«E' un dovere morale affermarlo. Non è il governo di Bashar Al-Asad ad
aver usato gas sarin o altre armi analoghe nei sobborghi di Damasco.
Anche se mi costa dirlo perché dal 22 Maggio ho ferocemente sostenuto
l'esercito siriano libero nella sua giusta lotta per la democrazia» così
ieri ha rivelato Pierre Piccinin, l'insegnante belga liberato insieme al giornalista de "La Stampa" Domenico Quirico, al quotidiano Le Soir e alla RTL belga.
Quirico però ha smorzato subito i toni sul sito del suo giornale
affermando che «eravamo all'oscuro di tutto quello che stava accadendo,
anche dell'attacco con i gas». «Un giorno» - ha raccontato Quirico -
«dalla stanza in cui venivamo tenuti prigionieri, attraverso una porta
socchiusa, abbiamo ascoltato una conversazione in inglese via Skype che
ha avuto per protagoniste tre persone di cui non conosco i nomi. Uno si
era presentato a noi in precedenza come un generale dell'Esercito di
liberazione siriano. Un secondo, che era con lui, era una persona che
non avevo mai visto. Anche del terzo, collegato via Skype, non sappiamo
nulla». «In questa conversazione» - avuta in inglese precisa Quirico -
«dicevano che l'operazione del gas nei due quartieri di Damasco era
stata fatta dai ribelli come provocazione, per indurre l'Occidente a
intervenire militarmente. E che secondo loro il numero dei morti era
esagerato».
«Io non so» - ha precisato il giornalista - «se
tutto questo sia vero e nulla mi dice che sia così, perché non ho alcun
elemento che possa confermare questa tesi e non ho idea né
dell'affidabilità, né dell'identità delle persone. Non sono
assolutamente in grado di dire se questa conversazione sia basata su
fatti reali o sia una chiacchiera per sentito dire, e non sono abituato a
dare valore di verità a discorsi ascoltati attraverso una porta».
Pertanto «è folle dire che io sappia che non è stato Al-Asad ad usare i
gas» ha concluso Quirico.
Ma se è giusto affermare che non si
può accertare la veridicità della notizia, né si conoscono le identità
dei rapitori, viene però naturale domandarsi perché dei gruppi ribelli
avrebbero dovuto comunicare in inglese. O detto più chiaramente: con chi stavano parlando? Che sia vera o meno questa notizia relativa ai gas sarin, Piccinin e Quirico concordano su un punto: la rivoluzione che loro sostenevano è stata «tradita».
Il giornalista italiano è stato molto chiaro su questo punto la sera
stessa del suo ritorno in Italia all'aeroporto di Ciampino «ho cercato
di raccontare la rivoluzione siriana, ma può essere che questa
rivoluzione mi abbia tradito. Non è più la rivoluzione laica di Aleppo, è
diventata un'altra cosa». Paradossale che ad abbracciare il provato
inviato vi fosse un'emozionata Emma Bonino che, seguendo la strada
tracciata in precedenza da Terzi, sostiene la Coalizione Nazionale
Siriana che non è immune da colpe nella drammatica situazione siriana.
La variegata opposizione
Ma inglobare tutte le forze che si oppongono al regime ba'thista sotto
la dicitura "opposizione siriana" è fuorviante perché rappresenterebbe
gli oppositori di al-Asad come un blocco monolitico e ciò non
corrisponde al vero. Inoltre va sottolineato come spesso i vari gruppi
non hanno confini rigidissimi per cui non è raro assistere ad un
passaggio da una fazione all'altra. Sulla composizione dei principali
gruppi che combattono il regime, il giornale inglese The Independent ha
presentato un quadro chiaro lo scorso Giugno stimando i numeri dei loro
aderenti e provando a tracciare per ciascuna organizzazione una breve
storia. Quello che balza immediatamente agli occhi è come i gruppi
principali siano per lo più a carattere religioso sebbene con maggiore o
minore vicinanza all'ortodossia islamica. Si va dai salafiti del Fronte Islamico Siriano e degli Ahrar Al-Sham (l'organizzazione più forte nel Nord della Siria, a Idlib, ad Aleppo, ad Hama ma che vanta affiliati ovunque nel paese) all'Esercito Libero Siriano (FSA).
Costituitosi alla fine del Luglio 2011, l'Esercito Libero Siriano è
formato dai dissidenti delle forze armate lealiste e da volontari.
Il FSA coordina le sue attività con il Consiglio Nazionale Siriano dal Dicembre 2011 e sostiene la Coalizione Nazionale
nata nel Dicembre 2012. A Giugno dichiarava di avere 80.000
combattenti. Accanto a questi gruppi più influenti vi sono numerose
brigate che sono presenti solo in una precisa area o località. In un
interessante articolo di J. Dana Stuster pubblicato Venerdì su Foreign Policy si
sostiene che «la maggioranza dei ribelli siriani siano sotto controllo
del Consiglio Supremo Militare (SMC) che è stato formato nel Dicembre
2012». «Il CSM è guidato dal Generale Salim Idriss ed è l'intermediario
primario tra la leadership dei ribelli presenti sul campo e il governo
in esilio rappresentato dal Consiglio Nazionale Siriano (SNC)».
All'interno e ad di fuori del SMC vi sono diversi gruppi ribelli. La più grande organizzazione interna al SMC è il Fronte di Liberazione Islamico Siriano (SILF).
«Il SILF è l'alleanza più moderata in Siria» afferma Stuster riportando
il parere di Elizabeth O'Bagy, analista presso l'Institute for the
Study of War e direttrice politica del Syrian Emergency Task Force.
«Loro [i militanti del SILF, ndr] hanno firmato un codice di condotta e
rispondono alla leadership dell'SMC». Non sempre però. Il 22 Agosto, per
esempio, quattro dei cinque comandanti dei comandi regionali dell'SMC
hanno minacciato di dimettersi nel caso in cui non avessero ricevuto
altre armi e non fosse dato loro il permesso di agire insieme a gruppi
islamisti più radicali (cosa che di fatto avviene da tempo).
Accanto alle fazioni citate vi è poi il Fronte Islamista Siriano (SIF)
più radicale nei contenuti e nelle pratiche. Al di fuori sia del
Consiglio Supremo Militare, del SIF e del SILF si collocano i due gruppi
affiliati ad al-Qa'eda: il Fronte Al-Nusra, guidato da Abu Mohammed Al-Julani, e lo Stato Islamico dell'Iraq e del Levante (precedentemente conosciuto come al-Qa'eda in Iraq) il cui leader è Abu Bakr al-Baghdadi.
Aaron Zelin del Washington Institute for Near East Policy sostiene che
tra i due gruppi vi è rivalità ma «quando vedi i soldati e i loro
comandanti, non osservi alcun problema». C'è sì una competizione, ma non
è così rigida perché i rapporti tra di loro mutano a seconda delle
località. Sono stati testimoniati casi in cui non si registrano
differenze tra di loro. Zelin ritiene che il numero dei jihadisti
arrivati in Siria oscilli tra i 5.000 e i 10.000 senza tener conto però
degli arruolati autoctoni. C'è chi (come la già citata O' Bagy) riduce il
loro numero ad un massimo di 7.000. In un intervista rilasciata al
Washington Institute il 20 Agosto Zelin ha escluso per il momento che le
zone del paese controllate dai jihadisti siano governate secondo un
«modello talebano». «Alle persone non piace. Ai siriani i jihadisti
vanno bene quando forniscono loro servizi sociali e li proteggono, ma si
guadagnano la loro ostilità quando impongono norme sociali più
conservative espressione di una più rigorosa lettura della Shari'a [la
legge islamica, ndr]. Fin quando non avranno la certezza di aver
sconfitto il regime, non credo che vedremo niente che assomigli ad un
modello talebano».
Due settimane fa, il 25 Agosto, la Reuters ha
riportato la notizia di un piano caldeggiato dal Consiglio Nazionale
Siriano per creare un "esercito nazionale". L'Arabia Saudita aveva
promesso uno stanziamento di 100 milioni di dollari per formare una
forza composta dalle 6.000 alle 10.000 unità. Il progetto è stato però
subito rigettato dai miliziani islamisti per il timore di essere posti
ai margini della ribellione. Pertanto al momento le probabilità che
possa concretizzarsi sembrano essere esigue. Tanto più che pare evidente
la volontà dei ribelli di non perdere nessuna componente di lotta in
questa fase. Su questo punto Zelin è netto «una delle maggiori ironie,
anche se l'opposizione è così spezzettata, è che i gruppi sono
interconnessi sul campo di battaglia perché non c'è nessuna fazione più
forte di un'altra. Hanno bisogno l'una dell'altra». Come sono vaghi i
confini che delimitano i vari gruppi e le motivazioni che legano un
militante ad una fazione piuttosto che un'altra - non è raro assistere
al passaggio di un combattente dall'esercito siriano libero a gruppi
jihadisti per mere condizioni economiche o perché i gruppi qaedisti
forniscono armi - così non è univoco l'atteggiamento che i "ribelli"
mostrano nei confronti di un'eventuale aggressione straniera.
Il
Maggiore Mohammed Yahya Alì, comandante del Fronte Nord e Ovest
dell'Esercito Libero Siriano, Brigata Ifhad al-Rasul, in un intervista
rilasciata ad "Al-Monitor" pubblicata il 1 Settembre, ha
affermato di sostenere «un attacco straniero che abbia come obiettivo le
riserve di armi chimiche del regime come hanno annunciato gli Stati
Uniti. Ma c'è bisogno anche di una no fly-zone e di colpire i principali
centri militari». Altri gruppi invece si oppongono all'intervento
occidentale perché secondo loro soltanto i siriani devono decidere come
sbarazzarsi di al-Asad. Inoltre sostengono che un eventuale attacco
straniero non ha come finalità la libertà del popolo siriano ma gli
interessi occidentali nel paese.
L' "opposizione laica"
Ma se la variegata opposizione è formata principalmente da gruppi con
differenti livelli di islamizzazione, resta da chiedersi che fine
abbiano fatto le forze laiche e democratiche che hanno preso parte alle
manifestazioni dei primi mesi del 2011 a partire da quella di Dar'a del
18 Marzo 2011 (subendo anche la dura repressione del regime). Deboli
economicamente perché non appoggiate da un grosso sponsor occidentale né
da un paese del golfo, appaiono numericamente irrisorie. Ghayath Naisse
membro della "Corrente di Sinistra Siriana" parla di «rivoluzione
ancora viva nei quartieri popolari di città come Damasco, Homs, Aleppo,
Der'a e Deir Ezzour». Di quale rivoluzione parla? E quali sono i
rapporti che legano la "Corrente di Sinistra" con i gruppi che fanno uso
politico dell'Islam? Appare assai poco chiaro nei loro comunicati. Il
gruppo sostiene di avere molti nemici: «da un lato noi abbiamo una
dittatura crudele e barbara sostenuta da Russia, Cina ed Hezbollah.
Dall'altro il campo controrivoluzionario e le petromonarchie sostenute
da Stati Uniti e dai poteri occidentali. Per questo noi diciamo no a
Washington, né a Mosca, Riyad o Teheran».
Quali sono però i
rapporti che legano la "Corrente" con gruppi di opposizione sostenuti
dall'Occidente? E' davvero pensabile che agiscano da soli senza
coordinarsi con l'Esercito Libero Siriano e la Coalizione Nazionale così
presenti in Siria? E se sì, considerata la vicinanza di questi due
gruppi alle diplomazie europee e nordamericane, dove è lo sbandierato
principio di lotta al "nemico occidentale"? Altro gruppo laico, seppur minoritario e debole, che merita la menzione è il "Coordinamento per il Cambiamento Democratico".
Molto attivo nei primi mesi della rivolta siriana, è riuscito a
costruirsi in quella prima fase una certa visibilità all'interno
dell'opposizione a Bashar Al-Asad in particolar modo nei Comitati
locali. Movimento nato prima che Burhan Ghalioun formasse (con l'aiuto
esterno) il Consiglio Nazionale Siriano e ne diventasse presidente, il
Coordinamento ha proposto di integrare tutte le voci contro il
Presidente Al-Asad, dalle forze laiche a quelle religiose ponendo però
due precise condizioni: né l'intervento esterno, né l'uso della
violenza. Economicamente debole è stato schiacciato politicamente (e
mediaticamente) quando i Paesi del Golfo (in primis Qatar e Arabia
Saudita) hanno deciso di intervenire massicciamente nella crisi siriana.
Ciononostante, è sicuramente interessante il suo progetto di un cambio
laico del regime (dove però tutte le forze presenti nel paese siano
incluse e rappresentate) attraverso il rifiuto della violenza, la
centralità della resistenza palestinese e la difesa della sovranità
siriana da qualunque ingerenza occidentale e straniera.
Un abisso che non ha fondo
Intanto però la situazione precipita sempre di più. Mentre il regime
prova a conquistare terreno nelle aree a Nord controllate da gruppi
ribelli, ieri l'opposizione ha denunciato la morte di decine di suoi
prigionieri a causa della «brutale repressione del regime». In questo
contesto drammatico l'unica nota positiva è l'iniziativa del Ministro
degli Esteri russo Lavrov di porre l'arsenale chimico siriano sotto
controllo internazionale. La proposta è stata immediatamente accettata
dal suo pari siriano Al-Mu'allem e commentata positivamente anche da un
cauto Obama. Ma i sorrisi in Siria durano poco perché bombe occidentali o
meno la distruzione del paese andrà avanti e altro sangue bagnerà la
terra siriana. L'immagine emblematica del baratro in cui la Siria
precipita sempre di più è l'occupazione dello splendido villaggio di
Ma'alula da parte di alcuni jihadisti. Ma'alula è uno dei principali
simboli di quella tolleranza religiosa che due anni e mezzo fa regnava
in Siria. Informazioni (contrastanti in quanto a gravità dei danni)
raccontano di devastazioni di alcune chiese, dell'isolamento cui è posta
la popolazione locale che non può uscire di casa per evitare i colpi
dei cecchini appostati sui tetti. Se il settarismo religioso è ormai un
fatto assodato, se il regime a fatica conserva l'area centrale del paese
con una striscia di terra che arriva fino a Lattakia sulla costa
orientale del Mediterraneo, se i curdi governano di fatto l'area a nord
est del paese e l'ampia galassia dei "ribelli" detta legge in molte aree
del nord, resta da chiedersi che cosa geograficamente si intende ormai
per Siria.
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