18/12/2014
Su Benigni e il suo stucchevole buonismo cristiano aveva già detto tutto De Andrè
Poche cose irritano più del Benigni nazional-populista che spiega quanto siano belli i buoni sentimenti cristiani, la grandezza di Dio e la forza dell’amore racchiusa nei dieci comandamenti. Il tragitto del comico toscano descrive molto bene quello della sinistra un tempo “comunista”, oggi liberista. Da Dante alla Costituzione, dal tricolore al Risorgimento all’inno di Mameli, nel corso di questi anni Benigni ha fatto incetta di tutto l’armamentario nazionalista interpretandolo in chiave “democratica”. Cedendo ogni volta qualcosa in più al pensiero unico, oggi ha compiuto un passo in avanti, quello di dare nuova linfa alla Bibbia e al cristianesimo. Intendiamoci, Benigni è un campione del palcoscenico, è un ottimo attore e riesce ad orchestrare uno spettacolo coinvolgente come pochi in Italia e in Europa. Quello che dice però è paccottiglia di seconda mano, tornata in auge grazie al costante cedimento culturale delle sinistre. Continuare con la retorica degli italiani “brava gente”, del carattere progressista del Risorgimento, del messaggio cristiano inteso in chiave sociale, spingendo su un nazionalismo illuminato fondato sui valori della Costituzione o della Magistratura, poteva andare bene in altre epoche a noi remote. Fino a qualche decennio fa sarebbe stato deriso e marginalizzato, estromesso da quell’ambiente culturale progressista decisamente più avanti dell’ideologia ottocentesca del buon nazionalismo in salsa religiosa. Oggi ci ha spiegato i dieci comandamenti. Più di quaranta anni fa già De Andrè, peraltro affascinato come Benigni dal contenuto sociale del messaggio cristiano, era giunto alla conclusione che l’ideologia cattolica sostanziava il potere costituito, soprattutto negli aspetti caritatevoli che contraddistinguono un certo cattolicesimo popolare. Certo, tra un buon comico alla Benigni e Fabrizio De Andrè il paragone è ingeneroso e ce ne scusiamo anticipatamente. Non sapremo però dire meglio il senso che sottende la religione del cantautore genovese, e per questo riproponiamo qui la sua sintesi più felice sulla religione cristiana, Il testamento di Tito. Retorico e idealista forse, ma anni luce avanti del buonismo compassionevole del “benignismo”, che vorrebbe opporsi alla cultura mainstream senza comprendere (?) di esserne uno dei più autorevoli sostegni.
Non avrai altro Dio all’infuori di me spesso mi hai fatto pensare
Genti diverse venute dall’est dicevano che in fondo era uguale:
Credevano ad un altro diverso da te, non mi hanno fatto del male,
Credevano ad un altro diverso da te e non mi hanno fatto del male.
Non nominare il nome di Dio, non nominarlo invano.
Con un coltello piantato nel fianco gridai la mia pena ed il suo nome:
Ma forse era stanco, forse troppo occupato, non ascolto il mio dolore;
Ma forse era stanco, forse troppo lontano, davvero lo nominai invano.
Onora il padre, onora la madre, e onora anche il loro bastone:
Bacia la mano che ruppe il tuo naso perchè le chiedevi un boccone.
Quando a mio padre si fermò il cuore, non ho provato dolore,
Quando a mio padre si fermò il cuore, non ho provato dolore.
Ricorda di santificare le feste, facile per noi ladroni,
Entrare nei templi che rigurgitan salmi, di schiavi e dei loro padroni,
Senza finire legati agli altari sgozzati come animali,
Senza finire legati agli altari sgozzati come animali.
Il quinto dice “non devi rubare”, e forse io l’ho rispettato
Vuotando in silenzio le tasche già gonfie di quelli che avevan rubato:
Ma io senza legge rubai in nome mio, quegli altri nel nome di Dio,
Ma io senza legge rubai in nome mio, quegli altri nel nome di Dio.
Non commettere atti che non siano puri, cioè non disperdere il seme…
Feconda una donna ogni volta che l’ami così sarai uomo di fede.
Poi la voglia svanisce ed il figlio rimane e tanti ne uccide la fame.
Io forse ho confuso il piacere e l’amore ma non ho creato dolore.
Il settimo dice “non ammazzare se del cielo vuoi essere degno”,
Guardatela oggi questa legge di Dio tre volte inchiodata nel legno.
Guardate la fine di quel Nazzareno, un ladro non muore di meno!
Guardate la fine di quel Nazzareno e un ladro non muore di meno!
Non dire falsa testimonianza ed aiutali ad uccidere un uomo…
Lo sanno a memoria il diritto divino, ma scordano sempre il perdono.
Ho spergiurato su Dio e sul mio onore e no, non ne provo dolore,
Ho spergiurato su Dio e sul mio nome e no, non ne provo dolore.
Non desiderare la roba degli altri, non desiderarne la sposa…
Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi che hanno una donna e qualcosa…
Nei letti degli altri già caldi d’amore non ho provato dolore.
L’invidia di ieri non e’ già finita, sta’ sera v’invidio la vita.
Ma adesso che viene la sera ed il buio, mi toglie il dolore dagli occhi.
E scivola il sole al di là delle dune a violentare altre notti
Io nel vedere quest’uomo che muore, madre io provo dolore;
Nella pietà che non cede al rancore, madre ho imparato l’amore.
Fonte
De André giocava ad un'altra partita, con buona pace delle supreme doti d'affabulatore di Benigni.
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