Molti, in questa campagna elettorale, lanciano la proposta di un’imposta straordinaria patrimoniale, ma si guardano bene dal precisare cosa intendono per patrimoniale. Come se l’espressione avesse un significato univoco ed ovvio, non bisognoso di precisazioni. E invece, chiediamoci: la patrimoniale serve o no? Ed a cosa? Ma, soprattutto, che intendiamo per patrimoniale e patrimonio?
In primo luogo, distinguiamo sulla tassazione sui redditi (compresa quelli da capitale o da immobili) da quella sul patrimonio accumulato. La prima è ordinaria, la seconda, normalmente, ha carattere straordinario ed eccezionale. Spesso le due cose si confondono: ad esempio tassare le rendite da immobili o titoli finanziari è un conto, tassare il valore dei titoli o degli immobili è un altro. Altra precisazione la patrimoniale non è una proposta “socialista” o sovversiva, ma puramente liberale: si dichiarò a suo favore anche Einaudi.
Ma in cosa consiste il patrimonio da tassare? Bisogna dire che la patrimoniale fu una idea che si affermò a cavallo fra otto e novecento, quando il “patrimonio” era in gran parte composto da beni immobili (terreni agricoli, suoli edificabili, palazzi, stabilimenti ecc.) e, in misura ben più modesta di conti in banca, preziosi, azioni ecc. E’ ancora vero tutto questo?
Prendiamo il caso italiano. La Banca d’Italia stima che la ricchezza immobiliare delle famiglie italiane ammonti a circa il 60% della loro ricchezza complessiva, però questa percentuale scende, e di molto, se consideriamo anche i patrimoni finanziari occultati. Il patrimonio immobiliare privato italiano è valutato, dall’Agenzia delle entrate, a 6.335 miliardi di euro (e il 25% di esso è posseduto dal 5% della popolazione). Non è poco, siamo d’accordo, ma è una frazione minoritaria del patrimonio complessivo degli italiani. In primo luogo dobbiamo considerare i titoli di credito (azioni, obbligazioni di vario tipo ed in particolare pubbliche, valuta ecc.): data l’attuale opacità bancaria e sociale e il trasferimento dei capitali nei paradisi fiscali, non ci sono stime certe e non è praticamente possibile distinguere fra i capitali personali e quelli di società vere o di comodo, per cui possiamo solo tentare una stima molto approssimativa di circa 35.000 miliardi di Euro (usando come valore indicativo, la stessa percentuale del Pil italiano sul Prodotto Lordo Mondiale cioè, circa il 3% tra titoli finanziari e valutari). In realtà è una sotto stima, dato che l’Italia è, pur sempre un paese occidentale dove l’accumulazione di capitale è maggiore della media mondiale, ma accontentiamoci di questo dato indicativo.
Inoltre, se il possesso di un quarto degli immobili è in mano ad un ventesimo della popolazione, è realistico considerare che la quota di titoli finanziari e valutari in possesso di quel 5% sia anche più ampia.
Ma occorre considerare che le stime mondiali dei titoli finanziari, nella maggior parte dei casi non tengono conto del circolante (cioè della valuta) e nemmeno del capitale circolante netto (i flussi di cassa di qualsiasi impresa, soprattutto della distribuzione).
C’è poi una terza categoria di beni che occorre considerare e che raggruppiamo sotto la voce di “beni da stimare”: preziosi, collezioni d’arte, antiquariato di particolare pregio, collezioni varie, ecc. Come si sa, molti investitori, banche in primo luogo, acquistano opere d’arte o monete antiche ecc., non tanto per amore dell’arte o della numismatica, quanto per future speculazioni e come beni da usare, nel frattempo, come asset. Escludere questi beni dal computo falserebbe palesemente la stima del patrimonio posseduto, ma come stabilirne il valore? Al prezzo di acquisto? Al prezzo attuale di mercato? Al prezzo per il quale sono assicurati? Dovremmo incaricare dei periti di stabilire il valore? Facile dedurre che ne nascerebbe un contenzioso infinito.
Negli Usa, l’ultimo grido della speculazione è quello dei mattoncini di plastica della Lego (si proprio quelli con cui molti di noi hanno giocato tantissimi anni fa), che sono stati regolarmente quotati in borsa (ovviamente, quelli di annata e non quelli attuali). Se uno ha in casa 10 scatole di Lego, dobbiamo considerare anche quelli? Ed a che prezzo? Ma lasciamo da parte il problema dei beni da stimare e concentriamoci sugli altri.
In questi venti anni appena passati gli accordi internazionali hanno consentito una totale mobilità dei capitali ed il risultato è stato che i grandi capitali finanziari hanno scelto di allocarsi nei paesi con la più debole pressione fiscale (ma che strano eh!). Si sono moltiplicati i “paradisi fiscali”: piccoli paesi con limitatissime spese per il bilancio statale, che possono concedersi prelievi fiscali minimi per attirare ingenti masse di capitali dall’estero e vivere della rendita che essi assicurano. I “paradisi fiscali” esistevano anche prima (si pensi alla Svizzera) ma prima occorreva ricorrere a pratiche illegali e rischiose per trasferirvi i capitali, mentre ora basta il click di un mouse e ci sono cento modi per aggirare anche le residue tasse da pagare al paese di provenienza.
Ovviamente il processo non è stato totale e una parte non piccola è restata nei grandi paesi come gli Usa per una serie di ragioni di opportunità o convenienza che qui non stiamo a dire. Ma anche in questo caso lor signori si sono garantiti che la tassazione non fosse progressiva o (come negli Usa) che fosse regressiva. Il risultato finale è stato un’ accumulazione finanziaria senza precedenti evidentemente sottratta al fisco: è come se, accanto ai 194 stati ufficialmente esistenti, ne fosse nato un centonovantacinquesimo virtuale e non riconosciuto, Riccolandia che prende denaro da tutti e non ne dà a nessuno.
L’evasione fiscale economicamente significativa è questa non è quella di medici, commercianti, dentisti, avvocati, industrialotti ecc, che guadagnano 250.000 euro all’anno e ne dichiarano 30.000. E’ un gesto ignobile, siamo d’accordo, ma economicamente non è quella la sostanza del problema e non è con il redditometro che scoveremo i capitali accumulati all’estero. Nella causa di successione dell’avvocato Agnelli è emerso che c’era un fondo estero (ovviamente non dichiarato) per circa 1 miliardo di euro denominato “fondazione Dicembre”: quanti dentisti, avvocati, commercianti ecc ci vogliono per fare una cifra così?
Si considera che nel mondo ci siano oltre 60 milioni di “milionari” (in dollari o euro, si intende) in termini di patrimonio accumulato: abbiamo idea di quale fetta del patrimonio mondiale si concentri in quell’1% circa della popolazione mondiale?
Allora, le campagne sul redditometro o le retate a Cortina d’Ampezzo sono solo un diversivo a misura del cretino di sinistra, che così si convince che si sta combattendo l’evasione fiscale. Non posso dimenticare un manifesto indecente di Rifondazione Comunista del 2006 a supporto delle infelici decisioni fiscali del governo Prodi: “Che anche i ricchi piangano”. Puro populismo di marca leghista.
Il punto politicamente rilevante è: come si fa a far pagare le tasse ai ricchi, quelli veri? E qui o si torna indietro sulla mobilità dei capitali o si “internazionalizza” il fisco attraverso accordi internazionali, per cui nessuno stato può scendere sotto una determinata soglia di imposizione fiscale (poniamo il 25% sui grandi capitali); oppure stabilire un prelievo fiscale sulle rendite finanziarie da versare al Fmi (che provvederebbe a redistribuirle fra i vari stati) in misura inversamente proporzionale al livello di pressione fiscale di ciascun paese, per cui, essa diventa massima per i “paradisi fiscali”.
Ovviamente questo significa rivedere gli accordi come quelli di Marrakech e farne di nuovi in base alle esigenze della crisi attuale. Se si è fatto una volta si può fare la seconda. E questo presuppone una adeguata iniziativa di politica estera (tema di cui in questo paese non si parla mai ed in particolare in questa campagna elettorale): da questa crisi non si esce a livello nazionale, ricordiamolo.
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