di Michele Paris
Per decenni
dopo la fine di una Seconda Guerra Mondiale combattuta ufficialmente per
fermare la minaccia del nazi-fascismo e in difesa della democrazia, gli
Stati Uniti hanno assoldato migliaia di ex membri del regime nazista da
impiegare come spie, informatori o ricercatori, nonostante il passato
da criminali di molti di loro fosse ben noto alle agenzie di
intelligence americane.
La notizia è tutt’altro che nuova ma un libro pubblicato questa settimana negli Stati Uniti (The Nazis next door: how America became a safe haven for Hitler’s men) e scritto dal reporter del New York Times,
Eric Lichtblau, racconta alcuni particolari nel dettaglio e rivela una
collaborazione tra la CIA, così come altre agenzie governative, e gli ex
nazisti decisamente più profonda rispetto a quanto era noto finora.
I
piani più “aggressivi” per reclutare ex nazisti vengono attribuiti
soprattutto agli sforzi messi in atto negli anni Cinquanta dall’FBI
sotto la guida di J. Edgar Hoover e dalla CIA di Allen Dulles. Il
desiderio di avere a disposizione individui ben addestrati in vari ambiti
- da quello militare a quello scientifico o dell’intelligence - per
essere utilizzati in funzione anti-sovietica aveva prevalso su qualsiasi
altro scrupolo, tanto che Hoover, ad esempio, era solito respingere le
accuse nei loro confronti come propaganda di Mosca.
Molti degli
ex nazisti a cui fu garantito l’accesso negli Stati Uniti erano noti
criminali di guerra e, ciononostante, i vertici della sicurezza
nazionale americana non solo li avrebbero ingaggiati ma sarebbero giunti
ad adoperarsi per ostacolare varie indagini nei loro confronti.
Il
libro di Lichtblau si basa sul lavoro di un gruppo di ricerca negli
Stati Uniti che si occupa di identificare e classificare documenti
relativi ai crimini nazisti e del Giappone imperiale. Alcuni documenti
analizzati dall’autore contribuiscono a fare maggiore luce anche
sull’impegno del governo USA nel creare una nuova agenzia di
intelligence nella Germania dell’Ovest (BND) dopo la fine del conflitto.
Già
una ricerca di alcuni storici del 2004 aveva mostrato come il numero
uno dei servizi segreti nazisti sul Fronte Orientale, generale Reinhard
Gehlen, fosse stato scelto dai militari americani per mettere in piedi
il primo nucleo dell’intelligence tedesco-occidentale. Gehlen scelse
personalmente un centinaio di ex nazisti che avevano avuto incarichi di
spicco nell’esercito o nei servizi segreti del Reich.
Il
gruppo di spie finite successivamente sul libro paga della CIA
includeva allo stesso modo ex nazisti che avevano operato ai vertici del
regime di Adolf Hitler, come l’ex ufficiale delle SS, Otto von
Bolschwing. Quest’ultimo era molto vicino ad Adolf Eichmann, del quale
condivideva la teoria della “Soluzione Finale”, essendo stato autore di
scritti programmatici sullo sterminio degli ebrei.
Dopo la
guerra, scrive Lichtblau, Bolschwing era stato assoldato dalla CIA come
spia in Europa e nel 1954 venne trasferito a New York assieme alla
famiglia. L’agenzia di intelligence americana scriveva a proposito
dell’ex SS che la residenza negli USA gli era stata offerta come “premio
per i suoi fedeli servizi nel dopoguerra e alla luce dell’irrilevanza
delle sue attività nel partito [Nazista]”.
La protezione della
CIA non doveva tuttavia lasciare troppo tranquillo un uomo con il
passato di Bolschwing, visto che l’ex nazista, dopo la cattura di
Eichmann da parte degli israeliani in Argentina nel 1960, manifestò ai
suoi nuovi padroni americani la preoccupazione di venire catturato allo
stesso modo.
Anche la CIA stessa era in apprensione, poiché
l’eventuale arresto di Bolschwing avrebbe potuto esporre il suo passato
da “collaboratore” di Eichmann, risultando “imbarazzante” per il governo
USA. Due agenti della CIA incontrarono però Bolschwing nel 1961 e gli
assicurarono che l’agenzia non avrebbe rivelato i suoi legami con
Eichmann. Bolschwing sarebbe così vissuto indisturbato per altri
vent’anni prima di essere scovato e messo sotto accusa. Nel 1981
rinunciò alla cittadinanza americana e morì alcuni mesi più tardi.
Un
altro caso raccontato dal libro appena pubblicato è quello del
collaboratore dei nazisti in Lituania, Aleksandras Lileikis, collegato
dagli stessi documenti della CIA al massacro di 60 mila ebrei a Vilnius.
Nonostante i sospetti sulle sue responsabilità e il fatto che fosse
“sotto il controllo della Gestapo durante la guerra”, Lileikis venne
assunto dalla CIA nel 1952 per condurre attività di spionaggio in
Germania dell’Est.
Quattro anni più tardi sarebbe stato anch’egli
accolto negli USA, dove ha vissuto in pace per quasi quarant’anni prima
di venire scoperto nel 1994. Il Dipartimento di Giustizia USA si
sarebbe dovuto però scontrare con l’ostruzionismo della CIA, da dove si
invitava a insabbiare il caso per evitare la diffusione di informazioni
imbarazzanti per l’agenzia di intelligence.
Lileikis
fu alla fine deportato in Lituania ma la CIA si sarebbe distinta
nuovamente per i suoi sforzi nel nascondere il passato criminale del
proprio uomo. In una comunicazione classificata trasmessa alla
commissione della Camera dei Rappresentanti per i Servizi Segreti, la
CIA aveva infatti ammesso l’utilizzo di Lileikis come spia, negando però
di essere a conoscenza delle sue “attività in tempo di guerra”.
Nel
1980 fu invece l’FBI a respingere le richieste del Dipartimento di
Giustizia di consegnare documenti e informazioni relativi a 16 sospetti
ex nazisti residenti negli Stati Uniti. L’atteggiamento dell’FBI era
dovuto al fatto che i 16 individui erano stati tutti suoi informatori,
resisi utili, tra l’altro, nel fornire notizie relative a “simpatizzanti
comunisti”.
Tra le personalità legate al nazismo che
collaborarono con la CIA ci sono stati anche svariati scienziati che il
governo USA sapeva essere coinvolti in esperimenti pseudo-medici su
esseri umani. Gli scienziati nazisti furono reclutati a partire dal
1945, quando il precursore della CIA - l’Office of Strategic Services
(OSS) - fu autorizzato dall’amministrazione Truman a mettere in atto il
cosiddetto progetto “Paperclip”.
In base a questo piano giunsero
negli USA almeno 1.500 scienziati tedeschi legati al regime hitleriano. A
costoro sarebbe stata garantita la possibilità di continuare a svolgere
l’attività scientifica nella loro nuova patria dopo avere firmato una
dichiarazione nella quale erano tenuti a spiegare le ragioni
dell’adesione al Partito Nazista.
Tra gli scienziati ingaggiati
dalla CIA figurava il dottor Hubertus Strughold, fortemente sospettato
di avere condotto raccapriccianti esperimenti anche su bambini.
Strughold era stato messo sotto indagine nell’ambito del processo di
Norimberga ma le accuse furono lasciate cadere nel 1947. Di lì a poco,
il medico nazista sarebbe stato trasferito in Texas, dove gli fu
garantito un impiego per l’aeronautica militare americana, mentre alcune
successive inchieste avviate nei suoi confronti dal sistema giudiziario
degli Stati Uniti non avrebbero avuto alcun successo.
Complessivamente, i documenti citati dal giornalista del New York Times
indicano almeno un migliaio di ex nazisti al servizio della CIA,
dell’FBI e di altre agenzie USA dopo la Seconda Guerra Mondiale. Secondo
gli stessi ricercatori, tuttavia, il numero reale deve essere molto
superiore, dal momento che parecchi documenti restano tuttora
classificati.
Il
recentissimo studio, assieme a molti altri pubblicati in passato,
contribuisce dunque a rivelare l’atteggiamento indiscutibilmente
benevolo nei confronti del nazismo da parte delle sezioni più potenti e
influenti della classe dirigente americana dopo la Seconda Guerra
Mondiale.
A motivare la collaborazione con individui macchiatisi
di crimini atroci, e che incarnavano un’ideologia e un sistema di potere
dittatoriale che gli Stati Uniti e i loro alleati sostenevano dovessero
essere annientati con la forza, era in sostanza il timore dell’Unione
Sovietica e dei fermenti rivoluzionari seguiti al conflitto.
L’impiego
senza scrupoli di criminali nazisti per il raggiungimento degli
obiettivi dell’imperialismo americano rende infine evidente come i
valori della “democrazia” e della lotta al nazi-fascismo - con una eco
inquietante che ricorda l’attuale “guerra al terrore” - fossero per il
governo di Washington poco più di espedienti retorici per mobilitare
l’opinione pubblica e intervenire in una guerra da combattere in difesa
di interessi decisamente meno nobili.
Fonte
Ormai le dimostrazioni che il capitalismo va a braccetto con le ideologie e gli autoritarismi più biechi si sprecano.
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