartenenti alle squadre mobili”.   Per quanto riguarda Canterini, autore di un recente libro in cui in sostanza scarica le responsabilità del massacro sui colleghi degli altri reparti, oltre alla “partecipazione diretta e attiva per tutta la durata dell’operazione Diaz” la Cassazione contesta la sua richiesta “di redigere la relazione al questore” e di aver sollecitato certificati medici “attestati le lesioni subite dagli agenti, per suffragare il giudizio contenuto nella comunicazione della notizia di reato (la cui falsità è accertata) sulla proporzione tra forza usata e violenza e resistenza incontrata”. Sia Gratteri che Caldarozzi, ricorda la Cassazione, videro il corpo “esanime in terra” del giornalista inglese Mark Covell, pestato a sangue da diverse ondate di poliziotti fuori dalla scuola prima dell’inizio dell’irruzione e recentemente risarcito dal ministero dell’Interno con 350mila euro. A un ufficiale dei carabinieri che gli aveva indicato il ferito da soccorrere, “Caldarozzi disse di continuare a svolgere il suo lavoro”. “Altra figura in posizione apicale”, aggiunge la Cassazione, è quella di Giovanni Luperi, anche lui consapevole “dell’uso spropositato che era stato fatto della violenza” alla Diaz.Nelle motivazioni della sentenza, i giudici sottolineano che in Italia non esiste il reato di tortura, e per questo non si è potuta evitare la prescrizione per i reati di lesioni gravi. Ma è provato oltre ogni ragionevole dubbio  ”il ricorrere degli estremi fattuali della gravità e gratuità dell’uso della forza”.

Fonte

Fa pensare il fatto che una Repubblica nata sulle ceneri (?) di uno tra i peggiori regimi totalitari del '900 non sì sia mai presa la briga di ascrivere la tortura nel proprio codice penale.
Viene proprio da pensar male circa il potere, i suoi metodi per perpetrarsi e alla bisogna imporsi.

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