di Amira Hass – Haaretz
Traduzione di Amedeo Rossi
Lo shock e la paralisi del mondo politico hanno preso il sopravvento
nell’Autorità Nazionale Palestinese e nell’OLP, alla luce della
perdurante aggressione israeliana contro la Striscia di Gaza e l’enorme
problema della sorte di un milione ottocentomila persone che vivono in
quella piccola area. Condanne da parte dei portavoce dell’OLP e
dell’Autorità Nazionale Palestinese, richieste di donare il sangue per
Gaza e la formazione di un fondo governativo d’emergenza sono
“manifestazioni di solidarietà” – come se i residenti a Gaza fossero un
altro popolo. Non sono i passi di un gruppo dirigente il cui popolo si trova in un pericolo mortale.
La gente a Gaza e in Cisgiordania è sconcertata dal fatto che i
principali dirigenti dell’OLP e dell’ANP – innanzitutto il presidente
dell’ANP Mahmoud Abbas, o almeno quelli più vicini a lui – non abbiamo
fatto il primo ed ovvio passo di andare nella Striscia di Gaza quando il
sanguinoso conflitto è scoppiato. Questo errore, dicono i critici, ha
aiutato a far diventare il conflitto, agli occhi del mondo, uno
scontro tra Hamas e Israele, e non come parte della politica di
occupazione ed oppressione di tutto il popolo palestinese.
A livello organizzativo, il sanguinoso conflitto avrebbe richiesto un’immediata riunione del governo provvisorio di unità nazionale
(che comprende membri del comitato esecutivo dell’OLP ed i dirigenti
delle organizzazioni che non ne fanno parte, primi tra tutti Hamas e
Jihad islamica). La formazione di questo esecutivo era stata accettata
già nel lontano accordo di riconciliazione del Cairo nel 2005. Di fatto,
la dirigenza unitaria avrebbe dovuto realizzarsi dopo l’accordo di
Shati (l’accordo di aprile riguardante la formazione di un governo di
riconciliazione diretto da Rami Hamdallah).
Il fatto che non sia stato fatto è un errore o una prova evidente che
le intenzioni di Abbas fin dall’inizio non erano concentrate sul
governo di coalizione. Abbas attribuisce una grande importanza ai
negoziati con Israele e ai suoi rapporti con gli Stati Uniti, mentre è
ormai chiaro a sempre più ampi ambienti nell’OLP e in Fatah che la
necessità di costruire una dirigenza unitaria è prioritario rispetto ad
ogni altra cosa.
Le condizioni [poste da] Hamas e Jihad islamica per il
cessate il fuoco sembrano molto ragionevoli e moderate ai palestinesi, e
tra questi anche a membri delle fazioni dell’OLP, compreso Fatah.
Il segretario del comitato esecutivo dell’OLP, Yasser Abed Rabbo, lo ha
detto apertamente. La richiesta di Hamas di farla finita con l’assedio
mette in evidenza la mancanza di interesse della dirigenza di OLP e di
Fatah nel lottare contro il blocco e la segregazione della Striscia di
Gaza. Il coinvolgimento di Abbas nella fallita iniziativa egiziana per
un cessate il fuoco, basata sulla “tregua senza condizioni” è ora
considerata un’opportunità pericolosamente perduta, il cui pesante costo
sono state più vite umane [perse]. Un altro prezzo molto alto è stato
pagato presentando il presidente palestinese come un “mediatore” invece
del leader di un popolo, approfondendo in questo modo le divisioni
interne. I colloqui di Abbas negli ultimi giorni con i dirigenti
di Hamas e della Jihad islamica sono arrivati troppo tardi e non hanno
migliorato l’impressione negativa.
D’altra parte, i membri dell’OLP non vogliono uno scontro totale con
l’Egitto o apparire coinvolti nelle sue questioni interne – cioè, che
prendano posizione sulla repressione contro i Fratelli musulmani.
Tradizionalmente, le fazioni dell’OLP sono sempre state sospettose nei
confronti della Fratellanza musulmana, in quanto organizzazione politica
sovranazionale che utilizza la religione. Fatah, in particolare, ha
denunciato per anni che l’ideologia di Hamas e la sua politica di
contrapposizione militare non sono motivate da un progetto nazionale, ma
semmai da quello della Fratellanza.
La piccola componente di sinistra aborrisce il tipo di società a cui aspira Hamas. Ma nelle
ultime settimane è risultato evidente che Hamas è stato capace di
rappresentare una sfida più grande per Israele rispetto a quelle che ha
dovuto affrontare da parte di qualunque altra organizzazione palestinese
– e, per l’opinione pubblica palestinese, per ragioni giustificabili.
Ciò ha colpito anche quelli che ne disprezzano il progetto
politico-religioso, così come anche quelli che non sono accecati dalla
fede nella lotta armata.
Gli errori nella condotta delle fazioni dell’OLP, compreso Fatah –
soprattutto dallo scoppio di questa nuova carneficina – non sono un
problema contingente e temporaneo. Piuttosto, mostrano errori continui,
alcuni dei quali sono connessi con le caratteristiche del modo di
comandare di Abbas. Negli scorsi anni ha cercato di minimizzare
ogni processo democratico di consultazione e ogni decisione collegiale
all’interno di Fatah, dell’OLP e dell’Autorità Nazionale Palestinese.
Le fazioni politiche laiche, e tra queste Fatah, sono state messe fuori
gioco in quanto irrilevanti, mentre Hamas e Jihad islamica sono stati
progressivamente visti alla testa della lotta contro l’occupazione nel
nome del popolo palestinese. Secondo alcune persone chiave delle fazioni
politiche, ci deve essere un reale cambiamento nella qualità, nella
linea di azione e nel discorso dell’OLP. Altrimenti si creerà un vuoto
[di potere] che, nel migliore dei casi, verrà riempito dai gruppi del
nazionalismo islamista, e nel peggiore determinerà il caos sociale,
politico e del sistema di sicurezza.
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