Un brillante esempio di disastro ambientale e sociale sta venendo a galla nel centro di Bologna.
Sotto la sede storica di Hera, in viale Berti Pichat, un pacchetto completo di 1500 tonnellate di rifiuti tossici pericolosi, probabile suolo e falda fortemente inquinati è stato venduto a un costruttore ferrarese lo scorso maggio, per meno di 40 milioni di euro, dalla multiutility Hera, a cui tre milioni di persone si affidano per la fornitura di acqua e gas, e per lo smaltimento rifiuti.
Talmente efficiente, Hera, che è riuscita a chiudere con bilanci in attivo anche in tempi di crisi, aumentando anche il numero di dipendenti. Talmente efficiente che negli ultimi 10 anni, dopo il ritrovamento di due vasche piene di cianuri, sofocianuri, catrami e naftalene usati un tempo per lavare il carbon fossile, sono riusciti a tenere il segreto con la complicità delle varie amministrazioni, magistrature e servizi di vigilanza, fino a sbarazzarsene con un atto di compravendita a buon mercato.
Li ci sono «due vasche non previste… dove c’è della robaccia»… «diversa rispetto a quello che abbiamo fino ad adesso», che trovano di solito, dice uno di loro. I funzionari parlano di «roba nera molto densa» e di «blocchi di materiale argilloso blu» che «puzzano terribilmente… c’hanno un mucchio di problemi», al punto che non possono aprire le vasche. Perché il puzzo anche con un «incenerimento in discarica» si sentirebbe a distanza di chilometri, sintetizza la Finanza.
A parte il fatto che i rifiuti tossici, in quanto tali, sono soggetti a specifiche procedure di smaltimento e che non possono essere semplicemente inceneriti (soprattutto quelli che liberano sostanze volatili pericolose e cancerogeni!), la malsana strategia di vendere la patata bollente a qualche privato è una delle cose moralmente e socialmente infami di questa storia.
La storia è presto detta: nel 2008 erano state ritrovate nell'area in questione (una vecchia officina che distillava carbon fossile per la produzione di gas), alcune vasche di residui usati nella lavorazione. Il tentativo di sbarazzarsene senza affrontare i costi della bonifica, ne quelli dello smaltimento è finito sotto inchiesta. Il tempo intanto passa, e dopo 3 anni, il giudice archivia e dichiara il “non luogo a procedere”. I rifiuti tossici restano quindi dove sono.
Oggi una nuova inchiesta si apre, perché la vendita del terreno di Hera a C. Sallustrio, imprenditore ferrarese, sa di “frode e truffa aggravata”. Questi, avrebbe dovuto costruire, col consenso del comune di Bologna, che non poteva essere ignaro di quanto avveniva, la nuova sede direzionale della multiutility, nonché uno studentato per giovani aspiranti laureati (menti fresche, e ancora sane!), e un parco giochi per bambini (il che sembra un diabolico progetto di controllo demografico peraltro non necessario!).
E invece Sallustrio si trova inguaiato con la prescrizione della Conferenza dei servizi di Bologna di una bonifica ingente ed estesa a tutta l’area almeno fino al 2017. Ovviamente per ora non è dato sapere se queste vasche siano ancora in Berti Pichat, se siano sparite e dove siano sparite, e ovviamente la Regione non ha ancora avuto il tempo di rispondere con la verifica della pericolosità dell’area. Il cianuro persiste nel suolo? O può volatilizzare in aria? O può forse essere lisciviato in falda ed essere trasportato allegramente nella ricca campagna bolognese? E il naftalene? Molto verosimilmente e scientificamente, questo avviene. Di certo questi siti possono essere bonificati, ma è ancora più certo che se le “buone amministrazioni” democratiche preferiscono incassare in silenzio e con la truffa, piuttosto che la salute pubblica, servirà ben altro che un articolo su questo giornale per ripristinare il diritto alla salute di chi lavora oggi in quella zona, di chi ci abita, di chi potrebbe abitarci e di chi potrebbe andarci a giocare.
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