di Liliana Adamo
Per Sogin, azienda che si occupa di “decommissioning” per gli
impianti atomici, la campagna on air (tv, web, radio e stampa), è
partita da un pezzo, ma il processo entrerà nel vivo dell’interesse
generale quando sarà pubblicata la Carta Nazionale delle Aree
Potenzialmente Idonee ad accogliere il Deposito Nazionale per lo
stoccaggio dei rifiuti radioattivi italiani. Il documento definitivo
sarà divulgato attraverso il sito web www.depositonazionale.it, insieme a
un Progetto Preliminare, una volta ottenuto il placet dai due Ministeri
direttamente interessati, Sviluppo Economico e Ambiente.
Sulle reti televisive fino a novembre prossimo, incentrato su azioni
quotidiane girate in slow motion, mentre una voce di fondo, recita “Sul
problema dello smaltimento definitivo dei rifiuti radioattivi il nostro
Paese non è andato lontano…”, lo spot è stato realizzato da Saatchi
& Saatchi, con un “battage” che “veicolerà attraverso testi,
materiale multimediale e altri canali d’interazione, lo sviluppo di
questo percorso”. Costo? Ben 3,2 milioni di euro.
Il percorso integrato al Deposito Nazionale, sembra concentrarsi in
un solo leitmotiv, la trasparenza. Di trasparenza la Sogin pare averne
bisogno, e non per una mera questione di marketing. Per esempio, ad
evitare uno Scanzano bis, quando, nel 2003, il comune lucano fu indicato
come sito unico per la sistemazione di scorie nucleari a media e alta
intensità. Salvo poi, sconfessare lo stesso decreto dell’allora
Consiglio dei Ministri con un emendamento che sanciva, di fatto, come
l’alta sismicità della zona, ponesse a rischio l’intero complesso.
Anche
adesso, il progetto presenta le prime insidie: intanto, i ministeri
interessati hanno smentito la scelta delle aree preposte che, secondo i
media, sarebbe stata fissata per quest’agosto, facendo slittare
l’approvazione della “mappa”, nel giugno 2016.
Va chiarito un dato imprescindibile: l’Italia, grazie a un referendum
popolare, ha definitivamente chiuso col nucleare, ma le scorie prodotte
da attività industriali e sanitarie, vale a dire, quelle di bassa e
media radioattività, ci sono e vanno gestite in modo adeguato,
“trasparente” per usare un sinonimico caro alla campagna Sogin. Non è lo
stesso per i rifiuti nucleari ad alta radioattività, messi al bando
sull’intero territorio del nostro Paese, neanche in situazioni
“emergenziali” o “temporanee”. Da rimarcare, inoltre, che da allora,
nulla è stato fatto, mentre il Deposito nucleare avrebbe dovuto esserci
per legge, da almeno sette anni.
Strategicamente,
il passo saliente di uno spot multimilionario pone l’accento su
“un’ampia e approfondita consultazione pubblica” per “ripartire insieme,
attraverso un percorso condiviso e partecipato”, chissà, con l’attesa
di una qualche regione che si candidi, autonomamente a sede del
Deposito, in virtù di possibili ricadute economiche e occupazionali.
Eppure, da qualche mese in Sardegna, regione ormai sconquassata da
alcuni “interventi” fallimentari, si sono formati comitati cittadini sul
piede di guerra annunciando le giornate “No Nuclear day”, e, in
prospettiva, il fatto già la dice lunga.
Lo smaltimento del nucleare è una patata bollente, anzi,
bollentissima, che si vorrebbe passare di mano in mano. Il gruppo Sogin
insiste sull’esposizione di una presunta normalità delle radiazioni,
citando un’enormità d’oggetti d’uso comune, ponendo l’accento su tutto
ciò che è naturalmente radioattivo, asserendo che questa radioattività,
una volta accertata, può essere isolata.
Ma nel corso degli anni, qualche volta, abbiamo visto come la
radioattività sfugga al controllo, con esiti che neanche stiamo qui a
ribadire. Sia si tratti di grandi centrali nucleari o dei più defilati
centri di ricerca, in tutta questa sorta di rassicurazione generale, ci
sono dati che non tornano.
Per quantità, i nostri rifiuti ammontano a 75 mila metri cubi di
scorie a bassa e media radioattività e 15 mila ad alta radioattività; è
comprensibile, quindi, una soluzione accettabile dal punto di vista sia
ambientale sia economico. Ma non basta progettazione, realizzazione e
gestione affidabili, parliamo di strutture che devono essere durevoli
per centinaia di anni. Dunque, l’impegno diretto di un’entità nazionale
con l’incarico di supervisore e un’autorità anticorruzione non sarebbero
solo graditi ma fondamentali durante l’intero iter del processo.
Durante una conferenza stampa tenuta dai vertici della società, non
si è parlato, ad esempio, delle oggettive difficoltà tecniche che
ruotano intorno allo smantellamento risolutivo del reattore gas -
grafite di Borgo Sabotino (nei pressi di Latina, prima centrale nucleare
italiana, costruita dall’Eni), dove sono immagazzinate oltre duemila
tonnellate di materiale ad alta radioattività. Sono questi, fra gli
altri, che attendono la realizzazione di un sito unico, ma non quel
Deposito cui si parla, bensì di un dock geologico definitivo, come
appunto, indica, un recentissimo documento curato dal Governo Britannico
sul tema, pubblicato su La Nuova Ecologia.
Attenzione: tale documento cita anche lo smantellamento di undici
reattori gas - grafite inglesi - che sarà terminato nel 2115. No, non è
un errore di stampa, si parla di cento anni, poiché bisogna attenderne
la riduzione naturale di radioattività per poi passare al nucleo del
reattore. La dimostrazione, per quel che concerne la corretta, esaustiva
informazione energetica in Italia, che astenersi da inibizioni e
riserbi potrebbe sì garantire quella “trasparenza” tanto auspicata sul
piano marketing.
Sogin
non creerà un Deposito geologico ma, secondo i loro parametri, una
“struttura a rischio zero”, con barriere ingegneristiche e naturali
costruite in serie, seguendo i più recenti standard posti
dall’International Atomic Energy Agency per la definitiva sistemazione
dei 75 mila metri cubi di bassa e media radioattività e lo stoccaggio
limitato dei restanti 15 mila metri cubi ad alta radioattività.
In toto, il materiale proverrà dalle operazioni di smontaggio degli
impianti dismessi sparsi sul nostro territorio e dalle attività
nucleari, in campo medico, industriale, di ricerca, i quali, però,
continueranno a produrne in futuro.
In più, come detto in precedenza, è stata indetta una gara rivolta ai
vari Professionisti, per la realizzazione di un concept congiunto, un
Parco Tecnologico che si troverà all’interno del Deposito Nazionale di
scorie radioattive. Il costo parziale dell’opera, escluso il Polo
Tecnologico, si aggirerebbe intorno ai 1,5 miliardi di euro.
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