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30/09/2015

Palestina all'Onu, Abu Mazen disinnesca la bomba

di Michele Giorgio – Il Manifesto

Questa sera alle Nazioni Unite Abu Mazen non lancerà la “bomba” annunciata per settimane. Perché la bomba è diventata un petardo. Di fronte all’Assemblea dell’Onu non proclamerà la fine degli Accordi di Oslo firmati nel 1993 e della cooperazione di sicurezza con Israele. E nel suo discorso non farà neanche un attacco frontale, senza precedenti, alla politica del governo di Benyamin Netanyahu. Pressioni statunitensi, in particolare del segretario di stato John Kerry, e anche dell’Europa, hanno spinto Abu Mazen ancora una volta a ingranare la retromarcia. Assistenti e consiglieri del presidente palestinese si sono affannati in questi ultimi giorni a rassicurare americani ed europei. Non ci sarà alcuna “bomba”. Abu Mazen a tratti sarà perentorio, persino duro. Protesterà per le politiche israeliane sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme e per la colonizzazione ebraica dei Territori occupati. Forse detterà un nuovo calendario di scadenze per la nascita dello Stato di Palestina che in ogni caso Israele non rispetterà. Tutto qui. Un copione già noto per la platea dell’Onu che, appena qualche anno fa, ha riconosciuto alla Palestina lo status di Paese non membro osservatore.

Al Palazzo di Vetro questa sera isseranno per la prima volta la bandiera palestinese ma non ci saranno scossoni. Eppure mai come in questo momento la questione palestinese ha bisogno di tornare sui tavoli che contano. Il fatto che Barack Obama nel suo discorso di due giorni fa abbia ignorato i palestinesi e le loro aspirazioni, indica con estrema chiarezza la posizione che il futuro di Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza occupano nelle priorità americane. E questo continuo tira e molla di Abu Mazen, che parte in quarta e poi frena, si sta rivelando devastante per il futuro dei palestinesi e per la residua credibilità del presidente tra la sua gente. Chi, a questo proposito, può dimenticare il clamore con il quale ad agosto era stata comunicata la convocazione, a metà settembre a Ramallah, dopo circa 20 anni, del Consiglio Nazionale Palestinese (Cnp, il Parlamento dell’Olp, quindi di tutti i palestinesi). «Immetteremo sangue nuovo nelle vecchie arterie dell’Olp e delle istituzioni palestinesi», spiegavano con enfasi i solerti funzionari della presidenza. Abu Mazen ha anche dato le dimissioni da presidente del Comitato esecutivo dell’Olp. Poi, all’improvviso, senza uno straccio di annuncio ufficiale, gli stessi solerti funzionari hanno fatto sapere che il Cnp non si sarebbe più riunito, se ne riparlerà, forse, verso la fine dell’anno. Non appena si è capito che la convocazione del Cnp sarebbe servita soltanto a cacciare dall’assemblea gli uomini di Mohammed Dahlan (nemico di Abu Mazen) e a sostituirli con quelli fedeli al presidente, oltre a sancire l’esclusione dall’Olp, forse definitiva, del movimento islamico Hamas, si sono sollevate le fazioni della sinistra palestinese, a cominciare dal Fronte Popolare, e anche correnti interne a Fatah, il partito guidato proprio dal presidente.

Intanto nelle strade della Cisgiordania e di Gerusalemme, come in quelle dei campi profughi palestinesi sparsi nei Paesi arabi, tante persone neanche sapevano della convocazione del Cnp.

La linea di Abu Mazen della creazione di uno Stato palestinese attraverso negoziati con Israele è deragliata di fronte al secco no di Netanyahu e del suo governo di destra e ultranazionalista della nascita di una entità palestinese realmente sovrana e non invece confinata in bantustan sparsi per la Cisgiordania (Gaza già lo è). Da parte loro Stati Uniti ed Unione Europea, in modi diversi, confermano che non imporranno a Israele scelte che si attendono da decenni. Abu Mazen perciò è impotente, isolato, messo ai margini in un Medio Oriente dove è in atto la catastrofe siriana. Non sa quale strada percorrere mentre esclude categoricamente una sollevazione popolare contro l’occupazione israeliana. Si è sempre opposto, usando anche le forze di sicurezza dell’Anp, ad una nuova Intifada palestinese e non ha alcuna intenzione di interrompere la cooperazione di sicurezza con Israele nonostante una risoluzione in tal senso approvata nei mesi scorsi dal Consiglio Centrale di Fatah. Ha aderito alla Corte penale internazionale ma ora frena le tanto sbandierate, nei mesi scorsi, richieste di incriminazione di Israele per l’attacco a Gaza nel 2014 e la colonizzazione incessante dei Territori palestinesi occupati.

Tre anni fa all’Onu Abu Mazen aveva saputo accendere i cuori e le speranze di una fetta consistente di popolazione palestinese, inclusa quella di Gaza sotto l’autorità di Hamas. Tuttavia lo Stato di Palestina che ha ottenuto su pezzi di carta non esiste ancora sul terreno, resta una utopia di fronte a un Israele forte, determinato, sempre ben sostenuto dagli Stati Uniti, non importa che alla Casa Bianca ci sia Bush o Obama.

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