Roma, è risaputo, è la città del mattone, dei quartieri abusivi, la
città dei palazzinari, del mercato degli affitti impazzito, dell’assenza
di edilizia residenziale pubblica. In mancanza di importanti
agglomerati industriali, la questione abitativa è il terreno su cui si
misura la discontinuità politica tra una giunta e l’altra. Una città in
perenne emergenza: 50.000 famiglie (circa 150.000 persone) sono da
decenni in condizione di estrema precarietà abitativa, aggravata dal
fatto che in città è disponibile un patrimonio di circa 200.000 case
sfitte, di cui 120.000 – secondo i dati Cgil-Sunia
– pubbliche. Un dato aggravato dall’abolizione dell’equo canone, che ha
lasciato il mercato degli affitti in mano alla speculazione privata
facendo decollare il prezzo medio degli appartamenti. Oggi a Roma è
impossibile trovare abitazioni a meno di 800 euro al mese, ovviamente in
periferia. Le zone centrali sono ormai appaltate ai grandi flussi del
turismo internazionale che ha imposto l’allontanamento coatto dei pochi
romani ancora residenti. Una vasta zona orbitante attorno alla Sapienza è
stata di fatto monopolizzata dal mercato delle stanze al prezzo medio
di 500 euro per studente. Rimane la sterminata periferia, dove appunto,
tenuto conto anche delle utenze, non si abita con meno di 1.000 euro.
Visto che 1.000 euro è il livello medio di uno stipendio normale,
risulta evidente come la vera, e per certi versi unica, politica sociale
di redistribuzione del reddito del Comune è quella di affrontare il
problema casa. Da una parte calmierando il mercato introducendo
strumenti di controllo del mercato degli affitti, impedendo la gestione
totalmente in mano ai costruttori come è oggi. Dall’altra ampliando
notevolmente il patrimonio di edilizia residenziale pubblica – le case
popolari – disponibile. In sostanza, la discontinuità politica a Roma si
basa sull’incrocio di quei due numeri – 50.000 famiglie in emergenza
abitativa contro le 200.000 case sfitte – e sulla capacità politica di
restringere questo gap.
Appena eletto, il “sindaco della discontinuità”, come definito
entusiasticamente da Sel e persino da qualche “centro sociale”
cianciando di “vittoria antifascista” contro Alemanno, ha fatto del
problema casa uno dei punti centrali del proprio programma
amministrativo. Neanche il tempo di insediarsi e dare il buongiorno alla
giunta, e subito Marino dichiarava: chiuderemo tutti i “residence”
presenti nel territorio comunale. Cosa c’entrano i residence con la
questione abitativa? Anche qui, occorre specificare la questione. A
fronte del problema esposto prima, di fatto ingovernabile se non
sottraendo potere ai costruttori privati – evento inimmaginabile per Roma, visto che i costruttori privati eleggono di fatto il sindaco della città –
i residence o, più ufficialmente, i “Centri per l’assistenza
alloggiativa temporanea” (Caat), sono l’enorme tampone creato dalla
giunta Veltroni nel 2003 per arginare il problema. In teoria, centri
dove le famiglie in emergenza vengono sistemate temporaneamente in
attesa del passaggio ad una casa popolare. In pratica, vista l’assenza
di politiche abitative pubbliche, palazzi dove le famiglie in emergenza
permangono definitivamente. Mini appartamenti dove i nuclei non pagano
né affitto né utenze, sistemazioni di fortuna che nel tempo si sono
trasformate in vere e proprie residenze, creando una dinamica
assistenziale a fondo perduto che grava sulle casse comunali senza
risolvere il problema né accompagnare all’autonomia abitativa le
famiglie. Nel 2013 Marino appunto ne prometteva la chiusura. In via
squisitamente teorica, un intento opportuno. Il problema però è che se
non si immaginano contestuali politiche abitative che allarghino il
patrimonio destinato all’Edilizia residenziale pubblica (Erp), la
chiusura dei residence non potrebbe fare altro che aggravare il
problema, non risolverlo. Detto più sinteticamente, la chiusura dei
centri di assistenza alloggiativa può essere immaginato solo costruendo
nuove case popolari (o meglio ancora, rendendo disponibili quelle sfitte
presenti). In assenza di tale dinamica, non può essere immaginata
alcuna chiusura dei residence. E infatti siamo al 2015 e i residence
rimangono ancora quasi tutti sul terreno. Ad agosto però è stato
lanciato il famigerato bando
per il superamento dei residence, bando che scadrà il 20 ottobre e
articolerà il nuovo servizio dal 1° gennaio 2016. Cosa prevede questo
nuovo bando? La chiusura dei residence attuali per… aprire altri nuovi
residence. Infatti, come volevasi dimostrare, in assenza di una
effettiva politica di assegnazione di case Erp, l’unico modo che ha il
Comune per evitare la mobilitazione permanente al Campidoglio delle
famiglie in emergenza, perdendo di conseguenza voti, è immaginare sempre
e solo nuovi contenitori dove stipare gli sfrattati. Dai centri per
l’assistenza alloggiativa temporanea (Caat), si passerà ai servizi per
l’assistenza alloggiativa temporanea (Saat): cambia il nome ma il
servizio rimane identico. Ma i problemi non finiscono qui, anzi è
proprio qui che iniziano.
Uno dei problemi centrali dell’istituzione dei residence era che i
palazzi erano privati, cioè di proprietà dei costruttori, e questi
stabili erano affittati al Comune di Roma che li adibiva appunto a
residence. In pratica, senza risolvere in alcun modo il problema
abitativo romano, per un decennio abbondante il Comune ha continuato a
versare a fondo perduto milioni di euro nelle casse dei palazzinari
privati per non risolvere di una virgola il problema. Per fare un
esempio, il residence di Campo Farnia, di proprietà privata, costa di
affitto al Comune 2 milioni e 700 mila euro l’anno. Per dieci anni,
fanno circa venti milioni di euro. Moltiplicato per le decine e decine
di residence: fate voi il conto. Una cifra astronomica che nel decennio
sfiora il miliardo di euro. Con cinquecento milioni di euro si sarebbe
*definitivamente* risolto il problema abitativo per 50.000 famiglie,
garantendo per il Comune anche un affitto, per quanto basso, e il
pagamento delle utenze. Una vera pacchia insomma per i palazzinari, che
non solo gestivano e continueranno a gestire il mercato degli affitti,
ma di fatto ne gestiscono pure quello dei servizi per chi l’affitto non
può permetterselo. Detto per inciso, questo è esattamente il sistema che
ha generato una parte del malaffare legato a Mafia capitale, perché la
gestione dell’emergenza abitativa veniva appaltata ai privati e i
servizi sociali previsti subappaltati a cooperative private che in
questo guazzabuglio indefinito si arricchivano sull’emergenza. Le
cooperative subappaltanti erano proprio la “Eriches 29 giugno”, la
“Cascina”, “l’Arciconfraternita”, la “Domus Caritate”, eccetera: la coop
di Buzzi e Carminati insieme alle grandi coop legate alla Chiesa.
Bene, cosa accadrà con il nuovo bando? La gara, incredibilmente, è
aperta nei fatti solo ai privati. Altrimenti, il Comune dovrebbe
decidere di evocare a sé la gestione dell’emergenza abitativa, ma in
tempi di patto di stabilità questa scelta è preclusa ad ogni ente
pubblico. Dunque, i nuovi servizi continueranno ad essere gestiti dai
costruttori che ancora oggi hanno il possesso dei vecchi Caat.
Oltretutto, per come è modellato il bando, questi costruttori, ad occhio
e croce, dovranno anche essere molto grandi, perché le richieste
stringenti da parte del Comune sembrano essere possibili solo per chi ha
in dote una mole importante di stabili, con precisi tagli per gli
appartamenti, metrature, superfici eccetera. Ancora per citare qualche
esempio, nel solo lotto 1 previsto nel bando, per partecipare alla gara
si deve essere in possesso di uno stabile avente dieci alloggi da 30 mq,
sedici da 46mq e ventiquattro da 61 mq. Punto. Senza possibile
alterazione di appartamenti o metrature. Evidentemente tale richiesta
può essere espletata solo da chi possiede un vasto patrimonio
immobiliare capace di fare fronte a tutte le condizioni stringenti della
gara. Diminuiscono però le famiglie ospitate: dal 1° gennaio saranno
solo mille i nuclei previsti. Questa diminuzione avverrà cancellando le
famiglie in eccesso, mascherando il tutto con il non possesso dei
requisiti per accedere al nuovo servizio. E a ben vedere, il risparmio
che si promette con il nuovo servizio Saat deriva unicamente da questa
riduzione. Un risparmio che si sarebbe avuto anche in assenza di bando,
visto che bastavano le revoche alle famiglie non idonee all’assistenza
alloggiativa.
Dunque, dopo due anni di dichiarazioni, emerge una continuità totale
tra Veltroni, Alemanno e Marino sulla questione abitativa. L’emergenza
rimarrà in gestione ai palazzinari, e i servizi sociali subappaltati
alle cooperative indagate per Mafia capitale (ancora oggi la “29 giugno”
continua a vincere appalti e a gestire la questione profughi e
richiedenti asilo. Avete capito bene: la “29 giugno” non sta gestendo i
servizi già in essere, ma continua a partecipare e a vincere gli
appalti, soprattutto oggi che grazie al commissariamento viene indicata
come cooperativa “pulita”). Le case popolari continueranno a non essere
costruite, né quelle sfitte verranno date in affitto alle famiglie in stato di
necessità. Questa la linea di continuità. Quella di una città
amministrata dai costruttori privati.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento