di Michele Giorgio – Il Manifesto
Khalil Shahin è
preoccupato, scuote la testa. «Queste accuse formulate dall’Egitto ci
lasciano perplessi, sono ingigantite e finiranno solo per colpire i
civili palestinesi che non avranno più disponibile il valico di Rafah –
avverte Shahin, vice direttore del Centro Palestinese per i Diritti
Umani di Gaza city – Sostenere, come fanno le autorità egiziane, che
Gaza è la causa dell’instabilità del Sinai e degli attentati che vi
avvengono, è davvero troppo».
E invece il Cairo rincara la dose e da quando il presidente
al Sisi ha fatto riferimento a non meglio precisate «mani straniere»
dietro gli attacchi dei jihadisti di Ansar Bayt al Maqdes nel Sinai, nei
quali la scorsa settimana sono rimasti uccisi 33 soldati, esponenti
della politica, vertici militari e media egiziani hanno rinnovato
l’attacco ai palestinesi, a Gaza, e Hamas già visti nell’ultimo anno.
È un modo per coprire oltre un anno di fallimenti delle operazioni
militari contro i gruppi jihadisti che si rafforzano nel Sinai
settentrionale. Il conto però lo paga Gaza. Dopo aver chiuso a tempo
indeterminato il valico di Rafah, ieri le forze armate egiziane
hanno cominciato il «piano di evacuazione» degli abitanti nei territori
del Sinai lungo la frontiera con la Striscia di Gaza. I civili
hanno avuto l’ordine di abbandonare le loro case entro 48 ore, per dare
modo alle autorità militari di creare una «zona cuscinetto» che isolerà
Gaza dal Sinai.
Si tratta di 820 case, centinaia di famiglie che dovranno trasferirsi in alloggi di fortuna a el Arish.
I militari egiziani dicono di aver già distrutto nove tunnel che
collegavano il Sinai con la Striscia, sequestrando due veicoli carichi
di droga e munizioni per armi automatiche.
Il giornale filo governativo egiziano El Watan ha scritto
che le indagini dicono che gli attentatori di Ansar Bayt al Maqdes sono
stati addestrati nella Striscia di Gaza, sotto la direzione di Mumtaz
Durmush, capo dell’Esercito dell’Islam, gruppo salafita presente da
diversi anni nella Striscia. E che dopo l’infiltrazione nella penisola
del Sinai, attraverso un tunnel da Gaza, gli attentatori hanno usato
esplosivi presi dai gruppi armati palestinesi agli israeliani per
attaccare le postazioni militari egiziane.
Parlando al quotidiano saudita al Sharq al Awsat il
generale Sameeh Beshadi, ex capo della sicurezza nel distretto del Nord
del Sinai, ha detto perentorio che non vi è «alcun dubbio che gli
elementi palestinesi hanno preso parte agli attacchi». Una tesi che a
Gaza fa scuotere la testa a molti. «Sappiamo della presenza (a
Gaza) di gruppi salafiti – spiega lo studioso di movimenti islamisti
Mohammed Ismail – Alcuni di questi gruppi si dicono vicini all’Isis ma si
tratta di formazioni meno organizzate ed armate rispetto all’Isis e
Hamas le tiene sotto controllo per evitare che minaccino il suo
controllo di Gaza». Ismail sottolinea che l’Egitto punta
l’indice contro i palestinesi mentre «non tiene in considerazione il
fatto che i jihadisti nel Sinai ci sono arrivati da diversi paesi e che
le armi di cui dispongono sono in gran parte quelle comprate dai
trafficanti libici dopo la caduta di Gheddafi».
In Hamas lo sgomento è forte in queste ore. Dopo la riconciliazione
con Fatah, il partito del presidente Abu Mazen, la nascita del governo
di unità nazionale e le trattative indirette al Cairo con Israele, i rapporti tra Egitto e Hamas erano migliorati. Ora, dopo l’attentato nel Sinai, sono di nuovo in crisi profonda.
«Gli egiziani parlano di tunnel tra Gaza e l’Egitto che però non
esistono più, sono diventati un ricordo del passato, è stato proprio
l’esercito egiziano a chiuderli. Quindi le attività sotterranee di cui
si parla sono impossibili», ha commentato Iyad al Borzum, del ministero
dell’interno. Il Cairo però va avanti: già cominciata la costruzione di
un canale di 20 metri di larghezza lungo la frontiera con Gaza. I lavori
termineranno alla fine dell’anno.
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