Molto spesso, negli ultimi anni, si è giocato sull’uso della parola commissariamento per capire la situazione politica ed economica di questo paese. Anche se la differenza sostanziale tra commissariamento de iure e de facto esiste veramente. Portogallo e Grecia, ad esempio, hanno subito un commissariamento de facto, che comporta una più radicale cessione di sovranità sul bilancio e poteri alla troika (Bce-Commissione Europea-Fmi), e si sono trasformati in meri esecutori della liquidazione del proprio paese (anche se in Portogallo una resistenza significativa l’ha fatta la Corte Costituzionale).
In Italia si è esercitato più volte il commissariamento de facto. Con la famosa lettera di Trichet e Draghi a Berlusconi del 2011 e l’avvio del governo Monti. Ma non a caso il governo Monti ha rifiutato, a suo tempo, un commissariamento de iure con intervento del FMI: sarebbe stata la fine dell’establisment italiano e la resa completa di ogni potere finanziario-politico nazionale a soggetti esteri. Ci sarebbe stata anche l’impossibilità di giocare quella concertazione tra soggetti istituzionali che, in Italia, riesce sempre a far passare ogni liquidazione dei beni pubblici. Per non parlare di quel potere discrezionale di spostare e allocare risorse che uno stato (semi)sovrano comunque ha.
Si tratta adesso di capire, con la legge di stabilità Renzi, se ci sarà un elemento di rottura con l’attuale commissariamento de facto dell’Italia (che ha portato alle finanziarie Monti, al pareggio in bilancio in costituzione che l’ha di fatto liquidata, all’adesione acritica al fiscal compact). Oppure se ci sarà un inasprimento del commissariamento de facto visto che quello de iure può avvenire solo in caso di improvvisa situazione drammatica dell’euro (come misura da dare in pasto alle borse).
Due oggi sono gli indicatori per capirlo: lo stress test bancario e la lettera Bce che segue la logica istituzionale del Two Pack. La posta in gioco è la sopravvivenza politica del governo Renzi. Intesa come margine di manovra politico, economico e finanziario. Poi, specie in politica, si può vivere una vita apparente e per questo genere di rappresentazione i media sono autentici specialisti. Come abbiamo qui notato altre volte, il governo Renzi si muove secondo una logica moderatamente reaganiana (sgravi fiscali per favorire aziende e generare “crescita”) aumentando il debito (nonostante i documenti ufficiali mostrino il contrario ma lo fanno esagerando l’effetto positivo della “crescita” nelle proiezioni sulla dinamica del debito). Bruxelles, e soprattutto Berlino, non vogliono allargare il debito perché l’eurozona si è caratterizzata, da anni, sul modello tedesco: esportare con una moneta forte.
Se la sortita di Renzi, generare un po’ di debito per “crescere” e poi rientrare nei parametri deficit-debito dell’eurozona, avrà successo dipenderà perciò da come reagiranno l’Ue e la Bce (oltre che dalla situazione economico-finanziaria globale che è sul brutto stabile). Quest’ultima sta facendo gli stress test in vista dell’unione bancaria. Detta così sembra una lingua morta ma in verità Francoforte sta analizzando lo stato di salute delle principali banche dell’eurozona per capire se queste sono in grado di resistere ai prossimi anni (per farla breve). Perché è proprio la Bce, e non più la Banca d’Italia per le banche nazionali, ora a dover vigilare direttamente sui principali istituti di credito di questo paese. Questo comporta che in caso di problemi sarà direttamente la Bce a dare indicazioni alle banche su come ristrutturare e non più l’establishment nazionale. Che, a suo tempo, ha coperto la voragine MPS. Ed è proprio il Monte dei Paschi di Siena che, secondo le indiscrezioni, pare sia la banca italiana più grossa a fallire lo stress test. Se accadesse, un importante pezzo del nostro sistema creditizio sarebbe ristrutturato secondo esigenze e poteri non più nazionali. Per questo si capisce dagli stress test quanto commissariamento si cercherà, de facto, di immettere in Italia.
L’altro punto è la lettera Bce. Che fa parte, al netto delle polemiche sulla sua pubblicazione, del corpo di strumenti a disposizione della Ue per controllare il bilancio italiano. Infatti a partire dal Two Pack, procedura di controllo dei bilanci nazionali accettata acriticamente dal PD, la legge di stabilità viene preventivamente controllata, nella sua stesura da Bruxelles. Che, prima della sua approvazione, può chiedere modifiche PENA SANZIONI finanziarie al paese ritenuto inadempiente. Anche qui dall’iter della lettera di protesta dell’Ue, che chiede sostanzialmente mezzo punto di Pil in più di tagli, e delle eventuali sanzioni una volta approvata la legge di stabilità si capirà quanto commissariamento de facto c’è in Italia.
Il governo Renzi sta cercando di smarcarsi dalle regole Ue per favorire qualche grande e media impresa nazionale, con sgravi fiscali e libertà di licenziare (e anche di far rientrare nuovi capitali scudati), nonché un po' di finanza internazionale (allargando il mercato del debito italiano, con scarsi successi almeno per l’attuale asta dei bond italiani). Vedremo come la Bce, il cui presidente vive il pressing della Germania, e la Ue reagiranno.
Questioni di non poco conto verso un anno, il 2015, pieno di scadenze e problemi. L’applicazione del fiscal compact, che irrigidirà molto i bilanci pubblici nazionali (forse fino a rigor mortis) fa parte di questa dimensione. Ma solo per citare uno dei numerosi scogli che si intravedono all’orizzonte di una governance europa e di un governo italiano che sembrano paralizzati da una coazione a ripetere ricette che impoveriscono un intero continente.
Redazione, 23 ottobre 2014
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