In un intervento su The Guardian Soumaya Ghannoushi, figlia dell’anziano leader del partito islamico tunisino, espone entusiasticamente la via del “nutrimento della democrazia” compiuta da Ennadha. Lo fa il giorno delle elezioni, dunque prima di conoscere i risultati che non premiano quel partito, staccato in maniera netta dal raggruppamento conservatore laico Nidaa Tunis, vincitore col 38%, e riconosciuto come tale dalla fazione islamica. Forse a casa Ghannoushi non s’attendeva la consistente flessione, ma il ragionamento della figlia d’arte è comunque incentrato sulla bontà dell’esperimento tunisino, soprattutto se raffrontato al panorama delle iniziali Primavere arabe che hanno visto Yemen e Bahrein scomparire sotto i primi fuochi della repressione, l’Egitto autore di molteplici vicende sino al tragico epilogo del colpo di Stato che ripristina antiche oppressioni, la Libia finire nel caos tribal-banditesco, la Siria trasformare l’iniziale contrasto e poi guerra civile in un laboratorio per la dissoluzione del Paese che con l’assalto jihadista infiamma l’intero Medio Oriente.
Punti fermi d’un processo migliorativo di alcune condizioni della nazione tunisina, partita dalla convivenza fra due blocchi (laico e religioso) che altrove produce solo polarizzazione e conflitti, è l’accettazione e il conseguente rispetto per le diversità, di cui l’Islam moderato di Ennadha è stato capace. Il cui passo fondamentale è la discussione e riscrittura della nuova Costituzione, in vigore dallo scorso gennaio, che preserva l’Islam ma rispetta la libertà di culto di altre fedi, garantisce parità fra i generi, assieme a diritti civili e democratici per la popolazione. Lo sguardo è rivolto all’Egitto, dove questo non è avvenuto per errori di settarismo del più invasivo Islam politico della Fratellanza Musulmana. Certamente i passi della leadership di Ennadha sono stati più accorti, specie quando, durante il suo governo, alcuni inquietanti episodi hanno condotto all’uccisione da parte di miliziani del jihadismo interno (Ansar Al-Sharia) dei leader dell’opposizione Brahmi e Belaid. Ma qui l’esercito che pure, come ricorda la Ghannoushi, veniva percepito dalla popolazione come difensore della nazione, non aveva invaso il terreno politico alla maniera delle Forze Armate egiziane.
Né aveva perpetrato stragi e colpi di mano com’è accaduto per mesi nelle città egiziane sino all’epilogo del golpe bianco, tintosi del sangue dei militanti islamici repressi e uccisi nell’agosto 2013. L’opposizione tunisina, che con l’uccisione di due suoi esponenti di spicco riscontrava un attacco ferale, pur chiedendo a gran voce le dimissioni del governo islamico, accettava nella successiva fase del governo di transizione di dialogare con gli avversari e cercare una strada compromissoria per la nuova Carta Costituzionale. Tutto ciò in Egitto non è accaduto per colpe reciproche dei due raggruppamenti. L’abbrivio fu dato dalla sponda laica. Ben due Assemblee Costituenti vennero avversate e disertate dai vari Moussa, El Baradei, Sabbahi e da intellettuali a loro prossimi, per tacere della vecchia guardia mubarakiana. Certo in quella sede la componente salafita sosteneva posizioni sicuramente inaccettabili per il mondo laico, ma nessuno si fermò a dialogare, misurare, patteggiare una Costituzione che amalgamasse due pezzi di nazione. I laici boicottarono quelle assisi e la Fratellanza ciecamente scelse d’andare avanti da sola.
Il risultato fu una Costituzione insoddisfacente per i laici, da cui nacquero contestazioni e scontri e battaglie di piazza, addirittura con l’uso delle armi da ambo le parti. Quel movimento di contestazione che lanciò la raccolta di firme contro Mursi, applaudendo al crescente ruolo politico d’un esercito mai uscito di scena, anche durante gli undici mesi del governo della Brotherhood, affiancava liberali, conservatori e feloul, i Tamarod, rivoluzionari di Tahrir da mesi finiti in galera come Fattah, e pure gli odiati salafiti che opportunisticamente spingevano per un ridimensionamento della popolarità della Confraternita. Quel che è accaduto in seguito è un ripristino di oppressione e terrore, giustificati da un caos voluto molto dalla lobby militare e dai Servizi. Nelle vicende degli ultimi tre anni fra l’Islam sedicente moderato di Tunisia ed Egitto indubbiamente il primo si dimostra più pragmatico e flessibile ad adattamenti che non sono solo tattici, con l’ovvia differenza che governare una nazione di undici milioni di abitanti non è la stessa cosa che guidarne una di novanta milioni.
Ed è proprio sul cambiamento reale, fatto sì di democrazia e diritti, ma di soluzione dei problemi come lavoro, distribuzione della ricchezza che la strada risulta lunga a Tunisi, al Cairo e ancor più nei villaggi che lambiscono il Sahara o l’Alto Egitto. Tuttora dalle coste nordafricane masse indigenti guardano il mare e fuggono, perché nessun governo sta risolvendo gravi problemi strutturali.
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