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31/10/2014

“Il Giovane Favoloso”: sulle orme di un Leopardi positivo

Un film biografico non è mai affar semplice: dal Wittgenstein di Jarman ai polpettoni di Rossellini sui vari filosofi (su Socrate, su Cartesio, ecc…) passando per “Beautiful mind” su John Nash, non abbiamo ricordo di pellicole, come dire, imprescindibili. Può piacere, al limite, l’“Amadeus” di Milos Forman, ma solo a chi piacciono le interpretazioni ermeneutiche (o “iperinterpretate” per dirla con il Sablich) di Von Karajan delle ultime Sinfonie di Mozart.

Martone ci prova con Leopardi.
C’è chi si è entusiasmato, come Saviano, e chi si è indignato . Certo, il regista, presentando il “suo” Leopardi come il “Kurt Cobain dell’Ottocento” pensando forse che il grunge vada ancora di moda e sperando di strizzare l’occhio ai “gggiovani”, ostenta tutta la pochezza teorica che sta dietro alla sua interpretazione. Martone ignora, probabilmente, la differenza tra morire suicida a 27 anni sparandosi un colpo alla testa, e morire di morte naturale.

Martone cerca di scartarsi dagli stupidi cliché della critica mainstream, cerca di sottrarre il grande poeta dal ritratto di un nichilista qualsiasi, “preso male”. In alcuni momenti ci riesce, ci restituisce un Leopardi che considera “ottimismo e pessimismo [...] parole vuote”, ma non si spinge oltre. Cerca di mostrarci un Leopardi entusiasta, e di questo gli va reso merito: la scena dell’incontro con l’amico Giordani è davvero toccante. Germano e Martone tentano di far sorridere il loro Giacomo, ma solo quando gli mettono accanto una bottiglia di vino, in una modesta osteria napoletana.
 
Dov’è il Leopardi che il 23 settembre 1828 nel suo Zibaldone scriveva:
“Ridete franco e forte, sopra qualunque cosa, anche innocentissima, con una o due persone, in un caffè, in una conversazione, in via: tutti quelli che vi sentiranno o vedranno rider così, vi rivolgeranno gli occhi, vi guarderanno con rispetto, se parlavano, taceranno, resteranno come mortificati, non ardiranno mai rider di voi, se prima vi guardavano baldanzosi o superbi, perderanno tutta la loro baldanza e superbia verso di voi. In fine il semplice rider alto vi dà una decisa superiorità sopra tutti gli astanti o circostanti, senza eccezione. Terribile ed awful è la potenza del riso: chi ha il coraggio di ridere, è padrone degli altri, come chi ha il coraggio di morire.” ? Non pervenuto.

Se non è vero che il poeta ritratto da Martone è solo un “paguro piagnucoloso” è altrettanto vero che è comunque un Leopardi incompleto del quale vengono al massimo tratteggiati solo alcuni dei suoi aspetti: tra le scene migliori, anzi forse la scena più riuscita del film, è da segnalare il dialogo con la gigantesca statua che rappresenta la natura. Lì troviamo, se non il Leopardi che Saviano azzarda a chiamare “rivoluzionario”, un uomo rabbioso che affronta le avversità della vita con orgoglio e determinazione.

L’impressione è quella di un buon tentativo, apprezzabile, ma non completamente riuscito.

A monte, a nostro avviso c’è una mancata comprensione del messaggio leopardiano da parte degli addetti ai lavori, che si riflette anche su Martone il quale si adagia sull’interpretazione standard aggiungendo solo qualcosina, nella giusta direzione, qua e là: la nostra interpretazione si concentra sul testamento leopardiano, la “Ginestra”.

La lettura che ne diamo è vicina al Leopardi “progressivo” (e progressista) di Binni, Luporini e Timpanaro (Binni, “La nuova poetica leopardiana”, 1947, e “La protesta di Leopardi”, 1973; Luporini, “Leopardi progressivo”; Timpanaro, “Classicismo e illuminismo nell’Ottocento italiano”, 1965) e si lascia suggestionare dal Leopardi accostato al pensiero socialista di Salvatorelli e Carpi (Salvatorelli, “Il pensiero politico italiano dal 1700 al 1870”, 1935; Carpi, “Il poeta e la politica”, 1978).
Sintetizzando: la nostra interpretazione tiene sicuramente in considerazione quella critica cosiddetta “marxista” che individua un Leopardi consapevole dei risvolti negativi della società del suo tempo, che vuole proporre nella Ginestra il rimedio ad essi auspicando un’umanità rinnovata, fondata sul sentimento della solidarietà universale.

Nella Ginestra, però, c’è molto di più.

“La ricerca di un’ ‘altra radice’, di un altro fondamento, è la condizione affinché l’umanità liberata dall’ ‘ottusa fede’ possa fondare la sua storia su basi stabili. La ‘social catena’, questo nuovo legame sociale, trova quindi il suo fondamento in una opposizione, in una ‘guerra’ [...] contro l’ ‘empia natura’.” (Pineri, “Leopardi et le retrait de la voix”, p. 242). Pineri però continua la sua critica non riuscendosi a spiegare come possa Leopardi pretendere di fondare la comunità umana sulla base di un principio negativo (la natura concepita come negatività). La nostra interpretazione, grata ai nomi fatti fino ad esso, prosegue invece verso altre conclusioni.

Nel rapporto dialettico tra uomo e natura viene tracciata quella che è la missione storica della specie umana, e quale potrà essere lo strumento per attuare questo compito: la formazione della social catena, abolendo la divisione in classi, permetterebbe all’umanità di lottare unita per la propria sopravvivenza fronteggiando la natura, e integrandosi dialetticamente in essa formando quindi un’unità degli opposti  attraverso un ciclo di ricambio organico.

Prima che Clausius enunciasse chiaramente il secondo principio della termodinamica, “l’entropia dell’universo tende a un massimo”, principio che sanciva la lotta tra la natura anarchica e entropica e la missione della specie umana, necessariamente neg-entropica, pena l’estinzione; prima che Boltzmann desse una formulazione statistica del lavoro di Clausius, sviluppando una nuova concezione del divenire temporale e della sua irreversibilità; prima che Marx considerasse il vero motore della storia la lotta tra uomo e natura, contrapponendolo al fittizio motore della storia, cioè la lotta dell’uomo contro l’uomo, prima che Marx ed Engels organizzassero il primo tentativo di una Internazionale (“social catena”) dei Lavoratori, prima di queste sistematizzazioni, Leopardi aveva già colto tutto questo con la sua arte. Partendo da quello sperduto angolo di mondo che era Recanati il genio sublima nell’arte tutto ciò che non trova altrove, e si erge fino ad avere una visione biologica, politica, morale, rivoluzionaria, internazionalista, non solo del percorso dell’umanità ma del divenire del pianeta. Egli vede, decenni prima, la possibilità (mai realizzata ad oggi) di sviluppare una concezione statistica unitaria dello sviluppo tendenziale tanto del divenire della natura che della storicità dell’uomo.
Prima che la razionalità della fisica, dell’economia politica, della filosofia della storia, e del pensiero politico e morale trovassero le loro equazioni, le loro formule, i loro concetti, la sensibilità e l’istintualità ragionata del cervello sociale, attraverso il pensiero-poesia leopardiano, avevano già sentito tutto. L’arte riesce ad intuire decenni prima quello che sarebbe stato, poi, lo sviluppo del movimento reale.

Lontano dal senso comune, critico ironico delle meschine speranze borghesi del suo tempo, geniale pensatore, poeta dell’infinito, amante generosissimo della specie umana, eroico esempio di sublime moralità... questo è il nostro Giacomo Leopardi.

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