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27/10/2014

L'incanto si è rotto


Se il Pd fosse un partito serio la scissione sarebbe cosa fatta. La contrapposizione tra le piazze di questi giorni e la spocchia della Leopolda non potrebbe infatti essere più netta.

Naturalmente non stiamo parlando di un partito vero, quindi non appare prevedibile nell'immediato nessuna scissione. Troppo netto il divario tra la corte renziana (un conducator, un discorso reazionario ma coerente, un piccolo stuolo di aspiranti a entrare nella “classe dirigente” grazie solo al proprio mettersi a disposizione, come nelle vecchie clientele democristiane) e il pulviscolo disperso della “vecchia guardia”. La quale si sfarina a ogni dichiarazione, tra chi “non ci pensa nemmeno ad andarsene”, chi “vuol restare per rovesciare la maggioranza”, chi aspetta tempi migliori e chi è già rassegnato a esser fatto fuori ma non si candida a promuovere una scissione. Meglio così. Di tutto abbiamo bisogno meno che di un altro pezzo di establishment  di ex sinistra che si mette a costruire un nuovo “cartello elettorale più largo e inclusivo”, senza ragionare su quel che sta accadendo e soprattutto sulle tendenze che il renzismo sta solo interpretando.

Ma una rottura, netta, c'è stata e non va sottostimata, visto che sembrava di vivere in un modo incantato e perverso, dove i padroni chiedevano di licenziare, il governo diceva sì e i lavoratori dovevano apparire contenti. Questo incanto si è rotto.

È una rottura sociale con grande potenziale politico, ma senza sponda politica. Il mondo del lavoro dipendente, per quanto incerto sulla direzione da prendere, ha identificato con chiarezza il renzismo come “il nemico”. Era così nelle cose, nelle politiche economiche, nei programmi di governo; ma non ancora nella consapevolezza di massa. O perlomeno non in forma così netta ed esplicita, solare. È una rottura che riguarda tutto il lavoro dipendente, sia nella parte residuamente “stabile” che nell'oceano della precarietà o della disoccupazione.

Di più. Si è incrinata seriamente la possibilità di gestire il passaggio di modello sociale come un “conflitto generazionale”. Veniamo da anni di propaganda liberista che ha fatto strage nei cervelli anche di “ultrasinistra”, imponendo lo schemino per deficienti “giovani precari” versus “anziani garantiti”. La realtà sociale di tutti i giorni ci mette davanti schiere di lavoratori anziani o di mezza età precari, disoccupati, esodati, “esuberi” e finanche milioni di già pensionati che non arrivano a metà mese. Alla ThyssenKrupp come a Meridiana, di nuovo in Alitalia come in mille altre aziende grandi o piccolissime, la strategia padronale punta a buttar fuori lavoratori di qualsiasi età coperti da un contratto a tempo indeterminato per sostituirli con altri – magari addirittura le stesse persone fisiche – senza più garanzie contrattuali e normative. Chi ha visto accapigliarsi nello studio di Lucia Annunziata un gruppo di “giovani del Pd” equamente divisi tra renziani e no, ha potuto – nella bolgia – riconoscere frammenti di interessi “di classe” contrapposti a “parole” pensate per nascondere i contenuti. E identificarsi, a prescindere dall'età...

Del resto, dopo trenta anni di “politiche per i giovani”, che hanno prodotto o favorito una disoccupazione generazionale salita oltre il 40%, diventa difficile raccontare ancora che la distruzione dei diritti facilita l'occupazione degli under di qualsiasi età...

Anche dall'alto – da parte dello stesso Renzi e dei suoi cortigiani – c'è stata una rottura decisa. Di portata storica. Il tormentone ammannito a tutti i media – “non esiste più il posto fisso”, quindi “non ha più senso una sinistra dei diritti del lavoro” – ha assunto i connotati di un passaggio d'epoca: il capitalismo non promette più maggiore benessere per tutti, ma solo maggiore “competizione”. Fra individui, imprese, paesi, continenti...

Dobbiamo partire da questa constatazione. La “sinistra” della concertazione, del keynesismo (moderato, per carità), della mediazione al ribasso, ecc. non ha più alcuna possibilità di recupero. Il modello sociale che l'Unione Europea sta imponendo – e che Renzi interpreta all'italiana, mediando con il grosso del blocco sociale berlusconiano – non prevede più alcun “patto tra i produttori”, nessun compromesso tra capitale e lavoro. Conta solo l'impresa. I suoi interessi sono “l'interesse del paese”, i suoi modelli di “governance” sono la nuova architettura istituzionale. E che si fotta la democrazia, come annunciato nero su bianco dalla J.P. Morgan.

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