“I miliziani [jihadisti, ndr] hanno due possibilità: morire o ritirarsi dalla battaglia”. Parola di Hassan Nasrallah,
leader di Hezbollah, che durante la riunione annuale degli studiosi
islamici ha parlato dell’avanzata dello Stato islamico in Libano e delle
strategie di difesa intavolate dal Partito di Dio il quale, ancora una
volta, sembra delinearsi come unica forza militare capace di proteggere
il Paese dai gruppi jihadisti che minacciano l’intera regione.
“Incapaci di invadere la valle della Bekaa”, come ha
assicurato il leader di Hezbollah, i jihadisti sarebbero, secondo lui,
“circondati e intrappolati” tra le montagne al confine tra Siria e
Libano e condannati a morire di freddo o a ritirarsi da civili.
Nasrallah ha parlato di frontiera sicura – pur ammettendo che le
infiltrazioni dello scorso mese che hanno colpito i check-point del
movimento a Brital e ad Assal al-Ward sono state “degli errori che si
sono già risolti. Neanche le potenze più avanzate possono essere sicure
al 100 per cento”, ha detto, affermando di essere “ogni giorno più
sicuro del fatto che la nostra battaglia in Siria è per la protezione
del Libano”. Parole che risuonano ostili a una certa fetta del
Parlamento, quella della coalizione anti-siriana e pro-occidentale del
14 Marzo che addossa al Partito di Dio l’intera responsabilità della
presenza jihadista in Libano per la sua partecipazione al conflitto
siriano al fianco del presidente Bashar al-Assad.
Il Paese, asserragliato dalle vicende siriane, dopo aver a lungo
assistito allo scontro tra le fazioni pro e anti-Assad nella città
settentrionale di Tripoli, all’impianto di numerose cellule jihadiste
provenienti dalle sguarnite frontiere settentrionali e orientali, a una
stagione di attacchi agli obiettivi sciiti nella capitale, ora si
ritrova a dover contenere l’avanzata dei miliziani qaedisti nella valle
della Bekaa. Nell’ultimo assalto, avvenuto all’inizio di
agosto, centinaia di jihadisti avevano fatto irruzione nella cittadina
di frontiera di Arsal, occupandola in poche ore, sequestrando una
trentina tra soldati e poliziotti e lasciando sul terreno 42 civili, 17
soldati e un numero imprecisato di miliziani uccisi.
Eppure, il partito di Dio ne esce nuovamente premiato. Soprattutto dai Cristiani.
Secondo un sondaggio effettuato tra il 15 e il 17 ottobre scorso dal
Beirut Center for Research and Information, il 66 per cento dei
Cristiani intervistati ha espresso il suo supporto per la partecipazione
di Hezbollah nel conflitto siriano contro le milizie jihadiste,
contro il 39 per cento del giugno 2013 e il 53 per cento del febbraio
2014. Inoltre, il 58 per cento sarebbe contrario a sostituire le
postazioni Hezbollah con quelle dell’UNIFIL per proteggere le frontiere
nord-orientali dalle infiltrazioni jihadiste. E il 65 per cento non crede che la presenza qaedista in Libano sia dovuta a Hezbollah e alla sua presenza nel conflitto siriano.
Cresce anche l’influenza dell’Iran nel Paese dei Cedri.
Dopo gli appelli dei politici libanesi alla coalizione internazionale a
equipaggiare e addestrare l’esercito libanese, troppo debole
e incapace per difendere le frontiere, e dopo la promessa fatta
dall’Arabia Saudita, alleata della coalizione “14 marzo” (fronte
anti-siriano) di donare tre miliardi di dollari per comprare armi dalla
Francia per le truppe di Beirut – un accordo mai implementato, secondo
il portale Middle East Online – ora il governo libanese guarda a Teheran.
Il ministro della Difesa libanese Samir Moqbel è
appena tornato da una tre giorni nella capitale iraniana per discutere
di strategie di protezione per il Libano e di armamenti da ricevere
dalla Repubblica islamica per fronteggiare lo Stato islamico.
L’incontro, stando alle parole del ministro della Difesa iraniano Hossein Dehghan riportate dall’agenzia Mehr, è stato molto proficuo e l’Iran
“è pronto a fornire al Libano tutto il necessario per difendersi dal
nemico comune”, spiegando che si tratta di “equipaggiamenti per le
truppe di terra” e lasciando trapelare la possibilità di poter anche
addestrare l’esercito libanese. Ora si attende la risposta del governo di Beirut, ma - come spiega l’Associated Press - c’è il timore da parte di alcune forze politiche e dagli Stati Uniti che le armi vengano usate contro Israele.
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