Il premier israeliano ha condannato le frasi pronunciate dal neo presidente iraniano nel Giorno di Al Quds, che pure erano state riportate in modo incorretto dall'agenzia Isna.
E' ripresa la guerra delle parole tra Tel Aviv e Tehran, in attesa di
quella combattuta con le armi che certamente seguirà a un attacco aereo
israeliano contro le centrali atomiche iraniane. Un errore compiuto ieri
dall'agenzia di stampa iraniana Isna nel riportare le dichiarazioni del neo presidente Hassan Rouhani, in occasione del "Giorno di Al Quds" (Gerusalemme), ha creato confusione a Tehran e fornito su un piatto d'argento al premier israeliano Netanyahu l'occasione
per accusare l'Iran di volere eliminare lo Stato ebraico e per puntare
l'indice contro i governi occidentali, "troppo morbidi" nei confronti di
Rouhani.
Tutto è partito dalle frasi pronunciate dal neo presidente iraniano, succeduto meno di due mesi fa a Mahmud Ahmadi Nejad e
che assumerà tra qualche ora la presidenza del Paese. Per l'Isna
Rouhani avrebbe detto: «il regime sionista è una ferita che si trova nel
corpo del mondo musulmano da anni e che deve essere rimossa». Secondo Press tv,
Rohani, che si è rivolto a un gruppo di giornalisti, invece avrebbe
detto che «nella nostra regione c'è una ferita da anni nel corpo del
mondo musulmano sotto l'ombra dell' occupazione della terra santa di
Palestina e l'amata al-Quds». Poco dopo la Isna ha corretto il tiro togliendo dalla frase la ferita «deve essere rimossa». La reazione di Israele nel frattempo era già scattata.
Netanyahu ha affermato che le parole del presidente iraniano, hanno
mostrato «il vero volto di Rowhani prima del previsto e anche se gli
iraniani ora si adoperano per negare queste dichiarazioni, questo è
quello che pensa e rispecchia, questi sono i piani del regime». Le
affermazioni del presidente iraniano, ha aggiunto Netanyahu, «dovrebbero
fare aprire gli occhi al mondo sull'illusione di chi sia veramente
Rouhani». La verità, secondo il premier israeliano, è che «in Iran, il
presidente è cambiato ma l'obiettivo del regime resta quello di dotarsi
di armi nucleari per minacciare Israele, il Medio Oriente e la pace e la
sicurezza mondiali». Per questo, ha concluso Netanyahu, «non dovremmo
permettere a un paese che minaccia Israele di dotarsi di armi di
distruzione di massa».
Il premier israeliano è sembrato rivolgersi ai Paesi occidentali e
agli alleati americani che guardano a Rohani con occhi diversi rispetto
ad Ahmadi Nejad e che sono convinti di poter allacciare con lui un
dialogo costruttivo sulla questione del programma nucleare di Tehran che
si trascina da anni. Un atteggiamento che irrita non poco Netanyahu
che, di fatto, crede in una unica «soluzione»: l'attacco militare contro
l'Iran, anche a costo di innescare un conflitto in tutto il Medio Oriente. Il punto naturalmente non riguarda solo il nucleare - Tehran
nega con forza di volersi dotare di armi atomiche - ma anche i rapporti
di forza nella regione. E' evidente che il mantenimento della supremazia
strategica di Israele passa per il contenimento della crescente forza e
influenza dell'Iran. E su questo Israele ha l'appoggio silenzioso
delle petromonarchie sunnite del Golfo, che si sentono più nemiche
dell'Iran sciita che dello «Stato sionista».
Il riaccendersi della tensione tra Tel Aviv e Tehran avviene nel
pieno del clamore suscitato dall'arresto di un ebreo ultraortodosso del
quartiere di Mea Shearim (Gerusalemme), membro della setta Naturei Karta
(antisionista), che si sarebbe offerto di spiare Israele a favore dell'Iran.
L'uomo avrebbe preso un primo contatto con le autorità iraniane nel 2001
in Germania ma, secondo la stampa, Tehran non lo avrebbe preso sul
serio. A Mea Sharim in ogni caso non sembrano dare peso alle accuse
anche perchè l'arrestato non sarebbe in possesso di informazioni degne
di interesse considerando la vita da "timorato" che ha sempre svolto.
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