Ankara offre sostegno alle opposizioni islamiste e ora lavora per creare legami politici con i curdi iracheni e siriani, per impedire la nascita di un Grande Kurdistan.
Quando si parla di Siria e della guerra civile che insanguina questo
territorio bisogna sempre tenere conto del contesto nel quale il Paese è
inserito. In questo senso, per comprendere i mutamenti degli equilibri
interni è pressoché impossibile prescindere dall'analisi del ruolo degli
Stati limitrofi nell'evoluzione della guerra.
Se nel Sud del Paese forte è l'impatto dell'azione a favore di Assad
degli Hezbollah libanesi, nel Nord ha grande rilevanza l'azione turca a
sostegno dei ribelli. Un sostegno che, pur soggetto a modifiche e
fluttuazioni, è stato una costante di questi due anni di combattimenti.
Ad oggi, però, il ruolo di Ankara potrebbe risultare ancor più
significativo in quanto le conseguenze potrebbero riverberarsi sia sullo
stesso territorio turco sia su tutta l'area. La questione contingente
è, infatti, la mai risolta situazione della popolazione curda.
Fin dall'inizio della guerra partiti politici e gruppi armati curdi sono
stati coinvolti nei combattimenti. Per quanto in una prima fase
esistesse una divisione tra sostenitori attivi della ribellione e
attendisti, a seguito dell'accordo di Erbil (Iraq) del 12 luglio 2012
tra Consiglio Nazionale Siriano Curdo (CNSC) e Partito Curdo di Unità
Democratica (Pyd), branca siriana del Partito dei lavoratori del
Kurdistan (Pkk), si è delineata una linea comune che prevede la
collaborazione tra i diversi gruppi per la difesa della popolazione
locale. Una difesa dalle aggressioni del governo ufficiale che, pur
essendosi ritirato dal Nord del Paese, non vede di buon occhio
l'egemonia curda sull'area e una difesa dai gruppi ribelli che, sullo stesso territorio, vorrebbero avere base.
E' in questo contesto che si inserisce l'azione turca. Nel Sud della
Turchia, ormai da molti mesi, i ribelli trovano rifugio e sostegno
logistico e, per quanto Ankara abbia categoricamente negato di aver dato
riparo a frange islamiste come Jabhat al-Nusra, la presenza di numerosi
miliziani in territorio turco e l'opposizione alla risoluzione
statunitense per l'inserimento del movimento quaedista nel novero dei
gruppi terroristi dimostra una certa vicinanza tra lo Stato turco e la
compagine islamista. Questa alleanza strategica in funzione
anti-Assad ha, però, ricevuto dure critiche anche all'interno della
Turchia. Dalla strage di Reyhanli in avanti il supporto ai ribelli
siriani è, infatti, stato motivo di scontro tra la popolazione del Sud
della Turchia ed il governo e se si aggiunge che da alcuni mesi è in
corso una serrata trattativa tra Pkk ed Ankara per la soluzione della
questione curda in territorio turco, diventa evidente che l'assistenza
ad al-Nusra e il non intervento nel momento della battaglia per la
conquista delle città di confine tra curdi e jihadisti non potevano che
indebolire Erdogan e il suo Governo.
In questo senso vanno, dunque letti l'incontro tra Saleh Muslim, leader
del Pyd, e il ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu e la visita
del presidente del Governo Regionale Curdo Iracheno (KRG) Masoud Barzani
del mese scorso. Quest'ultimo incontro, meno eccezionale rispetto alla
visita di Muslim, per la prima volta in Turchia dopo 35 anni, risulta
importante in quanto totalmente incentrato sulla condizione dei curdi
siriani e sulle prospettive future dei popoli curdi in vista della
Conferenza nazionale curda che si terrà in Iraq a fine agosto. Entrambi
i leader curdi si sono detti molto soddisfatti degli incontri e, per
quanto aleggi ancora il timore di un celato appoggio ad al Nusra, sembra
ci siano dei margini per future collaborazioni nell'ottica di una
transizione democratica nell'area del Kurdistan siriano.
Sembra ora doveroso chiedersi il perché di questo cambio di strategia
del governo turco. Le milizie curde, nonostante la violenza degli
attacchi delle compagini islamiste (al fianco di Jabhat al-Nusra
troviamo anche il SIIS, Stato Islamico in Iraq e Siria), hanno
conquistato terreno liberando città come Ras al Ayin. A fronte di
questo, si è profilata la possibilità di una spaccatura del Paese in più
parti con un Nord sotto controllo curdo. Per scongiurare la presenza
di un'entità autonoma ai propri confini, evitando, d'altra parte, di
indebolire il fronte di opposizione ad Assad, la Turchia ha iniziato a
colloquiare con le controparti curde di oltre-confine. In
quest'ottica la visita del Presidente Barzani è esplicativa. Dopo il
riconoscimento dell'autonomia ai curdi-iracheni, il governo turco ha
lavorato ininterrottamente alla costruzione di legami politici ed
economici (incentrati perlopiù sul petrolio) con il KRG. In questo modo
ha scacciato il fantasma della costruzione di un Grande Kurdistan che
avrebbe coinvolto anche i 14 milioni di curdi turchi ed ha garantito la
sicurezza del confine tra i due Paesi. Alla luce di questa esperienza,
il governo turco potrebbe voler replicare il modello KRG in Siria:
concedere appoggio e un certo grado di autogoverno in cambio
dell'alleanza in funzione anti-Assad e della rinuncia a progetti di
indipendenza.
Fonte
Personalmente sono dell'idea che i curdi dovrebbero tendere a fare massa critica intorno a se stessi, puntando a mettere insieme i territori in cui sono maggioranza etnica tanto in Turchia quanto in Siria ed Iraq. Quello attuale, mi pare il momento più propizio per una strategia del genere dal momento che i tre stati nazionali entro cui si muove il popolo curdo sono al momento accomunati da una situazione politica che vede tutti contro tutti.
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