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22/07/2014

Telecom. Televisioni e reti al centro del terremoto

Dopo lo scioglimento di Telco deciso nel consiglio d’amministrazione del 26 giugno ’14, "l’invasore" Telefonica si ritira parzialmente da Telecom Italia obbedendo all'ultimatum dell'authority brasiliana, diminuendo sotto il 10% la propria partecipazione in Telecom Italia attraverso l'emissione di un bond convertendo in azioni Telecom da 750 milioni, pari quindi a circa il 6% del capitale del gruppo italiano.

In pratica una mossa preventiva in funzione degli impegni assunti con l'Authority Cade (Antitrust brasiliano) che aveva chiesto agli spagnoli di uscire da Telecom Italia o di vendere Tim Brasil per riequilibrare la propria presenza nel mercato sudamericano, mercato molto più redditizio.

Telefonica va verso la riduzione del proprio peso in Telecom Italia, in pratica tornando a una situazione simile a quella che aveva prima dell'autunno scorso, conservando una partecipazione intorno all'8% circa di Telecom Italia, garantendo agli spagnoli la loro influenza diretta su Tim Brasil, filiale brasiliana di Telecom e non dover aprire il capitale di Vivo, la controllata brasiliana di Telefonica.

Fra i fondi candidati ad acquistare la quota dell’ex monopolista in mano al gruppo iberico c'è Fintech, società che fa capo a David Martinez Guzman, il miliardario messicano che ha recentemente investito anche nel Monte dei Paschi di Siena.

Considerato che il clima politico italiano non sembra favorevole agli spagnoli, con questa operazione telefonica tenta di arginare anche il tentativo del Governo Italiano che, secondo alcune indiscrezioni al momento top secret, sembra intenzionato alla costruzione ex novo di un’infrastruttura “Rinascimento 2.0, Progetto iFon” di nuova generazione in fibra ottica di proprietà dello Stato al fine di centrare gli obiettivi 2020 indicati dall’Agenda digitale europea, “messa a disposizione, a parità di condizione tecniche ed economiche”, di tutti gli operatori di telecomunicazioni.

Tale indiscrezione risulta confermata dal fatto che il 7 giugno scorso è stato finalmente pubblicato il regolamento attuativo del “Golden Power” in materia di veto sugli asset strategici introdotto dal governo Monti.

Un’idea ambiziosa ma frenata dagli interessi di Telecom e dei suoi creditori considerato che la rete Telecom è la principale garanzia del debito (26 miliardi) della società nei confronti delle banche sottoposte ai nuovi vincoli di bilancio imposti dalle regole di Basilea, per cui sono obbligate a rientrare per buona parte dei finanziamenti concessi.

Proprio per questo l’idea della costruzione della nuova infrastruttura di rete è contrastata da parte di Telecom Italia al fine di evitare un "concorrente" pubblico dall’altro dalle banche creditrici, che da un’eventuale cessione della rete di Telecom potrebbero abbattere notevolmente il debito del gruppo Telecom Italia e consentire alle banche creditrici di ridurne il peso in bilancio.

Tale operazione finanziaria apre alla public company per Telecom Italia, chi sa se più sensibile al business che agli equilibri politici nostrani? Di sicuro le alleanze difensive dell'"italianità" non funzionano più. E presto questo varrà anche per i media. Ammesso che i giornali italiani interessino a qualcuno.

La sensazione è che il terremoto sul mercato delle telecomunicazioni italiane sia appena cominciato: si va verso la fusione dei competitor (Wind più 3), si profilano due partiti: Telecom più Sky contro Mediaset più Telefonica per la distribuzione di contenuti dalla pay tv satellitare attraverso la rete, evidenziando come anche dalle dichiarazioni rilasciate da Franco Bernabè ex amministratore delegato di Telecom Italia "I servizi di comunicazione stanno diventando sempre più appannaggio di un oligopolio di operatori internet americani, mentre le società di tlc diventano operatori di infrastruttura".

Del resto sempre di più si assiste ad una costante erosione dei servizi base tradizionali, tutte le attività che storicamente generavano margini, come il traffico voce o gli sms, stanno diminuendo a vantaggio di servizi offerti dalle società di internet come Whatsapp o i social network.

Di sicuro l’intesa tra Telefonica-Mediaset sembra consolidare la politica delle “larghe intese” anche in campo telefonico e televisivo. L’alleanza tra la spagnola Telefonica e Mediaset, per ora limitata alla pay-tv, viene vista, da alcuni analisti, come il primo passo di uno scenario futuro in cui le reti Mediaset sono destinate a diventare il braccio televisivo di Telecom Italia, destinata, a sua volta, a finire sotto il completo controllo di Telefonica.

Dunque un gruppo italo-spagnolo completo di tv e telecomunicazioni, come lo sono i maggiori competitor internazionali del settore, la realizzazione di un progetto che da anni era nei desideri di Silvio Berlusconi.

Un’operazione che per forza di cose, vista l’importanza, deve ottenere l’avallo da parte deI governo italiano. E Berlusconi sa bene che può ottenerlo solo a patto che il suo partito, benché declinante nei voti, assicuri a Renzi i voti necessari per le riforme costituzionali garantendosi la difesa dei propri interessi, che è sempre stato il primo punto della sua agenda.

Un compromesso, questo, che anche il premier può avere valutato conveniente sul piano politico, poiché assicura il successo delle sue riforme, in primis quella del senato.

Inoltre Renzi vorrà completare il nuovo assetto nazionale delle tv e delle telecomunicazioni con la riforma della Rai. Ma quale riforma ci dobbiamo aspettare? In proposito, vale la pena di rileggere i punti 16 e 17 del documento intitolato «Ecco le mie 100 idee per l’Italia», che Renzi presentò alla prima Leopolda nel 2011.

Punto 16: «Cambiare la Rai per creare concorrenza sul mercato tv e rilanciare il servizio pubblico. Oggi la Rai ha 15 canali, dei quali 8 hanno una valenza pubblica. Questi vanno finanziati esclusivamente attraverso il canone. Gli altri, inclusi Rai 1 e Rai 2, devono essere da subito finanziati esclusivamente con la pubblicità, con affollamenti pari a quelli delle reti private, e successivamente privatizzati».

Altrettanto perentorio il punto 17: «Fuori i partiti dalla Rai. La governance della tv pubblica deve essere riformulata sul modello Bbc (Comitato strategico nominato dal Presidente della Repubblica, che nomina i membri del comitato esecutivo, composto da manager, e l’amministratore delegato). L’obiettivo è tenere i partiti politici fuori dalla gestione della tv pubblica».

Si prefigura un’estate bollente in attesa delle riaperture di settembre, si scatenano i giochi sugli asset societari delle società di Telecomunicazioni Italiane, con la più che plausibile ipotesi, come sta accadendo per l’Alitalia, il futuro delle telecomunicazioni non sarà gestito da mani italiane.

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