Contraddizioni violente nella società egiziana, che nemmno l'Islam
politico dei Fratelli Musulmani ora al governo riesce a governare.
La doppia prova di forza che Mohamed
Mursi e l’apparato della Fratellanza hanno tentato nel “venerdì della
responsabilità” trasformatosi nel giorno dei tumulti - i primi dalla sua
elezione a Presidente della Repubblica d’Egitto http://www.youtube.com/watch?v=a8UKWOMs5iU
- ha già assunto lo spiacevole impatto del boomerang. Colpite sia la
credibilità istituzionale sia la tenuta di piazza del partito che lo
sostiene. Col velato tentativo di rimozione del pubblico ministero Abdul
Maguid Mohamoud, uno degli artefici dell’assoluzione ai 24 responsabili
della “battaglia dei cammelli” odiati dai manifestanti laici e islamisti,
Mursi ha tentato populisticamente di cavalcare il malcontento popolare.
E ha ripetuto il passo praticato dopo il suo insediamento di giugno
quando aveva ordinato di riunire il Parlamento sciolto d’ufficio dalla
Corte Suprema. Un’entrata in tackle sull’autonomia del potere
giudiziario che non era stata gradita dagli interessati e non era stata
neppure proseguita dal Presidente. Quella fu un’uscita propagandistica
che si è ripetuta giovedì scorso proponendo al piemme di cambiare lavoro
e trovarsi ambasciatore nella Città del Vaticano. L’immediata alzata di
scudi dell’Associazione dei giudici dell’ennesima lobby egiziana,
ovviamente meno numerosa di quella militare ma non meno potente, ha
fatto recedere il Presidente già imbarazzato dal caos di un venerdì nero
scivolato verso l’irresponsabilità dei suoi supporter e quella scontata
di chi lo osteggia.
Sabato di buon mattino il rifiuto di Mohamoud veniva incamerato
e il magistrato restava lì dove Mubarak l’aveva collocato da tempo. Il
tutto s’è rivelato un passo falso per Mursi che non ha trovato forza
neppure nella piazza islamica scontratasi coi laici, quest’ultimi in
fermento per contestargli la vacuità del programma dopo i tanto
festeggiati 100 giorni di conduzione del Paese. E’ risultato goffo anche
il tentativo della stampa controllata dalla Brotherhood che ha parlato
d’infiltrati nella manifestazione di venerdì. Così attivisti del
movimento su un sito web che si richiama a Khaled Said ha fatto
immeditamente notare che quelle affermazioni sapevano di vecchio regime,
erano Mubarak e Suleiman che parlavano di provocatori e infiltrati
nelle prime manifestazioni del 25 gennaio 2011. Seppure in quel caso si
trattava d’un lapsus freudiano perché gli agenti in borghese, specie nei
primi giorni della rivolta di gennaio, c’erano davvero e colpivano alle
spalle i manifestanti. Comunque il gruppo Khaled Said inchioda il
Presidente: è lui che ha cambiato i vertici della Sicurezza, se questi
risultano inadeguati e permettono infiltrazioni ne deve rispondere il
governo e lui medesimo. Insomma un vero fuoco di fila di contraddizioni
per un’operazione che l’apparato della Confraternita pensava di poter
gestire a proprio favore. E non finisce qui. Analisti interni hanno
iniziato una serrata critica a ciò che definiscono apertamente un nuovo
regime seduto sugli scranni già nasseriani finiti nelle mani di poco
degni successori.
Troppo facile
ricordare che i passi di Nasser furono folgoranti. Non in soli cento
giorni ma gradualmente arrivarono la nazionalizzazione di Suez, la
riforma agraria che comportò il sequestro di migliaia di acri di terreno
tolto ai latifondisti e distribuito ai contadini indigenti. Altri tempi
e altre speranze. Però gli oppositori, nasseriani e di sinistra, fanno
il loro gioco e definiscono quello della Fratellanza un ‘cambio di
regime’ che sposa lo stesso neoliberismo di Mubarak con la conservazione
interna d’una ristretta élite di capitalisti (fra cui loro uomini come
Malik) e una subalternità ai poteri occidentali. Esempio lampante la
presunta acquiescenza al FMI, che Mursi accontenta anche cancellando i
sussidi di povertà di nasseriana memoria sopravvissuti a tutti i raìs.
In realtà l’attuale Presidente, attivissimo nei contatti internazionali,
sta diversificando i prestiti su vari fronti. Certo finora non ha
fornito risposte a richieste sociali come i minimi salariali,
scontentando i ceti più deboli ma scontenta pure medici, insegnanti,
impiegati statali che hanno infilato scioperi consecutivi. La “Rinascita
economica” interna è tutta da verificare. L’ambizioso progetto che usa
il prestigioso sostantivo s’è ridotta a viaggiare principalmente attorno
al settore commerciale nel quale i Paperoni della Fratellanza come
Al-Shater hanno il primato. A loro però, ma anche a businessmen d’altro
colore politico quali Shafiq e Sawiris, mancano esperienze industriale e
di libero mercato. Hanno vissuto per decenni legati alle commesse
statali e si sono arricchiti navigando a vista. Una prassi che li
avvicina a parecchi sedicenti imprenditori nostrani.
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