«Non pensiamo la nostra struttura
come una risposta al controllo statale, ma più in generale come l'unica
cosa decente venutaci in mente per garantire libertà d'espressione ed
evitare la profilazione selvaggia da parte di aziende e governi». Sono
queste le prime parole digitate da uno dei ragazzi di
Autistici/Inventati appena cominciamo la nostra chiacchierata in una
delle chat room del loro network. Una precisazione necessaria,
sopratutto dopo che gli scossoni del terremoto Snowden hanno cominciato a
sentirsi anche in Italia. Sono i primi giorni di agosto quando Lavabit e
Silent Mail, due provider statunitensi di posta orientati alla tutela
della privacy, vengono costretti a chiudere i battenti a causa delle
minacce dell'NSA. Centinaia di migliaia di utenti restano
improvvisamente senza strumenti di comunicazione sicura e molti di loro
si rivolgono ad AI in cerca di una soluzione alternativa. In poco tempo
il collettivo viene sommerso da un'ondata di richieste d'iscrizione ai
suoi servizi. Un fatto che ha segnato un momento di difficoltà per la
crew di hacker nostrani, tanto da determinare la temporanea sospensione
dell'apertura di nuovi account. Ma che ha anche alimentato un forte
dibattito in seno ai partecipanti del progetto sulle prospettive da
intraprendere. È difficile per adesso dire come il datagate cambierà le
esperienze di comunicazione autogestita. Autistici sa solo che potrà
affrontare le nuove sfide all'orizzonte con una certezza che
l'accompagna da più di 10 anni: quella di non essere un semplice
servizio di posta ma una comunità. Che oggi ha bisogno del supporto di
tutti quelli che si sentono di farne parte.
IFF
– Dopo la chiusura di Lavabit la quantità d'iscrizione ai vostri
servizi è stata tale da costringervi a sospendere temporaneamente
l'apertura di nuovi account. Nella decennale storia di AI fatti di
questo tipo si erano verificati solo di fronte ad eventi repressivi di
estrema gravità (come il crackdown Aruba). Perché avete definito quest'ondata di richieste «preoccupante»?
Joe
– Partiamo da quest'ultimo punto. Preoccupante è il fatto che ci sia
gente che per le sue necessità non ha alternative rispetto ad
Autistici/Inventati. Se nel tuo modello di comunicazione c'è un singolo point of failure siamo immediatamente di fronte ad un problema. Se cioè c'è un solo bersaglio da colpire, è più facile prenderlo di mira.
In questo momento di fatto sono rimaste poche o nulle alternative
“commerciali” che oltre ai loro servizi offrano anche la possibilità di
usufruire del diritto alla privacy. Detta in altro modo sono rimaste
poche alternative commerciali che non collaborino fattivamente con i
servizi segreti americani.
Ginox – Oltre a questo
è preoccupante che le persone che ci richiedevano un servizio si
fidassero di noi solo perché avevano trovato il nostro link da qualche
parte in rete. Questa dinamica riproduce un meccanismo di delega che in
buona sostanza sposta solo il problema della privacy sul lato tecnico o
sulla necessità immediata di trovare un'altra mail. Ma il punto da affrontare è politico: riguarda sia il rapporto tra gli americani ed il proprio governo, sia tra il resto del mondo e gli Stati Uniti.
Pepsy
– A quanto detto da Joe aggiungerei anche che l'ondata era
“potenzialmente” preoccupante perché Lavabit al momento della chiusura
dichiarava 410.097 utenti.
IFF – Ma quante sono state le richieste di iscrizioni che avete ricevuto in quel periodo? Di quali numeri stiamo parlano?
Ginox
– La curva oscilla a seconda dei lanci giornalistici sull'argomento in
cui in qualche modo venivamo citati. Nello specifico, subito dopo la
chiusura di Lavabit ci sono arrivate, diciamo, 10 volte il tasso di
richieste che riceviamo di solito. Abbiamo registrato picchi di 200 richieste in coda giunte in poche ore,
principalmente di mail. Eravamo ad un bivio: potevamo scegliere se
accogliere tutti a caso oppure soffermarci a riflettere sul senso di
quanto stava accadendo. Abbiamo scelto la seconda strada.
Joe – Vorrei aggiungere che tecnicamente non avremmo avuto particolari problemi a gestirci questo flusso improvviso di richieste.
Ginox – Si, sarebbe bastato prendere altri server, ma avremmo avuto sicuramente qualche difficoltà a gestire l'helpdesk. Questo tipo di scelta però non avrebbe rappresentato una soluzione.
Pepsy
– E poi siamo abituati a confrontarci sempre quando c'è qualche
problema, fa parte del DNA di A/I. Lo facciamo sia internamente sia
attraverso i comunicati sia su cavallette.noblogs.org, dove cerchiamo un
feedback dalla comunità.
Ginox – Noi vorremo che
emergesse bene la contraddizione generata dalla chiusura di questi
servizi commerciali. Dato che la natura del nostro progetto è
differente, abbiamo pensato di prenderci del tempo: i nuovi utenti si
relazionavano con noi come se fossero dei clienti e quindi ci è parso il
caso di mettere in campo un momento di chiarimento. La nostra comunità resiste ai problemi repressivi o di censura perché ha delle affinità e sa unirsi nelle difficoltà.
Qui invece ci sembrava che molte delle persone che richiedevano di
poter utilizzare i servizi si fossero spostate da Lavabit senza battere
ciglio, esattamente come avrebbero fatto con noi se ci fossimo trovati
nella medesima situazione.
Joe – Infatti tra i commenti al post sul blog in cui spiegavamo che le attivazioni erano temporaneamente sospese, puoi trovare anche quelli che dicono: «Ma io vi pago!». No, non funziona così, ovviamente. Ed abbiamo cercato di ribadirlo.
IFF
– Quest'impennata di richieste è arrivata solo dopo la chiusura di
Lavabit (e quindi anche dopo la sovraesposizione mediatica che avete
avuto sul Washington Post e sul New York Times) o anche già con
l'esplosione del “datagate”?
Pepsy – Qualcosa si era cominciato a vedere già nella fase immediatamente successiva alla rivelazione di PRISM al grande pubblico.
Joe
– Si, ma c'è stato un trend costante di crescita delle richieste anche
prima del datagate. Poi senza dubbio con le dichiarazioni di Snowden le
richieste sono aumentate. In particolar modo dopo che il sito prism-break ci ha indicato come una delle possibili alternative gratuite.
Ginox – Nella quasi totalità dei casi si è trattati comunque di richieste provenienti da utenti statunitensi.
IFF
– AI è probabilmente il network autogestito più importante d'Europa. È
risaputo che le Forze dell'ordine avanzino spesso richieste di log o di
informazioni relative agli utenti della vostra piattaforma. Dopo il
datagate avete ricevuto più pressioni rispetto al passato? È cambiato
qualcosa nell'atteggiamento delle FdO?
Ginox
– Non sappiamo dirlo ancora. Senza dubbio l'esposizione mediatica a cui
siamo stati sottoposti negli ultimi tempi avrà modificato la percezione
che hanno di noi i "servizi". Vedremo in futuro se questa cosa avrà
delle conseguenze o meno. Ora come ora non è successo nulla di nuovo, né
abbiamo registrato pressioni più esplicite del solito. Di tanto in
tanto i nostri server sono oggetto di sequestri clamorosi. Solitamente
però quelle che riceviamo dalle FdO sono richieste di routine:
riguardano acquisizioni di dati che non abbiamo. Normalmente il tutto
finisce con un fax dove comunichiamo che non siamo in possesso delle
informazioni che ci vengono richieste.
Joe – La
nostra strategia di fondo è quella di non tenere in memoria alcuna
informazione utile alla profilazione degli utenti, secondo quello che
per noi è semplice rispetto delle libertà individuali e buon senso.
Va anche sottolineato però che in Italia le indagini tendono ormai a
concentrarsi direttamente sull'utente piuttosto che sul servizio,
ricorrendo anche a malware per compromettere il computer dell'indagato e tenerlo sotto controllo a sua insaputa (la nostra legislazione li chiama “captatori informatici”).
L'utente finale di solito è l'anello debole della catena e le FdO nel
99% dei casi preferiscono prendere direttamente da lì le informazioni
che gli servono. L'intento è duplice: da una parte raccogliere elementi
probatori dall'altra portare avanti attività d'intelligence attraverso
cui ricostruire gli insiemi relazionali del soggetto interessato. È anche per questo motivo che periodicamente insistiamo sul fatto che la tutela della propria privacy non può essere delegata a nessuno. Neanche a noi.
Ginox
– Tutte le polizie europee mostrano un'attenzione crescente per i
“captatori informatici”. La prassi è simile alle intercettazioni
ambientali, ma con molte più implicazioni, poiché si va a mettere mano
su quello che in seguito potrebbe essere utilizzato come prova in caso
di processo. Il che è una pratica piuttosto discutibile. Per ora questi
oggetti sono equiparati ad un'intercettazione, ma in maniera
sufficientemente ambigua per farne uno strumento agile per le FdO, e con
pochissime garanzie per gli indagati.
Pepsy - Ci sono numerose aziende anche italiane specializzate in questo genere di lavori.
Joe
– Già. C'è un mare di consulenti che fanno il lavoro sporco per le
procure (salvo poi mettersi le magliette hacker quando vanno ai meeting
della comunità).
Ginox – In Italia il mercato della sicurezza informatica decolla intorno al 2000. Andrea Pompili, autore del libro Le Tigri di Telecom,
security manager dell'azienda arrestato all'interno dell'inchiesta
Telecom-Sismi, spiega bene l'atmosfera che si respirava all'epoca. Dalle
sue ricostruzioni appare chiaro come quello della sicurezza sia un
mercato pompato dove qualsiasi minchiata può fruttare un sacco di soldi.
Cerchiamo di capirci: i “captatori informatici” non sono nulla di nuovo
se non rimaneggiamenti di idee partorite in passato dal giro hacker:
non fanno nulla di diverso da, che so Dark Comet o lo storico Back Orifice o altri rat (categoria di software per controllare da remoto un computer). La
differenza è che oggi il commercio di questi gingilli per le
intercettazioni viene infiorettato con un “marketing dell'emergenza”.
Pensiamo per esempio al tormentone della cyberwar. La richiesta di questi strumenti va di pari passo con la scoperta di Stuxnet o di Flame, due malware
utilizzati in operazioni di intelligence in medio oriente. Da allora
tutti i governi stanno cercando di attrezzarsi. Una storia interessante
in termini di malware e polizia è il caso tedesco, smascherato dal Chaos Computer Club.
Joe – Già. La cyberwar è un concetto indefinito, rarefatto, aleatorio. Una buzzword
che non si capisce bene cosa indichi e che come tale di norma viene
utilizzata da gente che non ne conosce il senso, non sa di cosa sta
parlando e quindi usa il latinorum.
IFF – Dopo la chiusura di Lavabit e di Silent mail anche Riseup ha preso parola pubblicamente. In un suo recente comunicato
ha affermato che sta ridisegnando l'architettura del suo network in
modo da renderla ancora più sicura. L'obbiettivo è quello di non
trovarsi in una situazione simile a quella di Lavabit, ovvero essere
obbligati a scegliere tra due mali minori: collaborare con l'NSA o dover
spegnere l'infrastruttura. Anche voi avete in programma qualcosa di
simile o pensate che sia sufficiente il piano R* da voi implementato ormai diversi anni fa?
Joe – Riseup in questo momento sta lavorando ad un progetto che includa la crittografia end-to-end e
che renda impossibile, anche allo stesso gestore del servizio, sapere
cosa transita sui suoi server. Per fare questo però è necessario
proporre nuovi strumenti agli utenti. Senza dubbio noi ora non forniamo
crittografia end-to-end trasparente. Se vuoi cifrare la posta devi
essere tu a farlo. Mi spiego meglio: ad oggi se un utente riceve in
chiaro una mail su un server di AI, io in quanto amministratore sono in
grado di accedere al contenuto di quella mailbox. Se tu invece
attivamente scambi email solo in forma cifrata con GPG, allora neanche
io ho la possibilità di leggerla. Questo non toglie che sui nostri
server le caselle di posta si trovino su dischi cifrati: anche in caso
di sequestro risulta molto difficile accedere a quei dati. È il motivo
per cui consigliamo di scaricare la posta e non lasciarla sui server. Ed
è un consiglio valido in generale, non solo per i nostri utenti.
Ginox
– Stiamo osservando e studiando le soluzioni disponibili per capire
come affrontare questi problemi, consapevoli del fatto che non avremo
una soluzione pronta tra due mesi. Quello illustrato da Joe però è il
punto della questione che Riseup sta affrontando: se anche gli
amministratori di un network non hanno alcun accesso ai dati degli
utenti allora non c'è profilazione possibile, né nulla di utile che
possa essere richiesto in tal senso.
Joe
– E così facendo viene resa ancora più complicata l'intercettazione dei
dati in transito su Internet, cosa che sappiamo bene – e PRISM l'ha
confermato – essere un bel problema.
Ginox – Si
tratta di un progetto sicuramente più avanzato del Piano R* che abbiamo
attualmente implementato e che nasceva da un contesto diverso. Noi, per
la nostra “esperienza repressiva” negli anni passati ci siamo posti il
problema di distribuire i server, cioè decentralizzare la struttura, e
di oscurare un po' le cose per rendere bassa la probabilità che un
sequestro porti al server giusto. Loro adesso stanno affrontando un
altro pezzo del problema.
IFF – Autistici vive da
anni di donazioni e contributi economici volontari. Prima mi
raccontavate però che dopo quanto accaduto ad agosto alcuni utenti si
sono detti disponibili a versare una quota annuale obbligatoria per
mettervi nella condizione di continuare ad erogare i servizi e mantenere
la vostra policy in fatto di privacy. Non pensate che questa opzione
renderebbe più semplice affrontare la situazione d'emergenza che state
attualmente attraversando?
Ginox – No, non vogliamo che le persone pensino di poter comprare libertà e diritti. Quelli tocca sudarli.
È il motivo per cui eravamo in imbarazzo in questi giorni a rispondere
alle richieste di attivazione: capivamo che ci trovavamo di fronte a
questo ragionamento, magari fatto in buona fede ma che non va nella
direzione in cui ci muoviamo noi. Non ci interessa mettere quote fisse o
far diventare Autistici il nostro lavoro: non saremmo più in grado di
essere credibili. Se agli utenti di Lavabit da noia aver perso un
servizio utile, se si sentono privati di un loro diritto... beh,
andassero nel Maryland a prendere a pietrate la sede dell'NSA e non si
limitassero a cercare di comprare una mail da un'altra parte.
Joe
– Tocca essere pronti ad agire in prima persona, senza deleghe. In un
mondo di spettatori e votanti questo spesso è spiazzante. Il problema
che sta a monte è proprio il concetto malato di democrazia che è
filtrato alla gente: passa tutto per la delega, mentre perfino i teorici
della democrazia borghese ti direbbero che questa è una baggianata. Poi
c'è anche l'atteggiamento capitalista del mi-serve-qualcosa-e-quindi-lo-compro.
Che in effetti, vedendo il mondo intorno è un meccanismo universale.
Noi ovviamente ci opponiamo a questa visione. Inoltre credo sia più
interessante fornire servizi ad un attivista ucraino per cui 15 euro
sono una cifra significativa, piuttosto che alla middle class
statunitense per cui 15 euro sono facili da spendere. Ci sono quindi
ragioni pratiche e politiche per non accettare questo ragionamento.
Pepsy – Diciamo che non abbiamo simpatia per la mercificazione in genere.
IFF
- Com'era ipotizzabile qualcuno ha colto al balzo la palla del
“datagate”. La settimana scorsa Kim Dotcom ha lanciato una campagna di
marketing per pubblicizzare un nuovo servizio di mail sicura. Così
facendo ha scelto di continuare a battere quella strada che a gennaio
aveva portato all'apertura di Mega, alla cui base sta un'idea semplice:
gli utenti in internet non hanno alcuno status giuridico. La loro
privacy non è protetta da alcun tipo di tutela legale. Chi desidera
ottenere riservatezza in rete deve quindi acquistarla. Mi pare che
questa dinamica presenti delle ambivalenze. Da una parte è innegabile
che l'affermazione di questo modello d'impresa sancisca definitivamente
la privatizzazione della privacy: questa smette di essere un diritto e
viene garantita solo in quanto bene scarso, in quanto servizio erogato
dietro compenso da attori privati. Con una metafora potremmo dire che
anche in rete l'accesso alla cittadinanza è ancorato al reddito. Allo
stesso tempo però il fiorire dell'industria della privacy rende
accessibile la crittografia per le masse e più complicato il lavoro
delle agenzie di law enforcement. Lo stesso caso di Lavabit è
paradigmatico: fa riflettere come, nonostante la supremazia tecnologica,
la più grande super potenza del mondo abbia avuto bisogno di ricorrere a
pesanti intimidazioni di fronte ad uno strato di cifratura. Per altro
senza nemmeno riuscire a conseguire il suo obbiettivo. Che ne pensate?
Non credete che questo fenomeno possa avere anche ricadute positive?
Joe
– Mi pare chiaro da quanto detto prima che crediamo che il problema
della privacy sia più politico che tecnico. Quindi non penso che
l'industria della privacy risolva alcunché, dato che abbiamo a che fare
con un antagonista con risorse sostanzialmente illimitate e con cui ogni
“corsa agli armamenti” promette poche speranze di vittoria. La
soluzione tecnica non può che essere parte della soluzione. E sospetto
fortemente che sia una parte abbastanza secondaria. Poi mi aspetto che
un po' di gente crei servizi per riempire questo vuoto del mercato. Ci
saranno quelli con buone intenzioni (come Lavabit) e quelli che sono
interessati solo ai soldi, in stile Kim Dotcom. Nello specifico le
iniziative di “mister Mega” hanno uno scopo fondamentale: parargli il
culo mentre conta i nostri soldi. Di fronte ad un'entità come l'NSA
della privacy degli utenti a lui non frega nulla: basta guardare com'è
fatto mega.co.nz per capirlo. E comunque dal punto di vista dell'utente
significa mettere la tua privacy nelle mani di un ente privato che ha
interessi diversi dai tuoi. Io personalmente non mi fiderei mai :-)
Ginox – L'uso della crittografia di massa è sempre stato legato allo sviluppo del commercio elettronico. Negli
anni '90 la crittografia viene strappata all'NSA ed ai militari perché
il mercato aveva bisogno di soluzioni per garantire la sicurezza delle
transazioni, altrimenti non sarebbe mai potuto decollare. Credo
che questa sia un'ambiguità irrisolvibile che però lascia aperto il
nodo politico della questione, come diceva anche Joe. Così va il
capitalismo: distrugge valore per creare profitto, dalle macerie di una
cosa ne crea un'altra e apre degli spazi di mercato.
Joe
– Posso fare una postilla che mi viene spontanea? È veramente
divertente vedere come funziona bene il “libero” mercato. Tanta gente
nel mondo vuole ottenere un servizio di posta sicura... e la loro
migliore opzione è un gruppo di attivisti anticapitalisti italiani? Beh,
non mi pare esattamente un prototipo di efficienza.
Pepsy
– Sulla deficienza del mercato sono d'accordo. Un po' meno sull'esempio
fatto da Joe perché tutto sommato lo tsunami di richieste non è ancora
arrivato: evidentemente non siamo la sola alternativa. La necessità di
mail sicure d'altra parte viene gestita direttamente anche da enti e
società private.
Ginox – La Germania per esempio
sta tentando a sua volta un approccio diverso. Non so se definirla una
barzelletta, un moto d'orgoglio o qualcosa da buttare sul piatto della
diplomazia. La proposta del governo tedesco di offrire ai suoi cittadini
servizi “made in Germany” è un po' l'equivalente del dire: «Non fatevi spiare dall'NSA! Fatevi spiare solo dai nostri servizi segreti!»
Si tratta quindi di una soluzione che tecnicamente non risolve nulla,
però sposta il soggetto in campo e delinea un'inversione di tendenza: si
passa da un attore privato ad un ritorno dello stato nella gestione
delle comunicazioni.
IFF – In un certo senso
potremmo dire che anche la Germania sta perseguendo una balcanizzazione
di Internet seguendo l'esempio russo e cinese (fatte le debite
differenze ovviamente)?
Ginox – Si, qualcosa del genere, pur elaborando risposte diverse rispetto a Mosca e Pechino.
Joe
– Anche perché una balcanizzazione in stile cinese in Europa non potrà
mai funzionare a meno che non si voglia creare uno spaventoso effetto
recessivo in uno dei pochi settori floridi dell'economia occidentale. In
realtà io credo che quella del governo tedesco sia stata una mossa per
dare un contentino ad un'opinione pubblica inferocita ed allo stesso
tempo uno stratagemma per avere un argomento di trattativa con gli Stati
Uniti.
Pepsy – Da parte mia credo che la rete
sia sempre stata balcanizzata. Rispetto ad Internet c'è ancora troppa
mitologia: quella di una rete “anarchica” che porta libertà. Una
mitologia che cela le internet iraniane, nord coreane e cinesi e che
allo stesso tempo ci fa però dimenticare che fino all'altro ieri anche
in Italia bisognava dare i documenti per accedere ad un hotspot wifi
pubblico. Una mitologia insomma che nasconde il fatto che la rete ha dei padroni, da sempre.
Ginox – Internet
riflette rapporti di forza materiali: più si espande e più si lega al
reale rispetto a quando era composta da qualche milione di utenti.
Nel mondo reale i soldi contano e le aziende si mangiano a vicenda. È
il capitalismo baby! Il mercato è una parte importante e aggressiva
della rete: è stata una scelta precisa quella di smettere di
sovvenzionare Internet con soldi pubblici e fare in modo che soggetti
privati la lottizzassero. Finanza e politica vanno a braccetto,
la rete tende a polarizzarsi verso grossi soggetti così come il
capitale tende a concentrarsi in grossi monopoli e cartelli, o a essere
terreno di bolle e speculazioni. La bolla delle dotcom ha
anticipato quella immobiliare a dimostrare la fragilità di questa
costruzione. La privacy è un mercato come un altro, dove c'è un bisogno
il mercato accorre. I flussi di bit vanno a coincidere con i flussi
finanziari. Segui quest'ultimi e capisci dove si concentra il potere.
Sebbene il meccanismo sembri rodato e inarrestabile, in realtà va spesso
in crisi e va avanti ad azioni di forza e calci in culo, con una certa
tendenza al cannibalismo. E quando si crea una contraddizione c'è spazio
per inserirsi. Questo sarebbe paradossalmente un buon momento per far
nascere nuovi server autogestiti o progetti simili. Non saprei se ci
sono soggetti interessati a farlo.
IFF – Quindi secondo voi le rivelazioni di Snowden rappresentano un punto di forza per chi lotta per i diritti digitali?
Ginox – Non solo per i diritti digitali.
È un momento di forte imbarazzo per il governo americano. Se lo
superano illesi allora ne usciranno fortificati. Altrimenti qualcuno
ne gioverà e credo che all'orizzonte si possono anche aprire spazi per
le esperienze di comunicazione autogestita (a patto di saperle cogliere
ovviamente). In generale poi è interessante che un impiegato metta in crisi una struttura da miliardi di dollari.
Pepsy – Ed è sempre un bene che ci sia il fattore umano che manda all'aria il sistema alla faccia degli incubi tecnologici.
In questo caso è stato mosso un primo piccolo passo essenziale nella
direzione giusta: certe tematiche stanno cominciando ad uscire
dall'ambito underground.
IFF – In che modo gli utenti possono aiutarvi in questo momento?
Pepsy – Diciamo che ci piacerebbe che i nostri utenti imparassero a non delegare a noi la difesa della loro privacy.
Joe – Senza dubbio possono donare, mica ci fa schifo!
Ginox – Si, ma quello possono farlo sempre. Nell'immediato i nostri problemi sono principalmente di relazione verso l'esterno. Chi
utilizza i nostri servizi e vuole aiutarci può farlo diffondendo un
semplice messaggio: ovvero che Autistici è in primis una comunità e non
semplicemente un servizio mail. Poi certo, una crescita di
consapevolezza tecnica sarebbe una cosa auspicabile e sempre utile.
Sopratutto nel momento in cui ti rendi conto che dall'altra parte non si
risparmiano.
Fonte
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