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27/10/2014

Il Giovane Favoloso. Come imparammo a non preoccuparci e ad odiare Leopardi


Al netto della subdola operazione commerciale alla base del film, possiamo serenamente considerare «Il giovane favoloso» di Mario Martone «una cagata pazzesca», per dirla con il più grande e sottovalutato critico cinematografico dei nostri tempi, il ragionier Ugo Fantozzi.

Il disastro più apprezzato dal pubblico di questo mesto 2014, ha radici antichissime nella distruzione della scuola pubblica, generazioni di insegnanti senza qualità che hanno restituito agli studenti l'immagine di un Leopardi che può essere tante cose ma che certamente non è Giacomo Leopardi. Sul poeta recanatese, d'altra parte, la critica italiana sbatte il muso da anni: non lo capisce probabilmente, è preda di vecchi equivoci, si comporta come se non fossero mai esistiti Francesco de Sanctis e Sebastiano Timpanaro, i due maggiori studiosi leopardiani dell'Ottocento e del Novecento. Anche l'ultima bandiera (Emanuele Severino) sventola ormai su una trincea abbandonata: il destino è consegnato a manuali scolastici scritti da mestieranti, la critica letteraria è morta e sepolta. Il finanziere Davide Serra, dal palco della Leopolda, ha esternato una sensazione ormai comune: «La cultura umanistica ha fatto il suo tempo». Fa male ammetterlo, ma malgrado l'evidente bestialità di un pensiero del genere, non si può negare che, almeno in Italia, tutti la pensano così. Leopardi è un soggetto cinematografico, non un poeta.

Insomma, l'idea comune che – ahinoi – si ha di lui è quella di uno sgorbio, gobbo e abbrutito, un “segaiolo” che guardava Silvia dalla finestra di fronte. Martone e i suoi sceneggiatori, ma senza grande fantasia, provano a fare un discorso diverso, rovesciando l'apparente depressione leopardiana e trasformando la sua vita in un curioso quanto improbabile inno alle bellezze di un'esistenza che deve essere «favolosa» malgrado i noti tormenti fisici. La verità – e questo l'hanno capito recentemente alcuni studiosi angloamericani – è che la grandezza di Leopardi è tutta interiore, spirituale, morale: in altre parole, la sua biografia è davvero poco interessante, quello che conta è la poesia, il pensiero, il mondo che Leopardi vedeva oltre l'ermo colle, non l'ermo colle stesso.

Ma nel «Giovane favoloso» di poesia non ce n'è manco l'ombra.
Martone, però, è un regista furbo: alterna grandi inquadrature del paesaggio marchigiano con un ritmo a tratti serrato, quasi da thriller, interrotto bruscamente da pause a effetto e stacchi musicali imbarazzanti. Insomma, si gioca la carta del minestrone – forse – consapevole del fatto che l'unico modo per sfangarla era buttarla in caciara. L'intenzione, insomma, è di far credere di aver fatto un film erudito, un po' cerebrale, molto arzigogolato: l'ennesima variazione sul tema del fumo negli occhi, in sintesi.

Quello di Martone è un film complicato ma non complesso, difficile ma banale, ambizioso ma privo di idee, una prova tecnica di intellettualismo che fallisce proprio là dove servirebbe un salto di qualità dalla lezioncina da terza media al grande cinema. Questo passaggio, è evidente, non riesce a Martone, che finisce per compilare un compitino senza qualità, scolastico: «La mia patria è l'Italia, la sua lingua e la letteratura», dice a un certo punto il giovane Giacomo. Il sottinteso è che proprio in Leopardi si trovano le radici della contemporaneità. Non si capisce se si tratti di un'accusa o di una celebrazione, anche perché la verità è che le Marche (e l'Italia tutta) dai tempi di Leopardi è cambiata poco e male. E non è un caso che lo stesso poeta arrivò a definire questa valle di lacrime come suo «natio borgo selvaggio», popolato da gente zotica e vile, con nomi improbabili, innervosita dal (giustificatissimo) complesso di superiorità che Leopardi nutriva nei suoi confronti.

Lui era un poeta troppo grande per questo mondo, Martone è un pollo dell'allevamento veltroniano che ha prestato la sua cinepresa alla campagna turistica del governatore marchigiano Gian Mario Spacca, alla disperata ricerca di una terza elezione. Ecco, questa è la spiegazione reale del «Giovane favoloso», chi vive da queste parti lo sa bene, al di là del proprio gusto personale, che sta all'arte più o meno come l'opinione sta al pensiero. Cioè, il nulla.

Un paragone azzeccato può essere fatto con l'Iliade riscritta da Baricco ad uso e consumo dell'analfabetismo moderno: depurare le parti che si pensano «pallose» per lasciar spazio al pop più deprimente. Uccidere la cultura per generare intrattenimento, ma con velleità da pensatori: guai a dire che la colpa è stata di Berlusconi, lo sfacelo culturale contemporaneo è al 90 percento imputabile alla sinistra accademica, inutile girarci intorno. Verrà un giorno in cui i responsabili di tutto questo «pagheranno caro e pagheranno tutto». Per il momento dobbiamo tenerci Martone.

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