di Antonio Rei
Magari vi siete
visti una volta soltanto, ma ormai siete amici. Conoscete l'uno
dell'altro dati sommari e intimi al tempo stesso: dove siete, cosa fate,
con chi, cosa v'interessa, cosa v'indigna, cosa vi fa ridere. Lo sapete
perché postate. Che si tratti di un editoriale del Corriere o di una
foto scattata con lo smartphone (i piedi a mollo nel mare sono un
classico), voi postate. E pensate che vi faccia sentire meglio? Vi
sbagliate, è il contrario.
"In teoria Facebook fornisce una
risorsa inestimabile per soddisfare il basilare bisogno umano di
connessione sociale, ma piuttosto che migliorare il benessere, provoca
il risultato opposto: lo mina". Parola di Ethan Kross, coordinatore di
una ricerca pubblicata dalla rivista Plos One sulle connessioni
fra il più popolare social network e il livello di felicità degli
utenti. Insieme ai colleghi del’Università del Michigan, Kross ha
dimostrato empiricamente che ad ogni click il benessere cala. Poco, ma
cala.
I ricercatori hanno dato uno smartphone a 82 giovani
adulti e hanno chiesto loro di utilizzare Facebook come da abitudini
(ovvero spesso, visto che gli iscritti intorno ai 20 anni sono i più
attivi). Nell'arco di due settimane, i partecipanti hanno risposto
quotidianamente a cinque domande inviate attraverso altrettanti sms:
"Come ti senti in questo momento? Quanto sei preoccupato adesso? Quanto
hai usato Facebook dall’ultima volta che te lo abbiamo chiesto? Quanto
hai interagito direttamente con altre persone dall’ultima volta che te
lo abbiamo chiesto? Quanto sei soddisfatto?".
Risultato: minore
era il tempo trascorso dall'ultimo accesso a Facebook, peggiore era la
risposta degli intervistati. Chi ha usato con maggior frequenza la
creatura di Sua Maestà Zuckerberg ha subito i peggiori cali nel livello
di soddisfazione personale fra l'inizio e la fine del test. E, al
termine dell'esperimento, alcune delle cavie hanno avuto perfino il
coraggio di commettere la grande empietà: abbandonare il social network
dei miracoli, la rete che vanta oltre un miliardo di account sparsi per
il pianeta.
"Dallo studio è emerso che Facebook non è servito da
valvola di sfogo quando le persone si sono sentite depresse o tristi -
ha spiegato ancora Kross -. I partecipanti erano meno propensi a
collegarsi a Facebook se si sentivano giù. Mentre le probabilità di
utilizzo diventavano più alte se le persone si sentivano sole".
D'altra
parte, è stato dimostrato anche che le "interazioni dirette" con altri
esseri umani, sia telefoniche sia di persona, portano benefici
all'umore. Magari non era proprio necessario un pool di scienziati del
Michigan per arrivare a questa illuminata conclusione. Da che mondo è
mondo "esci un po' di casa" è il consiglio della nonna per i nipotini
melanconici.
Sia
come sia, qual è la morale? Lunga vita alle "interazioni dirette"? La
deduzione sembra un po' banale. "Beh, dipende con chi", viene da
rispondere. Anche perché ci sono persone con cui non si vuole o non si
può più interagire. Persone che però non cancelleremmo mai dagli amici
di Facebook, un po' per orgoglio, un po' perché ci interessa ancora
spiare la loro vita. Ammettiamolo: nessun buco della serratura è mai
stato così comodo per sbirciare cosa ne è stato di chi una volta
chiamavamo "Amore", a voler citare quel gran poeta di Moccia.
In
effetti, secondo un altro studio - meno recente del primo ma
altrettanto geniale - chi ha appena chiuso una relazione sentimentale si
ritrova spesso a spulciare il profilo online dell'amore perduto. La
ricerca - firmata dalla psicologa Tara C. Marshallo e pubblicata sulla
rivista online Cyberpsychology, Behavior, Networking - dimostra che
mantenere l'amicizia virtuale con il vecchio partner rende più difficile
accettare la separazione.
"L'amicizia su Facebook con un vecchio
partner è associata a un sentimento di angoscia, di emozioni negative,
di desiderio sessuale e di aspettative verso l'ex, nonché di basso
sviluppo personale - si legge nello studio -. Superare la perdita di una
relazione implica non solo la necessità di mettere da parte qualsiasi
eventuale risentimento e staccarsi dall'altro, ma anche di costruire
nuove esperienze che rendano possibile la maturazione personale".
Insomma,
non c'è proprio nulla da fare: lunga vita alle "interazioni dirette".
E' inevitabile. La nonna - che sia del Michigan o meno - ha sempre
ragione.
Fonte
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