Eliminare, su alcune materie, una camera e restringere il numero dei parlamentari non resterà infatti senza conseguenze.
Specie se passerà l’innalzamento del quorum per i referendum, e per le
leggi di iniziativa popolare, il disegno della riforma del senato
apparirà chiarissimo: portare quanti più nodi decisionali possibili
nelle mani dell’esecutivo togliendoli al potere legislativo e a quello
giudiziario (di cui si manifestano propositi di riforma sia nel Pd che,
ovviamente, in Forza Italia). Certo, il risultato reale, quello dopo il
voto alle camere, parlerà del fatto se queste intenzioni rimarranno
sulla carta o meno.
Quelle che non sembrano proprio
solo intenzioni vengono, invece, dai segnali sulla prossima legge
finanziaria, che oggi si chiama legge di stabilità in omaggio ad un
rigorismo contabile da zombie economics. E qui si noti che,
quando vogliono, i media riescono a far filtrare le intenzioni del
governo. Specie quando i dibattiti si rivolgono ad un pubblico di
nicchia o di professionisti che deve decodificare o ordinare il diluvio
di notizie, anche contradditorie, che lo riguarda. E così a Sky-Tg
economia ospite Taddei, responsabile economia del PD, è andata in onda
una trasmissione dove, prima di tutto, si è parlato dei tagli possibili
nella prossima legge di stabilità. Questo, mentre a livello di
dichiarazioni governative si nega ancora la possibilità di una
finanziaria fatta di tagli o, comunque, di problemi riguardanti il
bilancio del paese. Quando nel dibattito era ormai palese che le
prossime scadenze finanziarie italiane non saranno una passeggiata,
dopo che è stato chiesto a Taddei se avesse un’idea dei numeri a
disposizione del governo, il responsabile economia Pd ha detto
testualmente: “la prossima manovra finanziaria sarà impegnativa”. Senza smentire nessuno e lasciando in termini vaghi l’altra questione che circola da tempo: il
problema dell’impatto del fiscal compact europeo sui beni pubblici
italiani (impatto che ha stime che vanno dai 5-7 miliardi di euro annui,
per un ventennio, fino ai 50 passando dai 20. E non si parla
di manovra ma solo della voce “riduzione del debito”). La “manovra
impegnativa” di Taddei, a parte la cosmesi contabile, che ci sarà, con
qualche sgradita sorpresa, magari ridotta apparentemente al minimo da un
governo attento all’immagine, non potrà che riguardare tre voci:
investimenti, spesa corrente, spesa sociale (distinguendo qui tra spesa
per l’amministrazione e spesa per le prestazioni sociali per capirsi sul
fatto che, per colpire la seconda, il governo cercherà di fare tanta
retorica sugli “sprechi” della prima).
Il governo, nelle trattative
con l’”Europa” per la “flessibilità” di bilancio, cercherà di strappare
qualche fondo europeo. Magari sperando di controbilanciare una riduzione
degli investimenti pubblici in linea con i parametri europei quindi
forte. E che non ci si debba aspettare grandi investimenti dal
mitico privato, sanatoria di tutti i discorsi ideologici che non tornano
anche nella sinistra social-liberista, lo si capisce dallo stesso Renzi.
Il quale, dal Mozambico, ha redatto di persona la stima del Pil
raggiungibile dopo i 1000 giorni di riforme da lui preventivati: 1,9 per
cento, si presume annuo. Ora, per ripartire (compensare gli
investimenti pubblici persi negli anni scorsi, puntare su una crescita
centrata sul reddito, ricostruire i servizi, diffondere tecnologie)
l’Italia avrebbe bisogno, ci teniamo bassi tenendo a memoria una serie
di studi dedicati, almeno del triplo in questi mille giorni e del doppio
annuale previsto da Renzi. Tassi di crescita che non esistono
nelle economie capitalistiche contemporanee. Un po’ poco per attirare
davvero investimenti privati in economia ma sappiamo che Renzi parla per
le borse, e non per il paese, e l’1,9 dichiarato a Piazzaffari
andrebbe benissimo. Peccato, nel giro di 48 ore dalle serate
mozambicane del presidente del consiglio, l’obiettivo di Renzi sia già
stato smentito dalle previsioni di crescita dell’economia americana. La
fragorosa riduzione di un punto di crescita della stima del Pil
americano da parte del FMI rende già da oggi, visto il persistente ruolo
di locomotiva mondiale degli Usa, impossibile questo 1,9 per cento. A
prescindere dal fatto che le riforme entrino o meno a regime. Si capisce
quindi il perché di una manovra “impegnativa”: il Def, documento
economico finanziario, approvato ad aprile dal governo in vista della
manovra successiva prevedeva una, diciamo, vivace crescita mondiale.
La necessità della revisione al
ribasso delle stime, ufficialmente iscritte nel Def, della crescita
globale comporterà invece tagli ai beni pubblici. Visto che
l’Europa non farà sconti e che si apre la stagione del fiscal compact,
si comprende che la manovra rischia, se non interviene una qualche
efficace tattica dilatoria, di essere davvero impegnativa. Non proprio
una ripartenza folgorante, col governo Renzi come fulcro, dopo un
periodo di alternanza tra stagnazione e recessione in Italia. La solita
differenza tra marketing e realtà, insomma. Peccato sia a spese di un
intero paese.
Dopo anni di crisi naturalmente
si cercano soluzioni. Ma sono molto lontane dal vedere la luce. Bastasin
sul Sole 24 ore parla testualmente di necessità di un piano di
investimenti europeo, di spessore continentale ed epocale, guidato dalla
Germania. Ma la Germania ha queste intenzioni? Nei primi anni
del dopo Lehman l’export perso nel continente nella compressione del Pil
europeo, causato proprio dall’austerità voluta da Berlino, è stato
compensato per la Germania dalle esportazioni verso i verso Brics.
Mentre die Welt già si lamenta per l’euro sotto 1,35: è un segnale che
nella maggioranza Merkel si punta ancora al binomio moneta forte-primato
dell’export competitivo grazie ai livelli di produttività, tecnologia e
logistica raggiunti dalla Germania. “Prestare da banche tedesche per
far acquistare merci tedesche”, la solita legge che porta il resto
dell’Europa verso i margini, come si è visto nell’ultimo lustro. Il
resto è retorica da cerimoniali sull’Europa, sul continente di pace,
sul futuro in comune e tutto il consueto abuso di credulità popolare
esercitato in materia. In realtà l’Ue è un campo di forza dove i
paesi più ricchi vampirizzano le risorse degli altri per mantenersi
vivi in un periodo di paralisi dell’economia mondiale. Tra una bolla
finanziaria e l’altra. E’ già accaduto, bolle finanziarie comprese, in
scala più piccola nel rapporto tra regioni ricche e regioni povere
dell’Italia tra il periodo unitario e la prima guerra mondiale. Avremmo
quindi l’esempio sul campo già pronto se non fosse che la retorica
risorgimentale ha sepolto la memoria storica del periodo.
Insomma, sarà la solita legge di
stabilità pro-ciclica (di una ciclicità fatta di
depressione-tagli-nuova depressione-nuovi tagli) magari stavolta
venduta, a reti unificate, assieme alla legge sul senato e a inviti,
magari nemmeno tanto velati, alla Germania “a fare la sua parte visto
che l’Italia ha fatto la sua”. Solo che il capitalismo tedesco
la “sua parte” continuerà a farla come sa: in quanto nodo produttivo e
finanziario dell’Europa continentale in egemonia e autonomia dal resto
dell’Ue. Non c’è niente di peggio di un governo che cade vittima della
propria propaganda. A volte il governo Renzi sembra proprio credere,
almeno per la comunicazione che dà di sé, che la Germania si pensi,
prima di tutto ed in ultima istanza, come membro dell’Ue. E che i
rapporti con gli stati dell’Ue, o con la commissione di Bruxelles,
contino sempre di più di quelli con Cina, Russia o anche Brasile. Forse è
vero che far assumere la propaganda agli altri come una droga, alla
fine, ti porta a rimanerne intossicato. Eppure, una volta tanto, se il
responsabile economia del Pd comincia a parlare di manovra impegnativa
esce dalla propaganda. Resta da capire se, al di là delle trasmissioni
di nicchia, arriverà il messaggio che il governo Renzi non ha reali
soluzioni di fronte ad una crisi che dura già da anni. Sempre se non ci
si accontenta di discutere della riforma del senato. I blog degli
opinionisti di sinistra, cimiteri della presa di posizione pubblica,
sono già pieni di queste discussioni. Il genere è quello del camposanto
delle belle intenzioni, ragionamenti digitali sui quali si può piantare
solo una luminosa croce bianca. Il resto è per chi si occupa, e fa,
politica. Allora qui l’orecchio si tende: ecco una frase sibillina
“manovra impegnativa”, sottile e fortemente rivelatrice.
Per Senza Soste, nique la police
24 luglio 2014
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