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25/07/2014

GAZA. Restistere o trattare? Il dibattito di Hamas



di Michele Giorgio – Il Manifesto

La leadership di Hamas è più unita che mai, parla con una sola voce, non c’è differenza tra i dirigenti politici e i comandanti militari. Puntano tutti allo stesso obiettivo: rompere l’isolamento del movimento islamico e ottenere la fine dell’embargo contro Gaza». Sami Ajrami, giornalista di Gaza, ci risponde con il tono di chi è sicuro delle informazioni in suo possesso. E in gran parte ha ragione.

Ciò non toglie che all’interno del movimento islamico, impegnato dall’8 luglio in un confronto militare durissimo con Israele, sia in corso un dibattito intenso su cosa fare nei prossimi giorni. Sul tavolo c’è la proposta di tregua presentata dall’Egitto, respinta da Hamas e che il Cairo non intende emendare.

Il testo chiede la cessazione immediata del fuoco e l’avvio di negoziati sul futuro di Gaza. I vertici di Hamas, la scorsa settimana, erano stati categorici nel respingere il piano egiziano che non riconosce alcun ruolo al movimento islamico e non offre la garanzia di una revoca, dopo 7 anni, del blocco di Gaza. Ora però si trovano nella delicata posizione di dover prendere una decisione definitiva: continuare a rifiutare la proposta, oppure accettarla e andare a verificare le intenzioni dell’Egitto e degli altri attori regionali e internazionali?

«I più disposti ad andare a vedere le carte che hanno in mano gli egiziani sono (il leader politico in esilio) Khaled Meshaal e (il suo vice) Musa Abu Marzuq. Entrambi ritengono che in questo modo Hamas avrà comunque la possibilità di riallacciare un dialogo, anche indiretto, con l’Egitto e di ottenere qualche riconoscimento internazionale», ci dice una fonte – che chiede di rimanere anonima – con buoni contatti nell’ala politica di Hamas. A quanto pare Meshaal e Abu Marzouq sono stati in grado di convincere l’emiro del Qatar ad incontrare i vertici della rivale monarchia saudita per spingerla a fare pressioni sull’Egitto affinché cessi il boicottaggio di Hamas.

Con quali esiti non è noto, ma i due leader si sarebbero convinti che non si può reggere a lungo sotto il fuoco israeliano e che sarebbe più conveniente accettare la proposta egiziana con qualche garanzia araba e avviare le trattative. Senza contare che Meshaal è convinto che la guerra con Israele abbia accresciuto ulteriormente il consenso ad Hamas in Cisgiordania a danno del presidente dell’Anp Abu Mazen e che, pertanto, sarebbe conveniente raccogliere i frutti politici delle ultime due settimane.

L’autorevolezza di Meshaal e Abu Marzuq tuttavia si scontra con la fermezza dei comandanti di Ezzedin al Qassam, decisi a combattere sino in fondo contro l’Esercito israeliano, anche alla luce dei «successi» ottenuti, a cominciare dall’elevato numero di perdite subite dall’avversario (oltre 30 soldati di reparti scelti, fino a ieri) e al blocco dei voli da e per Israele deciso da molte compagnie aeree a causa del lancio di razzi da Gaza verso l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv.

Ago della bilancia è l’ex premier Ismail Haniyeh. Esponente pragmatico fino a qualche tempo fa, Haniyeh ha irrigidito la sua posizione e pare più incline a sostenere le ragioni di «Ezzedin al Qassam» all’interno del Consiglio della Shura, l’organo di governo di Hamas chiamato di volta in volta a prendere le decisioni più rilevanti del movimento islamico.

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