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23/10/2014

Tunisia - Scontri polizia -“terroristi” in attesa del voto

È la questione sicurezza a tenere banco oggi in Tunisia, dove domenica si aprono le urne per le parlamentari. Stamattina la polizia ha ingaggiato uno scontro a fuoco con un gruppo di presunti terroristi nella cittadina di Oued Ellil, a pochi chilometri dalla capitale Tunisi. Secondo l’Afp, alcuni agenti sono rimasti feriti e uno è morto. Un incidente simile è accaduto nella città meridionale di Kebili, dove altri presunti terroristi sono stati arrestati dopo avere ucciso una guardia di sicurezza. Il ministero dell’Interno ritiene che stessero preparando un attacco nella zona. Intanto, a fine mese si apre il processo per terrorismo, il primo nel Paese dal 2011, che vede alla sbarra 600 imputati.

L’ombra dell’islamismo radicale si allunga su un voto per molti dalla portata storica, che arriva quando sono trascorsi tre anni dalla rivolta popolare che ha messo fine al ventennale regime dell’ex presidente Ben Ali e che ha dato il via alle primavere arabe. Circa 5,2 milioni di tunisini sono chiamati alle urne per scegliere 217 deputati tra circa 13mila candidati all’Assemblea, mentre il 23 novembre si terranno le prime elezioni dirette del presidente della repubblica. In lizza ci sono 27 candidati.

Un’affollata galassia di sigle e di nomi, tra cui molti volti “ripuliti” del vecchio regime, ma i favoriti sembrano essere i candidati del partito islamico Ennahda, la cui ascesa al potere è coincisa con la fine di Ben Ali. Per molti la sfida è tra laici e islamici, segno di una spaccatura che si sta allargando nel Paese dal 2011, quando la fine del regime è significata anche la fine di quella sorta di laicità imposta dall’alto che si è spesso trasformata in persecuzione dei movimenti di stampo islamico e persino dei simboli della religiosità. Diverse donne raccontano di quando la polizia strappava loro il velo.

Ennahda è sicuro di replicare il risultato delle legislative di tre anni fa (37%), che lo portarono a dominare l’Assemblea nazionale (un Parlamento transitorio). Una vittoria che però non gli ha garantito la permanenza alla guida del Paese. Il suo mandato, infatti, è stato bagnato dal sangue di due esponenti dell’opposizione uccisi da militanti islamisti: Chokri Belaid (assassinato a febbraio del 2012) e Mohammed al-Brahmi (25 luglio 2013). Due omicidi di cui è stato ritenuto moralmente responsabile Ennahda, che hanno scatenato un ritorno delle proteste e la fine del governo islamico con un accordo raggiunto grazie alla mediazione del potente sindacato tunisino Ugtt, da cui è nato un governo tecnico di transizione, più gradito alle potenze occidentali.

La minaccia islamista, con il rischio di infiltrazioni jihadiste dalla Libia e dall’Algeria, è un cavallo di battaglia elettorale del fronte laico, in cui militano volti noti dell’ex regime. E la minaccia si è concretizzata più volte negli ultimi tre anni, con attacchi contro le forze di sicurezza, con decine di vittime. Lo scorso luglio 15 soldati sono stati uccisi da miliziani nelle zone più interne del Paese, mentre gli arresti di presunti terroristi sono spesso seguiti da proteste e scontri con la polizia. Sono oltre mille le persone in carcere con accuse di terrorismo, secondo il ministero dell’Interno. Ma dietro le sbarre sono finiti anche tanti giovani per reati contro l’ordine pubblico durante le proteste contro l’ex presidente Ben Ali (condannato all’ergastolo in contumacia).

La Tunisia è una Paese in crisi economica, con alti tassi di disoccupazione, una consistente fuga di cervelli e manodopera, il cui sviluppo è rallentato dalla corruzione e dal clientelismo negli apparati amministrativi. C’è un grosso divario tra le città e le zone rurali, dove le condizioni di vita restano precarie e le aspettative di benessere e democrazia suscitate dalla cosiddetta Rivoluzione dei Gelsomini sono state deluse più che altrove. E tanta delusione arriva anche dall’impunità concessa agli uomini del vecchio regime e alle forze di sicurezza che durante i giorni della rivolta spararono sulle folle.

È in questo clima che i tunisini andranno a votare, sperando in un reale cambiamento sulla strada della democrazia. Ma sull’affluenza alle urne pesa la frustrazione per quella che tanti ormai chiamano la “rivoluzione tradita”.

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