di Gideon Levy – Haaretz
(Traduzione di Marina Astrologo)
Dopo che abbiamo
detto tutto ciò che c’è da dire sul conto di Hamas – che è integralista,
che è crudele, che non riconosce Israele, che spara sui civili, che
nasconde munizioni dentro le scuole e gli ospedali, che non ha fatto
niente per proteggere la popolazione di Gaza – dopo che è stato detto
tutto questo, e a ragione, dovremmo fermarci un attimo e
ascoltare Hamas. Potrebbe perfino esserci consentito metterci nei suoi
panni e forse addirittura apprezzare l’audacia e la capacità di
resistenza di questo nostro acerrimo nemico, in circostanze durissime.
Invece Israele preferisce tapparsi le orecchie davanti alle richieste
della controparte, anche quando queste richieste sono giuste e
corrispondono agli interessi sul lungo periodo di Israele stesso.
Israele preferisce colpire Hamas senza pietà e senza alcun altro scopo
che la vendetta. Stavolta è particolarmente chiaro: Israele dice di non
voler rovesciare Hamas (perfino Israele capisce che se lo fa si
ritroverà sulla porta di casa la Somalia, altro che Hamas), ma non è
disponibile ad ascoltare le sue richieste. Quelli di Hamas sono tutti
“bestie”? Ammettiamo pure che sia vero, ma tanto lì stanno e lì restano,
e lo pensa anche Israele. Quindi, perché non ascoltarli?
La settimana scorsa sono state pubblicate, a nome di Hamas e
della Jihad islamica, dieci condizioni per un cessate il fuoco che
sarebbe durato dieci anni. Possiamo anche dubitare che le richieste
arrivassero davvero da quelle due organizzazioni, ma comunque erano una
buona base per un accordo. Tra di esse non ce n’era neanche una che
fosse priva di fondamento.
Hamas e la Jihad islamica chiedono libertà per Gaza. C’è forse una
richiesta più comprensibile e lecita? Senza accettarla non c’è modo di
mettere fine all’attuale ciclo di uccisioni e di evitarne un altro nel
giro di pochi mesi. Nessuna operazione militare – aerea, terrestre o
marittima che sia – fornirà una soluzione. Solo cambiando radicalmente
atteggiamento nei confronti di Gaza si potrà garantire ciò che tutti
vogliono, cioè la tranquillità.
Leggete l’elenco delle richieste e giudicate onestamente se tra di loro ce ne sia anche una sola ingiusta:
ritiro dell’esercito israeliano e autorizzazione dei coltivatori a
lavorare le loro terre fino al muro di sicurezza; scarcerazione di tutti
i prigionieri rilasciati in cambio della liberazione di Gilad Shalit e
poi arrestati; fine dell’assedio e apertura dei valichi; apertura di un
porto e di un aeroporto sotto gestione Onu; ampliamento della zona di
pesca; supervisione internazionale del valico di Rafah; impegno da parte
di Israele a mantenere un cessate il fuoco decennale e chiusura dello
spazio aereo di Gaza ai velivoli israeliani; concessione ai residenti di
Gaza di permessi per visitare Gerusalemme e pregare nella moschea Al
Aqsa; impegno da parte di Israele a non interferire con le decisioni
politiche interne dei palestinesi, vedi la creazione di un governo di
unità nazionale; infine, apertura della zona industriale di Gaza.
Queste sono condizioni civili, i mezzi per realizzarle sono militari,
violenti e criminali. Ma la verità (amara) è che tutti se ne fregano di
Gaza quando non spara missili contro Israele. Guardate la sorte
toccata a quel dirigente palestinese che ne aveva abbastanza delle
violenze, Abu Mazen: Israele ha fatto tutto quanto in suo potere per
distruggerlo. E qual è la triste conclusione? “Funziona solo la forza”.
La guerra in atto è una guerra per scelta e la scelta l’abbiamo fatta
noi israeliani. È vero, quando Hamas ha cominciato a sparare missili
Israele non poteva non reagire. Ma contrariamente a ciò che tenta di
spacciare la propaganda israeliana, i missili non sono mica
piovuti dal cielo senza motivo. Basta tornare indietro di qualche mese:
rottura delle trattative da parte di Israele; guerra contro Hamas in
Cisgiordania in seguito all’assassinio dei tre studenti di un
seminario rabbinico – è dubbio che lo abbia pianificato Hamas – e
arresto di 500 suoi attivisti con false accuse; blocco dei pagamenti
degli stipendi ai lavoratori di Hamas a Gaza e opposizione di Israele al
governo di unità nazionale, che forse avrebbe potuto ricondurre Hamas
entro l’agone politico. Chiunque pensi che Hamas avrebbe potuto
incassare senza batter ciglio, probabilmente soffre di arroganza,
autocompiacimento e cecità.
A Gaza – e in minor misura anche in Israele – si sta versando una
quantità terrificante di sangue. Questo sangue è versato invano. Hamas
è martellato da Israele e umiliato dall’Egitto. L’unica possibile
soluzione sta nella direzione esattamente opposta a quella dove sta
andando Israele. Un porto a Gaza, così che possa esportare le
sue ottime fragole? Agli israeliani suona come un’eresia. Qui, ancora
una volta, si preferisce il sangue (palestinese) alle fragole
(palestinesi).
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