Chiara Cruciati – il Manifesto
Quattro giorni
di offensiva senza tregua: a Kobane lo Stato Islamico ha tentato di
nuovo ieri di prendere il controllo della zona nord e separare la città
curda dal confine con la Turchia. Le Unità di protezione popolare (Ypg)
hanno fermato l’avanzata, ancora sole: i 200 peshmerga
promessi dal Kurdistan iracheno non sono arrivati, bloccati – dicono –
da «problemi tecnici» riguardanti il loro passaggio in territorio turco.
La corsa allo scaricabarile prosegue: il presidente turco Erdogan imputa il mancato arrivo a Kobane dei peshmerga alle Ypg e al Partito di Unione Democratica, vicino al Pkk. «Il Pyd non vuole i peshmerga a Kobane. Pensa che il suo gioco sarà distrutto se arriveranno». Risponde Saleh Muslim, leader del Pyd: è la Turchia a ritardare l’arrivo.
Uno scambio di accuse figlio della distanza politica tra Rojava e
Ankara che non intende intervenire a fianco dei kurdi siriani per non
rafforzare la resistenza kurda e in particolare il Pkk.
Secondo il comandante dell’unità di peshmerga inviati in
Siria, i combattenti sono pronti a partire, «equipaggiati con le
migliori armi americane». Armi che non saranno lasciate a Kobane,
rassicurano dal Kurdistan iracheno, su espressa richiesta di Turchia e
Stati Uniti che vogliono evitare che cadano in mano ai combattenti di
Ocalan e alle Ypg. Allo stesso tempo, dice il portavoce della regione
autonoma del Kurdistan Dizayee, i peshmerga non saranno impegnati in combattimenti diretti ma sosterranno con l’artiglieria i kurdi siriani.
La lentezza di azione caratterizza ormai da agosto
l’intervento della coalizione guidata dagli Usa. I diktat imposti dai
vari attori in campo – dalla Turchia all’Arabia Saudita – ognuno con una
propria agenda politica, frenano gli sforzi ancora inefficaci del
fronte anti-Isis. Sia in Iraq sia in Siria. In Iraq non passa
giorno senza che si registri un nuovo attentato suicida nella capitale,
ormai circondata all’esterno dai miliziani dell’Isis e massacrata
all’interno.
Ieri l’ennesimo attacco ha provocato 34 morti, tra miliziani
sciiti e soldati governativi, a Jurf al-Sakhar, 50 km a sud di Baghdad.
Il controllo della città era stato riassunto dall’esercito governativo
il giorno prima, dopo un’occupazione islamista di quasi 4 mesi.
L’instabilità che scuote Iraq e Siria ha effetti diretti
anche nel vicino Libano. Da venerdì il nord del Paese dei Cedri è
insanguinato dalla dura battaglia tra esercito regolare e miliziani
islamisti probabilmente affiliati all’Isis. ll bilancio delle vittime nella città di Tripoli è salito a 19 (8 civili e 11 soldati), a cui si aggiungono 22 miliziani.
Ieri l’esercito è riuscito a riassumere il controllo dell’ultima
postazione islamista, nel quartiere di Bab al-Tabbaneh, facendo tornare
la calma in città: ripresa la moschea Abdullah bin Masoud, roccaforte
dei comandanti delle milizie islamiste. Centinaia di famiglie sono
fuggite durante un breve e informale cessate il fuoco umanitario. Tanti i
civili ancora intrappolati nell’area del mercato, teatro degli scontri
più duri.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento