di Fabrizio Casari
E’ un ricatto.
Non ci sono motivi politico-lessicali per definire in maniera diversa la
richiesta berlusconiana al PD di rinviare - magari astenendosi dal voto
in giunta - la procedura di decadimento dall’incarico di senatore del
condannato Silvio Berlusconi. Preso atto dell’impraticabilità della
grazia presidenziale, dal momento che pendono sul cavaliere di Arcore
altri cinque processi, la guerriglia che l’armata Brancaleone sferra
contro il Paese si è concentrata sull’assalto all’unico polo strategico
sul quale può avere ancora parola determinante: la sorte del governo.
Dunque, come Don Vito Corleone, Berlusconi propone un'offerta che non
si può rifiutare e “suggerisce” al centrosinistra di sottrarsi al voto
favorevole in giunta e permettere così al governo di sopravvivere, anche
se al prezzo di uno strappo costituzionale tra potere legislativo e
giudiziario che lacererebbe il già fragilissimo tessuto costituzionale
italiano.
Tralasciando gli house organ famigli,
impegnati a definire la riunione di giunta come fosse l'inizio di
Armageddon, gli italiani che hanno sempre votato a destra, stando ai
sondaggi, rimarrebbero convinti che la presenza di Berlusconi alla guida
del PDL vada garantita.
Qui non c’è solo quella idiosincrasìa tutta italiana della corsa a
salire sul carro del vincitore, quella dimensione stracciona del sistema
valoriale condiviso che vede nella italica furbizia un modello di vita e
nell’aggiramento delle norme il solo modo di sentirsi liberi. C’è
proprio il convincimento che la caduta del capo sia l’inizio della fine
di una destra che trova un minimo di
accordo tra le bande che la compongono solo mediante il capo che le dirige.
Dal punto di vista
politico appare assurda la richiesta di approfondimento in sede di
giunta del Decreto Severino, in forza del quale il capo del centrodestra
non può più esercitare il ruolo di parlamentare; un simile iter
consentirebbe né più né meno di stabilire che l’erogazione delle pene
previste dalle violazioni dei codici non sono più compito della
magistratura ma, nel caso di un parlamentare, diventano materia a
discrezione dei colleghi.
Sarebbe un vero e proprio golpe istituzionale che azzererebbe la
divisione dei poteri prevista dalla costituzione e sancirebbe, sul piano
dell’ordinamento politico, la similitudine tra le istituzioni della
repubblica e la fattoria degli animali di Orwell, dove, com’è noto,
tutti gli animali sono uguali ma qualcuno è più uguale degli altri.
La
scalcinata destra italiana, gigantesco prodotto di una commistione
affaristica tra eletti e proprietario, si misura con il senso stesso
della sua esistenza, quello cioè di rappresentare un aggregato a difesa
degli interessi privati di Silvio Berlusconi. Poco si capisce come mai
alcune anime belle del centrosinistra si stupiscano di ciò, indicando la
strada della rifondazione del PDL senza il cavaliere.
Sarebbe stato possibile per qualunque partito della storia della
Repubblica, ma non per il PDL, giacché esso non rappresenta - né mai ha
rappresentato - un progetto politico e non ha mai prodotto una classe
dirigente alla quale chiedere d’interpretarlo.
La destra berlusconiana è stata ed è tuttora un gigantesco collegio
di difesa delle avventure finanziarie del cavaliere, uno scudo per la
sua immunità e la benzina per i suoi motori industriali e finanziari,
strumento che, in parallelo con la politica, ha permesso l'espandersi
dell'impero.
Mettere in discussione la Legge Severino, da loro
convintamente votata, argomentando l’illegittimità della retroattività
nell’applicazione delle norme, non deve stupire più di tanto. Quello
della retroattività è certamente un elemento che presenta dubbi di
costituzionalità, ma fintanto che non è toccato a Berlusconi la destra
non l’ha - guarda caso - mai posto all’attenzione, men che mai ha
proposto una legge che la abolisse. Ora però, la legge di colpo non va
più bene. E dov’è la novità?
Allo stesso modo hanno sferrato
attacchi durissimi contro il rigore europeo dopo aver loro firmato il
fiscal compact e l’impegno di pareggio dei conti pubblici. Non serve,
dunque, cercare coerenza; non c’è mai stata, mai ci sarà, dal momento
che l’idea che il padrone della destra ha è che tutto si possa dire e
smentire, fare e disfare, se funzionale al processo di consolidamento
del suo potere politico e finanziario.
Nel merito, infatti, la
decadenza da senatore e una prossima non candidabilità di Berlusconi per
effetto della sentenza definitiva di condanna, non impedirebbe al
cavaliere di dirigere comunque, pur restando fuori dalle istituzioni, il
suo balocco. Il problema è che in vista dei prossimi processi
Berlusconi ha un disperato bisogno dell’immunità parlamentare e dunque non
può permettersi di non usufruirne; a questo si aggiunge poi la
consapevolezza che lui per primo ha di quale sia il livello qualitativo
del suo gruppo dirigente.
Berlusconi è ben conscio di come la messa in sicurezza delle sue
aziende, che devono essere tenute al riparo dalle inchieste della
magistratura sulle discutibili pratiche con le quali sono nate e
cresciute, non può essere affidata a pitonesse, nani e ballerine, cioè
quella scombinata combriccola che compone il Circo Barnum che ci
ostiniamo a chiamare PDL.
Il
PD, al momento, reitera quotidianamente l’indisponibilità ad accettare
il baratto tra governo e legalità, ma per esperienza, tra il prima e il
poi nel PD c’è sempre qualcosa che s’incunea. Che il governo Letta
sopravviva o meno è cosa relativa in confronto al rispetto, una volta tanto,
della legge e delle norme. Berlusconi sa però che sulla tenuta della
linea intransigente si gioca anche la partita per il Congresso e che non
certo tutto il PD ansima per mantenere Letta saldo a Palazzo Chigi.
Per questo tenterà ogni mossa utile a far leva sul “senso di
responsabilità” dei soliti noti. Ma è ovvio che il PD debba cercare
ovunque al Senato i voti utili a sostituire quelli del PDL. Se li
troverà, sia tra il M5S, sia tra eventuali franchi tiratori del PDL,
tanto meglio per l’Esecutivo.
La speranza è che il PD non accetti
il ricatto e che Grillo sia pronto ad offrire una soluzione politica
funzionale al raggiungimento di almeno tre obiettivi: espellere
Berlusconi dal consesso parlamentare italiano, trovare un accordo sulla
legge elettorale, tornare al voto.
Obbiettivi salutari per il paese, ai quali opporre furbe tattiche
speculative comporterebbe un danno irreparabile per il movimento e per
l’Italia stessa. Serve, caro Beppe, una prova di elasticità e
pragmatismo politico, una dimostrazione concreta dell’arte della semina
prima e del raccolto poi. Mai come ora il bene di tutti s’intreccia così
perfettamente con quello di ognuno.
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