“Qui si aggiunge una seconda avvertenza, per l’Italia: la sua ritrovata centralità geografica equivale, in questo momento, a delicatezza geopolitica; e si somma alla nostra vulnerabilità economica. In queste condizioni, evitare una spaccatura fra Atlantico ed Eurasia è per l’Italia decisivo. Il nostro Paese rischia in effetti di essere, più che un crocevia, un incrocio pericoloso. Sulla nostra penisola, economicamente ancora dominata dai rapporti intra-europei, si scarica oggi l’impatto congiunto di quattro fattori esterni: i flussi di persone vengono principalmente dall’Africa; il gas viene anche e soprattutto dalla Russia (oltre che dal Mediterraneo); nuovi investimenti finanziari vengono dalla Cina; la protezione militare viene ancora largamente dagli Stati Uniti. Africa, Russia, Cina, Stati Uniti. L’Italia non è solo sovra-esposta verso Est e verso Sud; è in sé un Paese di faglia. Di faglie, anzi. E ha alle spalle un’Europa che un tempo funzionava come vincolo ma anche come antidoto a collocazioni troppo incerte; oggi appare soprattutto un vincolo, che in qualche modo l’Italia è anzi spinta a forzare, sotto l’impatto della crisi economica, cercando sponde esterne. In una sorta di circolo vizioso, quanto più l’Europa di centro guarda con diffidenza alle fragilità dell’Italia, tanto più le faglie si allargano. Gestire un incrocio rischioso del genere non è affatto facile”. (Marta Dassù, Ritornare sulla Via della Seta – La Stampa 17 ottobre 2014)
Già analista del Cespi, il centro studi strategici del fu Pci, oggi la Dassù è atlantista sfegatata, portavoce del Dipartimento di Stato Usa in Italia e animatrice della filiale italiana Aspen Institute, nonché già sottosegretaria agli Esteri del governo Letta. Pezzo pubblicato sull’amerikana La Stampa, e la dice tutta. Che cosa? Sono preoccupati, e tanto, a Washington. Il foglio, durante le giornate della visita del Premier cinese Li Keqiang, riferiva di una forte irritazione degli americani circa l’attivismo finanziario cinese in Italia e rimproveravano alla dirigenza italiana le vendita del 35% di Cdp Reti, in pratica la rete energetica italiana. Nel giro di 6 mesi a Piazza Affari sono arrivati ordini di acquisto di azioni di società strategiche italiane da parte della People’s Bank of Chia per circa 8 miliardi di euro, altri 6 miliardi sono acquisizioni di 200 medie imprese italiane da parte di investitori cinesi. Durante la conferenza stampa, in merito agli accordi con l’Italia per otto miliardi di euro, il Premier Keqiang ha avvertito gli italiani che questo sono solo una parte degli investimenti complessivi che hanno in mente. Chissà perché al traduttore cinese gli è venuto in mente di tradurre ciò che affermava Keqiang nella frase “ una piccola parte”... Reti energetiche, società energetiche, fondi di private equity, elicotteri, turismo, telecomunicazioni, finanza, società industriali... e infrastrutture. Hanno iniziato con un piccolo aeroporto, con un investimento di 250 milioni di dollari. Quello di Parma sarà specializzato in cargo-merci con 9 voli settimanali da e per Pechino. Ma tengono d’occhio anche la probabile fusione tra Malpensa, Linate e l’aeroporto bresciano di Montichiari. Logistica, dunque. In attesa che si spostino al Sud, dove hanno messo l’occhio su Taranto e sullo stesso, si spera, porto commerciale di Crotone, politici locali permettendo, visto che l’interesse è forte.
Sempre il 17 ottobre
Il Sole 24 Ore intervistava il manager tedesco Ulrich Bierbaum, a capo
delle divisione Europa dell’agenzia di rating cinese Dagong, che parlava
di investimenti cinesi negli ultimi mesi per 6,9 miliardi di euro, al
secondo posto dopo la Gran Bretagna. Finirà qui? Leggiamo: “una cifra
destinata a salire con l’interesse crescente non solo nei grandi player,
ma anche nelle piccole e medie imprese dei settori dell’ingegneristica,
informatica, componentistica, realtà in fase di torna round (vale a
dire ricambi generazionali..) e con asset sottovalutati, ma con
potenzialità di crescita nel medio periodo”. Questo per le imprese
industriali, ma il loro vero obiettivo sono le municipalizzate - per le
quali si prospettano fusioni con la regia della Cassa Depositi e
Prestiti assieme al fondo sovrano cinese CIC - e le infrastrutture.
Seguiamo ancora il manager tedesco: “ in Italia anche i trasporti hanno
ampi margini di crescita, in particolare le autostrade che dall’inizio
della crisi hanno perso il 10% del traffico. Una combinazione di fattori
che vanno dalle necessità di manutenzione e di ristrutturazione della
rete, insieme alle ristrettezze dei fondi governativi, rendono attraente
l’investimento nel lungo termine”. Già, il lungo termine, concetto che
non capiscono a Berlino e a Washington, abituati alle trimestrali e
incapaci di prevedere i prossimi decenni. Il faro dei cinesi è tutto il
Sud Europa, in particolare la Grecia, e in quest’area loro prevedono
investimenti infrastrutturali per 200 miliardi di euro. Chi metterà i
soldini? Ah, saperlo... Ma guarda caso si incomincia a parlare, dopo il
mega accordo di 400 miliardi di dollari con la Russia per la fornitura
di gas alla Cina, di un Piano Marshall cinese per l’Europa meridionale.
Lungo termine, verso cosa? Ritorniamo indietro. Alla fine degli anni
novanta la dirigenza cinese, con il piano quinquennale, adottò il “Piano
nazionale della Logistica” volto a velocizzare in tutto il paese lo
scambio di merci. Furono investiti migliaia di miliardi di dollari per
ferrovie ad alta velocità, autostrade, autostrade dei fiumi, porti,
aeroporti, prima nall’area costiera ed in seguito nell’arretrato Ovest.
In quest’ultima area si indirizzarono le più importanti risorse alla
fine degli anni duemila, rafforzati con il Piano di Urbanizzazione da 5
mila miliardi di dollari di due anni fa. Il successo di Alibaba non può
spiegarsi senza questi mega investimenti infrastrutturali. Poi cambia
qualcosa. Nel marzo 2013 si insedia il nuovo Presidente Xi Jinping il
quale lancia il motto di “via della seta euroasiatica” e “via della seta
marittima”. Un anno dopo ecco l’accordo sul gas con la Russia da 400
miliardi di dollari e il piano di creazione di una rete ferroviaria ad
alta velocità Pechino-Mosca (200 miliardi di dollari) che in futuro
potrebbe arrivare fino a Dortmund. L’economista De Cecco parlò due anni
fa di una probabile industrializzazione russa ad opera dei cinesi. Ma è
il secondo motto che ha implicazioni geopolitiche enormi. Xi parla della
nuova Cina come “futura potenza navale”. Se con il primo motto si
realizza l’incubo di Mackinder, il geografo inglese che agli inizi del
Novecento voleva impedire l’asse euroasiatico, con il secondo si rimanda
all’Ammiraglio americano Mahan, il quale affermava che chi controlla le
rotte marittime controlla le Rimland (vale a dire i paesi marittimi che
circondano l’Heartland euroasiatico) e controlla il mondo. Ecco accordi
con la Birmania, il Pakistan, l’India, lo Sri Lanka, l’Egitto (che
raddoppierà nel giro di pochi anni il Canale di Suez). Dove finisce la
“Via della Seta marittima”? Guarda caso in Italia... Ecco perché Li Keqiang
informava gli italiani che quelli visti finora sono solo “una piccola
parte” degli investimenti futuri. Il protagonista indiscusso è la
People’s Bank of China, ma c’è da dire che la strategia cinese della via
della seta marittima coinvolge migliaia di imprese pubbliche, le
quattro maggiori banche pubbliche, il governo e il loro fondo sovrano,
una potenza di fuoco finanziaria che gli americani si sognano, visto
che loro per “fuoco finanziario” intendono unicamente il
Quantitative Easing, cioè asset inflation.
Dunque, l’Italia è una
faglia. La Dassù invita al “pragmatismo” ed in fondo vuole una sorte di
G2 (USA+Cina) in Italia in funzione antitedesca. Il 12 novembre Obama
sarà in visita a Pechino. Il G2 finanziario è in vigore a livello
mondiale dal 2001, entrata della Cina nel WTO. La raffinatezza
diplomatica imporrebbe uno scenario del genere, ma la foga
imperialistica americana è dura da contenere. Due anni fa (Dal fronte esterno al fronte interno, strategie di liberazione nazionale, Marx XXI, dicembre 2012)
esortavamo l’arrivo dei cinesi in Italia e una sorta di raffinatezza
diplomatica con gli americani per non impedire tutto ciò. Lo scenario
ipotizzato si è appena aperto e, se dovesse continuare con più vigore,
il nostro Paese potrebbe uscire dalla tenaglia austro-monetarista
tedesca, che è al momento il primo obiettivo. Vedremo cosa faranno gli
americani. Ci vorrà pazienza e lungimiranza, oltre che analisi accurate
per capire le mosse dei cinesi e degli americani. Si spera comunque che
da Washington non riparta la stagione delle bombe o l’utilizzo in Italia
dell’ISIS per contrastare l’avanzata cinese nel nostro Paese. Il primo
obiettivo è cacciare gli austromonetaristi della Trojka dall’Italia e i
loro collaborazionisti.
Certo si è aperta una nuova pagina, anche per noi.
Certo si è aperta una nuova pagina, anche per noi.
Fonte
Articolo interessantissimo, io dissento parzialmente giusto sui toni, che per la materia trattata hanno senso d'essere esaltanti, ma in quel che si muove io ci vedo uno prospettiva di lottizzazione del paese che somiglia di più ai periodi delle signorie che non a quello di una nazione in grado di tutelare gli interessi della propria popolazione anche attraverso una geopolitica "di fino"
Articolo interessantissimo, io dissento parzialmente giusto sui toni, che per la materia trattata hanno senso d'essere esaltanti, ma in quel che si muove io ci vedo uno prospettiva di lottizzazione del paese che somiglia di più ai periodi delle signorie che non a quello di una nazione in grado di tutelare gli interessi della propria popolazione anche attraverso una geopolitica "di fino"
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